Il Commercialista Veneto n.232 (LUG/AGO 2016) - page 27

NUMERO 232 - LUGLIO / AGOSTO 2016
27
IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
in via indiretta da margini netti e non da margini lordi.
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È proprio questo
livello di “astrazione” del TNMM (e dei
transactional method
in genere) la
ragione alla base della gerarchia dei metodi, riflesso della diffidenza nutrita
da alcuni stati membri in uno strumento così apparentemente lontano dal-
l’oggetto del
transfer pricing
, ossia, appunto, i prezzi. Ma il fatto che
l’esame venga svolto a un livello “inferiore” del conto economico porta
anche ad alcuni vantaggi e semplificazioni nell’analisi di comparabilità.
Innanzi tutto, le caratteristiche dei beni/servizi svolgono un ruolo ancor
più marginale rispetto a quanto avviene nel
Cost Plus
e nel
Resale Minus.
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Anche le differenze funzionali incidono tendenzialmente meno nel TNMM
che nei metodi tradizionali, poiché tali differenze si riflettono spesso in una
gamma variegata di margini di utile lordo, che vengono però compensati da
maggiori o minori costi operativi, che portano a livelli di indicatori di utile
netto largamente simili.
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Particolari problematiche potrebbero però sorgere a causa di differenti po-
litiche di contabilizzazione di ammortamenti, svalutazioni,
stock options
e
simili, qualora non si possano chiaramente identificare e “aggiustare” in
modo affidabile.
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In effetti, il problema dell’identificazione puntuale dei
costi (e ricavi) dalle risultanze contabili è di primaria importanza, soprattut-
to nel caso di entità che svolgono più funzioni. Si pensi ad esempio a una
controllata incaricata dalla
parent
di apportare alcune modifiche al prodot-
to prima di rivenderlo sul mercato locale. Si tratta di due transazioni distin-
te, per le quali l’utile netto rilevante ai fini della comparabilità deve essere
determinato segmentando i costi e ricavi relativi, sostanzialmente creando
due conti economici diversi su cui calcolare l’utile netto da testare.
11.
Il Metodo di Ripartizione degli Utili (
Profit Split
)
Nell’ambito del
Final Report
delle Azioni da 8 a 10 del Progetto BEPS,
l’OCSE ha pubblicato in bozza alcune considerazioni che saranno alla base
della revisione delle Linee Guida, che avrà luogo tra il 2016 e 2017, con cui
si fornirà maggior chiarezza in merito all’applicazione del
Profit Split
. Il
metodo, se da una parte è considerato di difficile applicazione,
78
può essere
però considerato il metodo che meglio riesce ad allineare la tassazione in
funzione della creazione di valore.
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È infatti un metodo bilaterale, secondo
il quale gli utili complessivi (l’utile operativo) devono essere ripartiti tra le
imprese associate su una base economicamente valida che si avvicina alla
ripartizione degli utili che sarebbe stata prevista e riflessa in un accordo
concluso in condizioni di libera concorrenza.
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Storicamente, l’OCSE, lo ha
ritenuto il metodo adeguato in presenza di operazioni molto integrate per le
quali non risulterebbe opportuno un metodo unilaterale.
81
È stato però
evidenziato come la caratteristica dell’integrazione sia però insita nella stes-
sa definizione di impresa multinazionale, e che quindi la portata di tale
affermazione dovrebbe essere perfezionata dalle prossime linee guida.
82
Allo stato attuale, la ripartizione degli utili può avvenire secondo due ap-
procci: l’analisi del contributo, e l’analisi del residuo.
La
contribution analysis
basa la suddivisione su un’approssimazione ra-
gionevole della ripartizione degli utili che le imprese indipendenti avrebbe-
ro previsto di ottenere da transazioni comparabili.
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Tale approssimazione
può essere ad esempio desunta da clausole contrattuali (es. joint venture)
di transazioni comparabili poste in essere tra parti indipendenti.
La
residual analysis
, invece, è formata da due fasi. Nella prima fase, ad
ogni partecipante viene attribuita una remunerazione di libera concorrenza
per i suoi contributi non unici riguardanti le transazioni controllate alle
quali partecipa. Nel gergo “di ogni giorno” si parla di remunerazione delle
funzioni di
routine
, termine con cui si descrivono quelle attività che non
originano una “rendita economica”,
84
che si ha invece in presenza di “beni
unici e di rilevante valore”. Si riconferma dunque la centralità dell’analisi
funzionale per una corretta delineazione della transazione e per la corretta
suddivisione delle funzioni di
routine
e di
non-routine
. Solo con una at-
tenta analisi funzionale si potranno infatti identificare le attività economi-
camente rilevanti
svolte dalle parti e, tra esse, le attività “uniche e di rile-
vante valore” che danno origine alla rendita economica. Queste attività
spesso sono attività immateriali, anche se non tutti gli
intangible
sono
non-routinari, e non tutte le rendite economiche derivano da
intangible.
Queste differenze, compresa la definizione di “contributo unico e di valore
apportato dalle parti”, saranno oggetto di approfondimento nella bozza
delle Linee Guida di prossima emanazione.
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Una volta identificate le funzioni di routine, andrà calcolata la loro
remunerazione. A questo fine, è possibile utilizzare uno qualsiasi degli altri
metodi, seguendo il principio del metodo più appropriato. Fatto ciò, nella
seconda fase, l’utile (o la perdita) residuo sarà ripartito in base ad un’ana-
lisi dei fatti e delle circostanze, attraverso parametri oggettivi (
allocation
keys
)
86
che esprimono il contributo apportato dalle parti alla transazione in
oggetto.
87
Nelle TPGL2010 non è prevista una lista prescrittiva di criteri di
allocazione degli utili da suddividere, e la revisione delle Linee Guida dovrà
fare luce proprio su come scegliere tali parametri. L’obiettivo è ottenere una
suddivisione degli utili che sia correlata alla creazione del valore, in coeren-
za col principio di libera concorrenza,
88
raggiungibile solo mediante una
corretta delineazione della transazione secondo il principio del metodo più
appropriato,
89
in base all’analisi funzionale dei contributi delle parti.
90
Il fatto che, a parte nei casi di
joint ventures
, le imprese indipendenti non
utilizzino questo metodo non può che avere conseguenze in tema di quantità
e qualità nei
comparable
, facendo quindi sorgere la necessità di avere un’in-
dicazione della documentazione minima necessaria da produrre per evitare il
sorgere di contenziosi nell’ambito di un metodo che, almeno sulla carta, può
meglio allineare la tassazione alla creazione di valore, ma la cui elevata sog-
gettività può creare difficoltà in sede di contenzioso. Dopotutto, la suddivi-
sione dell’utile residuo avviene non tanto sulla base di valori di mercato, ma
su assunzioni teoriche slegate dal concetto di valore ad
arm’s length
.
91
12.
Conclusione
Si può concludere
92
che vi sia stata una lenta ma costante evoluzione
93
nell’approccio ai metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento, ini-
zialmente focalizzato sul prezzo della singola transazione, normalmente
espresso da un CUP, all’attuale analisi “a 360 gradi” delle relazioni che
legano tutte le aziende partecipanti. In questo senso, il
restyling
in atto col
progetto BEPS non introduce vere novità e il fatto che, tra tutti i metodi,
ampio spazio venga dato al solo
profit split
non deve essere inteso come
un invito alla sua utilizzazione su larga scala. Ciò che invece emerge raffor-
zato dalla lettura unitaria delle varie Azioni che toccano il TP è il concetto
che non esiste un metodo più appropriato
tout court
, ma che all’opposto
esiste un metodo più appropriato alle circostanze del caso, determinabile
solo a seguito di una corretta ed approfondita analisi funzionale, vera
architrave su cui si “poggiano” la fase di delineazione della transazione, la
conseguente scelta del metodo (e del
tested party
), e la sua selezione dei
comparable
. La “riconferma” della centralità dell’analisi funzionale, che la
miglior dottrina ha già da tempo ormai assodato, auspicabilmente porterà
alla definitiva scomparsa della “tattica” di focalizzare la documentazione (e
le contestazioni) su una voluminosa selezione dei
comparable
, a cui però
non corrisponde una adeguata analisi funzionale.
SEGUE DA PAGINA 26
Metodi
nel
transfer pricing
74
Segretariato dell’OCSE,
Transfer Pricing Methods
, paragrafo 15.
75
United Nations
Practical Manual on Transfer Pricing
, paragrafo 6.3.9.1
76
TPGL2010, paragrafo 2.62.
77
TPGL2010, paragrafo 2.84
78
TPGL2010, paragrafo 2.114
79
Vikram Chand, Sagar Wagh,
The Profit Split Method: Status Quo and Outlook in Light of the BEPS Action Plan
,
International Transfer Pricing Journal
, 2014, pagina 405.
80
TPGL2010, paragrafo 2.116
81
TPGL2010, paragrafo 2.109
82
OECD,
Aligning Transfer Pricing Outcomes with Value Creation
, Actions 8-10 - 2015 Final Reports, punto 8 a pagina 58.
83
TPGL2010, paragrafo 2.119
84
La remunerazione di un fattore produttivo che eccede il suo costo-opportunità.
85
OECD,
Aligning Transfer Pricing Outcomes with Value Creation
, Actions 8-10 - 2015 Final Reports, punto 9, pagina 58.
86
TPGL2010, paragrafo 2.134
87
TPGL2010, paragrafo 2.121
88
OECD,
Aligning Transfer Pricing Outcomes with Value Creation
, Actions 8-10 - 2015 Final Reports, pagina 61.
89
OECD,
Aligning Transfer Pricing Outcomes with Value Creation
, Actions 8-10 - 2015 Final Reports, punto 12, pagina 59
90
OECD,
Aligning Transfer Pricing Outcomes with Value Creation
, Actions 8-10 - 2015 Final Reports, punto 13, pagina 59
91
Yariv Brauner,
BEPS: An Interim Evaluation
, World Tax Journal, 2014, pagine 33-34.
92
Sébastien Gonnet, Pim Fris,
Contribution analyses under the profit split method
, 2007, pagina 9.
93
Riflesso di questa evoluzione si può notare nel graduale abbandono della gerarchia dei metodi.
1...,17,18,19,20,21,22,23,24,25,26 28,29,30,31,32,33,34,35,36
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