Il Commercialista Veneto n.232 (LUG/AGO 2016) - page 28

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NUMERO 232 - LUGLIO / AGOSTO 2016
IL COMMERCIALISTA VENETO
PAOLO TALICE
Notaio inTreviso
L'attività di gestione di beni
quale oggetto sociale
SEGUE A PAGINA 29
SOCIETÀ
Introduzione
Una società può avere quale oggetto sociale: “La gestione di beni immobili, mobili
registrati e partecipazioni sociali”? Il quesito è suggerito dalla recente normativa
fiscale contenuta nell’art. 1, comma 115, della legge 208/2015, la quale ammette
implicitamente la legittimità delle società di mera gestione laddove consente a quelle
che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione di beni immobili e mobili
registrati di trasformarsi in società semplici. Più in particolare la suddetta normati-
va, essendo applicabile alle sole società che trasformandosi in società semplici di
gestione fuoriescono dal regime d’impresa, ritenere possibile che l’attività di ge-
stione di beni sia esercitata da una società anche in forma non imprenditoriale.
La giurisprudenza che si è formata sul punto è però per lo più orientata nel senso
di escludere, in linea di principio, la legittimità delle società di mera gestione, in
quanto tale attività rientrerebbe in quella di godimento che, ai sensi dell’art. 2248
c.c., non può essere oggetto di nessuna società.
In particolare la maggioranza dei tribunali, dovendo comunque prendere atto della
normativa fiscale che consente la trasformazione di società commerciali in società
semplici di gestione, ha ritenuto che quest’ultime non possano essere costituite
ex
novo,
in quanto le norme fiscali che le contemplano hanno carattere eccezionale e
legittimano esclusivamente la trasformazione delle società preesistenti da esse pre-
se in considerazione.
Così, ad esempio, il Tribunale di Mantova
1
ha affermato che
“le norme tributarie
hanno finalità fiscali e quindi di natura eccezionale e transitoria (…), non è ammis-
sibile la costituzione di una società semplice avente ad oggetto la mera gestione di
immobili, ostandovi il disposto dell’art. 2248 c.c.”
, mentre il Tribunale di Varese
2
ha ritenuto che
“il mero godimento di beni di proprietà sociale non può nel vigente
sistema di diritto societario trovare spazio all’interno dello schema di alcun tipo
sociale, non riconoscendosi in tale fenomeno quegli elementi essenziali richiesti
dall’art. 2247 c.c. quali elementi costitutivi della società. Non sembra che tale
conclusione possa essere sovvertita dalla considerazione che il legislatore, in ripe-
tuti interventi (a partire dall’art. 29, L. 27.12.1997, n. 449), abbia previsto
agevolazioni fiscali in favore delle società di mero godimento di beni che si fossero
trasformate in società semplici, con finalità di emersione di imponibile fiscale e di
contrasto dell’uso elusivo dello schermo societario. Ciò per il carattere eccezionale
delle norme in questione e per la loro conseguente inidoneità a scardinare il siste-
ma delineato dagli artt. 2247 e 2248 c.c. Si ravvisa pertanto, nell’ipotesi di società
avente quale oggetto sociale il mero godimento di beni, la nullità della società per
illiceità dell’oggetto sociale, ai sensi dell’art. 1418 c.c., ravvisandosi un contrasto
con una norma, seppure ricavata in via sistematica, di carattere imperativo con-
cernente la stessa struttura della società.” .
La suddetta giurisprudenza si è però formata quando effettivamente le trasforma-
zioni agevolate in società semplici di mera gestione erano previste eccezionalmente
dalla normativa del 1997, e sue reiterazioni. La circostanza che successivamente il
legislatore, a distanza di tempo e con provvedimenti ripetuti (art. 3, comma 7, della
L. 448/2001; art. 1, commi 111-117, della L. 296/2006; art. 1, comma 129, della L.
244/2007; art. 1, comma 115, della L. 208/2015) abbia confermato di ritenere
legittime le società di mera gestione impone ora di rimeditare l’intera questione.
Anche perché nelle varie pronunce di merito si è spesso affermato che l’attività di
gestione di beni e quella di godimento dei medesimi sono coincidenti, ma ciò non
appare corretto, in quanto la prima è un’attività dinamica che può declinarsi nelle
forme più varie, mentre la seconda è un’attività statica, coincidente con la comunio-
ne ordinaria disciplinata dagli artt. 1100 e ss. del codice civile.
La Commissione Società del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre
Venezie, nell’appendice 2016 dei suoi “Orientamenti Societari” (allegati come tra-
dizione a questo numero de “Il Commercialista Veneto”), sollecitata sul punto, ha
elaborato due orientamenti che affrontano la questione sia dal punto di vista gene-
rale che con specifico riferimento alle sole società semplici.
Le definizioni giuridiche rilevanti
Per poter comprendere quali siano i limiti che l’ordinamento pone alla libera
determinabilità dell’oggetto di una società occorre avere ben chiaro il significato
tecnico delle definizioni giuridiche di:
1) attività economica;
2) attività d’impresa;
3) attività commerciale;
4) attività di godimento di cose;
e le motivazioni per le quali il legislatore ha inteso utilizzarle all’interno delle
singole norme sulle società.
L’
attività economica
viene presa in considerazione dall’art. 2247 c.c., il quale
definisce il contratto di società come quello con il quale “
due o più persone confe-
riscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo
di dividerne gli utili”
.
La definizione di
attività di Impresa,
come è noto, si ricava da quella dell’impren-
ditore contenuta nell’art. 2082 c.c., a mente del quale “
È imprenditore chi esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni o di servizi.”
L’attività commerciale
si ritiene sia definita dall’art. 2195 c.c., il quale, in relazio-
ne agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese dei soli imprenditori commer-
ciali stabilisce che
“Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione, nel registro delle
imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4) un’attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese com-
merciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in
questo articolo e alle imprese che le esercitano.”.
L’attività di godimento di cose
, infine, è presa in considerazione inmateria societaria
al solo fine di escluderla dal campo di operatività delle società di qualunque tipo.
L’art. 2248 c.c., infatti, dispone che
“La comunione costituita o mantenuta al solo
scopo del godimento di una più cose è regolata dalle norme del titolo VII del libro
III”,
dunque non dalle norme sulle società contenute negli artt. 2247 e ss. c.c..
Dalle prime due definizioni emerge con chiarezza come le società abbiano un campo
di operatività assai più vasto di quello delle imprese, poiché le prime possono
svolgere qualsiasi attività economica, anche limitata ad un unico affare, mentre le
seconde sono tali solo se svolgono un’attività economica in modo “professionale”
e “organizzato”.
Per quanto riguarda poi l’attività commerciale, la stessa appare una sotto specie
dell’attività di impresa, che assume rilievo autonomo per l’ordinamento al solo fine
di individuare gli imprenditori soggetti agli obblighi di pubblicità nel registro delle
imprese.
Chi svolge un’attività economica non commerciale, infatti, non ha alcun obbligo di
iscrizione nel registro delle imprese ex art. 2195 c.c..
La comunione di godimento, infine, è presa in considerazione dal legislatore esclu-
godimento di cose
attività economica
Attività d’impresa
Attività
commerciale
sivamente per escluderla dal campo di operatività delle società.
Dall’insieme delle suddette disposizioni è dunque possibile affermare che per l’or-
dinamento “l’attività economica” e “la comunione di godimento” sono due modi di
gestire beni comuni totalmente distinti tra loro, incapaci di punti di contatto: o i
beni comuni vengono sfruttati economicamente al fine di dividere un utile, e allora
si pone in essere un contratto di società, o si utilizzano direttamente, realizzando in
tal modo una comunione di godimento.
All’interno, poi, delle attività economiche, che costituiscono un ampio genere, si
colloca la specie dell’attività di impresa, più ristretta della prima (richiedendo gli
ulteriori elementi della professionalità e dell’organizzazione). Le attività commer-
ciali, infine, costituiscono una sub specie delle attività di impresa, essendo riferite
appunto alle sole imprese aventi ad oggetto le attività di cui all’art. 2195 c.c..
Ma perché il legislatore ha inteso differenziare le attività economiche, le attività di
impresa e quelle commerciali? La risposta è nell’evoluzione storica del contratto di
società e nel superamento della distinzione tra società commerciali e società civili
avvenuto con l’unificazione nel codice civile del 1942 della previgente disciplina
contenuta nel codice civile del 1865 e nel Codice di Commercio del 1882.
1
Trib. Mantova, 3 marzo 2008, in Società, 2009, 1026.
2
Trib. Varese, 31 marzo 2010, in
.
1...,18,19,20,21,22,23,24,25,26,27 29,30,31,32,33,34,35,36
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