Il Commercialista Veneto n.232 (LUG/AGO 2016) - page 20

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NUMERO 232 - LUGLIO / AGOSTO 2016
IL COMMERCIALISTA VENETO
GIUSEPPEREBECCA
Ordine di Vicenza
La deducibilità delle sanzioni amministrative
Una questione controversa
SEGUE A PAGINA 21
NORME E TRIBUTI
SARASANTACATTERINA
Praticante Ordine di Vicenza
I
l tema della deducibilità delle sanzioni dal reddito di impresa è abba-
stanza trascurato. Negli anni si è sviluppato un dibattito che vede
contrapposte argomentazioni in favore della deducibilità (nel tempo
ampiamente sviluppate) e le ragioni del “no”, che al contrario si sono
spesso limitate a dichiarazioni di principio, dando l’impressione di trattare
la questione più su un piano etico che su un piano prettamente giuridico.
Il dibattito trae le sue premesse dall’assenza di uno specifico riferimento
normativo in merito al trattamento da riservare alle sanzioni amministrative,
in sede di determinazione del reddito d’impresa. Si generano così orienta-
menti differenti che vedono, da un lato, l’Amministrazione Finanziaria e la
giurisprudenza, entrambe orientate verso la negazione della deducibilità del-
le stesse ai fini fiscali, dall’altro, la dottrina che invece è spesso pervenuta a
conclusioni favorevoli circa la rilevanza fiscale di tale tipologia di costi.
Il principio generale cui occorre far riferimento è l’inerenza: la deducibilità
degli oneri è consentita solo se sopportati per acquisire fattori produttivi
(beni o servizi) funzionali alla produzione di reddito e allo svolgimento del-
l’attività d’impresa. In sintesi, è necessario verificare se dal comportamento
sanzionato siano derivati o comunque potessero derivare certi redditi.
Peraltro, il problema concerne le sole sanzioni e non anche gli interessi
passivi dovuti alle eventuali dilazioni concesse sul pagamento delle san-
zioni medesime, dato che tali interessi passivi rappresentano senza dubbio
il costo strumentale alla realizzazione della scelta imprenditoriale sulla mo-
dalità di utilizzazione delle risorse finanziarie dell’impresa.
Diverso il caso delle sanzioni penali, per le quali esiste invece un’apposita
normativa di riferimento che in alcuni casi ne prevede la deducibilità, in altri
no
1
. Qui ne trattiamo per cercare di ottenere un ripensamento del punto di
vista della giurisprudenza; la soluzione data, della indeducibilità
tout court
delle sanzioni infatti non ci soddisfa. Cioè la sanzione diventa doppia, altro
che sistema premiale, come sostenuto da alcuni. E poi, l’Amministrazione
nega che le sanzioni siano collegate all’attività che produce reddito e quin-
di la stessa inerenza.
La posizione dell’Amministrazione Finanziaria
Venendo dunque al caso delle sanzioni amministrative, sostenute ad esem-
pio a seguito di illeciti valutari o di tipo finanziario, trasgressioni di norme
tributarie, inosservanza delle norme in materia di tutela della concorrenza,
violazioni del codice della strada, gli uffici finanziari considerano tali oneri
sempre e comunque estranei all’attività aziendale, in quanto conseguenza
di comportamenti illeciti dell’imprenditore, e perciò interamente indeducibili,
a prescindere dalla natura e anche dalla causa generatrice degli stessi.
Si sostiene infatti che, se fosse riconosciuta la deducibilità di tali sanzioni
nella determinazione del reddito d’impresa, si avrebbe che la loro natura
punitiva verrebbe svilita, trasformandole in un risparmio d’imposta.
Tale tema è stato affrontato, per la prima volta, dall’Amministrazione
Finanziaria (si vedano la
circ. 17 maggio 2000, n. 98/E
2
e
la
ris. 12 giugno
2001, n. 89/E
3
)
con riferimento al caso specifico delle sanzioni antitrust,
ossia le sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza di cui
alla
L. 10 ottobre 1990, n. 287.
Si tratta di sanzioni pecuniarie che l’Autorità
garante del mercato e della concorrenza infligge qualora, a seguito di apposi-
ta istruttoria, rilevi condotte (come, ad esempio, intese restrittive della libertà
di concorrenza o abusi di posizione dominante) che compromettono e limi-
tano l’altrui diritto di iniziativa economica tutelato dall’art. 41 della Costitu-
zione, restringendo o falsando il gioco della concorrenza sul mercato.
In quella sede, l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, essendo tali oneri
dei pagamenti dovuti in virtù di comportamenti illeciti del contribuente, la
rilevanza tributaria degli stessi deve essere esclusa, poiché non sarebbe mai
riscontrabile una correlazione fra costo e produzione del reddito.
Dunque, pur trattando di un problema specifico (quello delle sanzioni irrogate
dall’Antitrust), l’Amministrazione Finanziaria ha affermato un principio più
generale, secondo cui gli oneri sanzionatori di natura punitiva non presenta-
no il requisito dell’inerenza essenziale ai fini della deducibilità fiscale.
E ancora, anche se con riferimento al reddito di lavoro autonomo (ma la
conclusione è evidentemente estendibile, per analogia, al reddito d’impre-
sa), nella
circ
.
20 giugno 2002, n. 55/E
4
l’Agenzia delle Entrate ha soste-
nuto l’indeducibilità dei costi in questione, in quanto si tratterebbe di oneri
non funzionali alla produzione del reddito. Il quesito posto era: “E’
deducibile dal reddito di lavoro autonomo la sanzione amministrativa com-
minata dal Ministero del Tesoro a un sindaco di azienda di credito, dottore
commercialista in regime di contabilità ordinaria?”
La risposta è stata negativa, motivando che “un costo può essere considerato
deducibile dal reddito solo ed in quanto risulti funzionale alla produzione del
reddito stesso. Come chiarito con Risoluzione n. 89 del 12 giugno 2001, tale
rapporto di correlazione tra costo e reddito non è riscontrabile, in linea di
principio, con riferimento a quei costi che siano rappresentati dal pagamento di
sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente.
Di conseguenza, i costi in argomento devono essere considerati indeducibili”.
L’Amministrazione Finanziaria è tornata sull’argomento con la successiva
circ. 26 settembre 2005, n. 42/E
5
. In primo luogo, ha fornito chiarimenti
sull’applicazione del comma 8 dell’art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289
(legge finanziaria per il 2003), comma che sancisce l’indeducibilità di costi
e spese riconducibili a fatti, atti o attività illecite sotto il profilo penale; in
secondo luogo, ha ribadito anche l’indeducibilità delle sanzioni ammini-
strative, giacché mancano di qualunque nesso funzionale con l’attività
aziendale, essendo inflitte per punire e reprimere condotte illecite.
L’orientamento della giurisprudenza
Anche la giurisprudenza, specie quella di legittimità, è ormai prevalente-
mente orientata nel senso di negare la sussistenza di qualsiasi nesso di
inerenza fra le sanzioni pecuniarie e la produzione del reddito d’impresa.
In particolare, nella sentenza della
Cassazione 3 marzo 2010, n. 5050
6
(emes-
sa, con specifico riferimento al caso delle citate sanzioni antitrust), viene
ribadita la funzione punitivo-repressiva della sanzione e respinta la loro
deducibilità onde evitarne lo svilimento. La Cassazione ha poi mantenuto
tale orientamento prima nella
sent. 11 aprile 2011, n. 8135
7
e più tardi nella
n. 18368 depositata il 26 ottobre 2012
8
. Come evidenziato anche dal Con-
siglio di Stato, sezione VI, nel
parere n. 1671 del 20 marzo 2001
, si tratte-
rebbe di pene pecuniarie connotate da una funzione afflittiva e non
risarcitoria e si configurano come costi che non nascono nell’impresa, “ma
in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là
della sfera aziendale”. D’altra parte, anche la
Legge 689/81
attribuisce
generalmente carattere repressivo-punitivo alle sanzioni amministrative.
Risulta invece più ondivago l’orientamento della giurisprudenza di merito,
la quale talvolta ha ammesso la loro deducibilità, sottolineando la loro
funzione ripristinatoria dell’equilibrio economico violato e, pertanto, ine-
renti ex art. 109 del TUIR; talaltra, ha addotto le medesime argomentazioni
1
Si veda l’art.14, comma 4 bis, della Legge n. 537/1993, che dispone: "
Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente
utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il
giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo
425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di
assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice
fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi
dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo
precedente e dei relativi interessi.
(…)"
2
In banca dati Fisconline.
3
In banca dati Fisconline.
4
In banca dati Fisconline.
5
In banca dati Fisconline.
6
In riferimento alla sentenza del 31 maggio 2004 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
7
In riferimento alle sentenze della Commissione Provinciale di Bergamo n. 110/9/02 e della Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione bresciana, del 7 novembre 2005
8
In riferimento alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 55/31/06, depositata il 23 novembre 2006..
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