Il Commercialista Veneto n.232 (LUG/AGO 2016) - page 17

NUMERO 232 - LUGLIO / AGOSTO 2016
17
IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
MATTIAMESTRONI
1
Ordine di Udine
Patent Box
: problemi valutativi
e possibili soluzioni
BORSE DI STUDIO 2016
SEGUE A PAGINA 18
1.
Il regime Patent Box
Con il DecretoMinisteriale del 30 luglio 2015 in Italia,
in coda a molti altri Paesi europei come Spagna, Fran-
cia, Olanda e Belgio, è stato reso esecutivo il regime
del c.d.
Patent Box
, rivolto ai soggetti imprenditoriali
che svolgono attività di ricerca e sviluppo orientata
alla “produzione” di beni immateriali.
Il regime del
Patent Box
, come quello del credito d’im-
posta, è promosso dal sistema fiscale italiano per “pre-
miare” i soggetti che svolgono attività di R&S. Adiffe-
renza di quest’ultimo, però, il regime agevolativo del
Patent Box
incentiva non gli investimenti, cioè l’im-
piego di risorse in attività di ricerca e sviluppo, bensì
il reddito, cioè la capacità di un’impresa di trarre un
risultato economico dall’attività di ricerca e sviluppo.
Una tale peculiarità permette di associare un beneficio
fiscale ad un flusso economico positivo, ma la stima
del reddito in parola è caratterizzata da una certa com-
plessità sia logica che procedurale legata alla concreta
possibilità di determinazione del risultato prodotto da
una attività di R&S (
rectius
, da un bene immateriale
generato o sviluppato con tale attività).
Per determinare il reddito agevolabile, infatti, il sog-
getto istante si troverà spesso nella condizione di non
poter stimarne il valore in via diretta, attraverso il
riscontro con, ad esempio, fatture emesse verso terze
parti indipendenti. La condizione in parola sussiste
nei casi in cui l’istante utilizzi direttamente il bene
immateriale o lo conceda a terzi, facenti parte di un
medesimo gruppo di imprese. Proprio per queste
casistiche, non a caso, la norma prevede la possibilità
o addirittura l’obbligatorietà di elaborare un’istanza di
ruling
. In questo caso sarà necessario “
individuare
per ciascun bene immateriale oggetto dell’opzione il
contributo economico da esso derivante che ha con-
corso algebricamente a formare il reddito d’impresa
o la perdita
”, ovvero quantificare il contributo appor-
tato dallo specifico bene immateriale attraverso una
valutazione dello stesso secondo procedure
aziendalistiche, che siano contestualmente in grado di
garantire il rispetto dei vincoli imposti dalla disciplina
fiscale.
Nel prosieguo del lavoro, sulla base di contributi an-
che di altra natura
2
rispetto alla norma e alle pubblica-
zioni dell’Agenzia delle Entrate, si mette in evidenza
quali siano i dettati della disciplina fiscale in tema di
valutazione del contributo economico e quali le mag-
giori problematiche che il consulente si troverà ad af-
frontare, tentando, infine, di suggerire alcune possibili
soluzioni che rendano il tutto più agevole e soddisfa-
cente agli occhi dei soggetti esaminatori.
2.
I metodi valutativi dettati dalla norma
e l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
Per la definizione della modalità di valutazione del
contributo economico generato dal bene immateriale,
sia il Decreto, con la relativa Relazione illustrativa,
che la Circolare dell’Agenzia delle Entrate 11/E del
2016, individuano in modo chiaro i principi volti ad
orientare l’attività di stima: le “Linee Guida dell’OC-
SE sui prezzi di trasferimento per le imprese multina-
zionali e le amministrazioni fiscali”.
Come si potrà esprimere più compiutamente in segui-
to, il dettato normativo assume i metodi valutativi
proposti dall’OCSE, nei quali si opera un ricorso rile-
vante ai valori di mercato, in relazione alla definizione
del ricavo figurativo attribuibile ad un generico opera-
tore economico. Tale è infatti il ricavo da considerare
nella valutazione al quale, per la determinazione del
reddito agevolabile, devono essere sottratti i costi ine-
renti ed effettivamente sostenuti. Tale impostazione,
però, risulta essere molto complessa proprio nei casi
di utilizzo diretto di un bene immateriale, il quale –
come nei casi dei brevetti – viene spesso sfruttato
dall’istante in una specifica e limitata fase del proces-
so produttivo.
Con la Circolare 11/E, l’Agenzia ha precisato quali tra
i cinque metodi contenuti nelle “Linee Guida dell’OC-
SE sui prezzi di trasferimento per le imprese multina-
zionali e le amministrazioni fiscali” siano da conside-
rarsi i due preferibili : il metodo del
Comparable
Uncontrolled Price
(CUP) e quello del
Profit Split
(PSM). Tale impostazione dell’Agenzia delle Entrate
risulta certamente efficace nel determinare i prezzi
“normali” nel caso di transazioni effettive concluse in
un contesto non regolato da dinamiche di mercato, ma
non risponde alla necessità di determinare
ex novo
il
valore astrattamente attribuibile ad un utilizzo diretto
di un bene immateriale
3
. Entrambi i metodi, infatti,
presuppongono l’esistenza nel mercato di transazioni
aventi ad oggetto beni immateriali similari: il CUP ri-
chiede il confronto del valore di una transazione con il
prezzo che generalmente è possibile riscontrare nel
mercato per operazioni quanto più possibile similari;
il PSM presuppone l’esistenza nel mercato di transa-
zioni confrontabili, dalle quali ricostruire il processo
di ripartizione del profitto generato dalla transazione
tra i due contraenti, in relazione ai rischi e agli oneri
assunti dagli stessi. Alla luce di un tanto, non è certa-
mente tendenzioso affermare che, nel caso di utilizzo
diretto di un bene immateriale, entrambe le definizioni
appena richiamate non siano di semplice attuazione.
Considerando il caso di un brevetto industriale, ad
esempio, è possibile riscontrare come spesso questo
sia caratterizzato da una specificità elevata – su tale
caratteristica si fonda la sua stessa possibilità di tutela
– accompagnata da un livello di contribuzione spesso
marginale alla redditività generale dell’impresa e da
un’autonomia operativa generalmente limitata
4
. I me-
todi proposti dalle Linee Guida OCSE, essendo piut-
tosto orientati alla determinazione di valore per le tran-
sazioni aventi ad oggetto beni immateriali che svolgo-
no un ruolo primario nella determinazione del reddito
d’impresa, in quanto la funzione addetta alla gestione
dell’intangibile presenta dei contorni chiari e definibili
(c.d.
PIGA
-
Primary Income Generating Asset
), rive-
lano il rischio di un’applicazione non arbitraria del
metodo, alla luce dell’oggettiva difficoltà
d’individuazione delle transazioni astrattamente
comparabili o delle ipotetiche parti della stessa
5
.
A fronte di un tanto, non a caso l’Agenzia delle Entra-
te prevede la possibilità di elaborazione di metodi al-
ternativi a quelli proposti dall’OCSE, in quanto è evi-
dente che nella trattazione dei casi concreti, la variabi-
lità sia tale da richiedere l’individuazione di metodi
specifici. In tali casi, risulta tuttavia fondamentale sal-
vaguardare i principi che orientano le stesse Linee
Guida: su tutti, l’
arm’s length principle
, ovvero il prin-
cipio di libera concorrenza, il quale si sostanzia nella
ricerca del prezzo “normale” al quale sarebbe avvenu-
ta una transazione tra parti indipendenti operanti nel
libero mercato.
Una possibile soluzione, prospettata dallo stesso
OCSE, all’assenza di transazioni di mercato
comparabili, consiste nell’applicazione di una varian-
te del PSM, il c.d.
Residual Profit Split Method
, nel
quale dal risultato complessivo dell’istante viene de-
dotta la redditività astrattamente generata da tutte le
funzioni
estranee alla gestione bene immateriale. Un
simile approccio presenta il vantaggio di essere coe-
rente con il dettato del Decreto, la cui relazione illu-
strativa specifica che l’estrazione, dal reddito com-
plessivo dell’impresa, del reddito figurativo ascrivibile
allo specifico bene immateriale deve avvenire assu-
mendo “
l’esistenza di un ramo d’azienda autonomo
deputato alla concessione in uso dei beni immateriali
allo stesso contribuente
6
.
L’OIV, a sua volta, suggerisce delle ulteriori metodologie
utili agli scopi predetti: nel
Discussion Paper
del 4
dicembre 2015 vengono infatti descritti quattro meto-
di di valutazione idonei a determinare il contributo
economico del bene utilizzato in via diretta. La pro-
spettiva fornita da tali metodi appare di maggior re-
spiro rispetto a quella assunta dell’Agenzia in quanto
non si considera solamente il prezzo al quale il bene
materiale sarebbe oggetto di concessione ma vi è
un’apertura al valore economico del bene (su tutti si
veda il c.d. criterio del “Reddito Implicito nel valore di
mercato del bene immateriale”). Nonostante tale aper-
tura, il riscontro del risultato con i valori di mercato
rappresenta un passaggio imprescindibile in tutti e
quattro i metodi proposti, ciò probabilmente proprio
al fine di permettere un allineamento al già citato prin-
cipio dell’
arm’s length
.
Le fonti trattate, in definitiva, forniscono gli elementi
utili all’individuazione della
ratio
che guida la discipli-
na alla quale si deve fare riferimento nell’elaborazione
di metodi alternativi per la determinazione del contri-
buto economico, che di seguito verrà illustrata in ap-
plicazione ad un caso concreto.
3.
Una soluzione
Partendo dalla considerazione di come in concreto ri-
sulti estremamente complesso, se non impossibile,
applicare pedissequamente i metodi delineati daAgen-
zia e OIV, ai fini della determinazione del contributo
economico generato dall’utilizzo diretto di un intangi-
bile, è opportuno fornire qualche spunto risolutivo
basandosi anche su soluzioni pratiche concretamente
1
Elaborato vincitore del secondo premio del Bando per Borse di Studio denominato “Il Commercialista Veneto 2016" indetto dall’Associazione dei Dottori Commercialisti e
degli Esperti Contabili delle Tre Venezie.
2
Su tutti la Bozza di Discussion Paper presentata il 4 dicembre 2015 dall’Organismo Italiano di Valutazione.
3
Si veda Luca Gaiani,
Determinazione del reddito agevolabile con il Patent Box secondo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate
, Il Fisco 10/2016, pag. 912.
4
Il riferimento al brevetto può essere facilmente esteso ad altre forme di innovazione di processo o prodotto quali disegni, modelli, informazioni aziendali, esperienze tecnico-
industriali, etc. Diverso risulta invece il caso del marchio, il quale può godere di una maggiore autonomia operativa, di un mercato che si estende su più linee merceologiche e di
una contribuzione non marginale alla redditività generale.
5
Tale ostacolo, sebbene rilevante nell’applicazione di tali metodi nella determinazione del contributo economico di un bene utilizzato in via diretta, non è il solo. Si pensi ad
esempio, nel caso del metodo CUP, alla necessità di determinare i ricavi ai quali applicare il tasso di royalty. A tal fine sarà necessario identificare quale sia la quota parte dei ricavi
complessivi che sono stati generati grazie allo sfruttamento del bene immateriale: processo non molto agevole nel caso in cui l’intangibile venga utilizzato in fasi produttive
“distanti” dalla commercializzazione del prodotto finale.
6
Relazione illustrativa al Decreto, pag. 7.
1...,7,8,9,10,11,12,13,14,15,16 18,19,20,21,22,23,24,25,26,27,...36
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