Il Commercialista Veneto n.230 (MAR/APR 2016) - page 11

NUMERO 230 - MARZO / APRILE 2016
11
IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
1, Legge 212/2000).
S
OSTANZIALMENTE, secondo l’art. 10 bis della Legge 212/2000:
– comma 1
“C
onfigurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza
economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano
essenzialmente vantaggi fiscali indebiti
.
Tali operazioni non sono opponibili
all’Amministrazione Finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i
tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato
dal contribuente per effetto di dette operazioni”.
La norma stabilisce, in particolare, che configurano abuso del diritto le operazioni
prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali,
realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
La previsione individua i tre presupposti per l’esistenza dell’abuso:
1) l’assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate;
2) la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;
3) la circostanza che il vantaggio è l’effetto essenziale dell’operazione.
La relazione illustrativa al D.Lgs. 128/2015, paragrafo 11.2, osserva che i “
vantaggi
fiscali indebiti che si realizzano per effetto dell’operazione priva di sostanza
economica devono essere fondamentali rispetto a tutti gli altri fini perseguiti dal
contribuente, nel senso che il perseguimento di tale vantaggio deve essere stato lo
scopo essenziale della condotta stessa
.
comma 2, lett. a)
“S
i considerano operazioni prive di sostanza economica i fatti
,
gli atti e i contratti,
anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi
fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non
coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico
del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali
logiche di mercato”.
comma 2, lett. b)
“Si considerano vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati
in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento
tributario”. La relazione illustrativa (paragrafo 11.4) stabilisce che “
va da sé che il
contrasto del vantaggio fiscale dell’operazione con le norme e i principi
dell’ordinamento tributario va valutato con riguardo alle norme vigenti al momento
della realizzazione dell’operazione medesima; salva, ben inteso, l’ipotesi di
applicazione di successive norme di natura interpretativa. Si precisa che il richiamo
all’ordinamento tributario deve intendersi come comprensivo sia delle norme interne
che di quelle sovranazionali aventi efficacia nell’ordinamento interno
”.
comma 3
“Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide
ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che
rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero
dell’attività professionale del contribuente”
.
Secondo la relazione illustrativa “
la riconosciuta possibile coesistenza di ragioni
economiche extrafiscali con quelle fiscali lasciamargini di incertezza sul peso specifico
che le une devono assumere rispetto alle altre, affinché possa essere superato il
connotato di abusività dell’operazione. Si ritiene che per cogliere la non marginalità
delle ragioni extrafiscali occorra guardare all’intrinseca valenza di tali ragioni rispetto
al compimento dell’operazione di cui si indaga l’abusività. In questo senso, le valide
ragioni economiche extrafiscali non marginali sussistono solo se l’operazione non
sarebbe stata posta in essere in loro assenza. Occorre, appunto, dimostrare che
l’operazione non sarebbe stata compiuta in assenza di tali ragioni
”.
comma 4
“Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti
dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.
Secondo la relazione illustrativa, “
il comma 4 dell’art. 10 bis, in stretta connessione
con la definizione di condotta abusiva del comma 1 e in aderenza al criterio
direttivo dell’art. 5, comma 1, lettera b), della Legge delega, ribadisce il principio
generale secondo cui il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio
d’imposta esercitando la propria libertà di iniziativa economica e scegliendo tra gli
atti, i fatti e i contratti quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo. La norma
sottolinea, quindi, che l’unico limite alla suddetta libertà è costituito dal divieto di
perseguire un vantaggio fiscale indebito. Di qui la già sottolineata delicatezza
dell’individuazione delle rationes delle norme tributarie ai fini della configurazione
dell’abuso. Ad esempio, non è possibile configurare una condotta abusiva laddove
il contribuente scelga, per dare luogo all’estinzione di una società, di procedere a
una fusione anziché alla liquidazione. È vero che la prima operazione è a carattere
neutrale e la seconda ha, invece, natura realizzativa, ma nessuna disposizione
tributaria mostra “preferenza” per l’una o l’altra operazione; sono due operazioni
messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse. Affinché si
configuri un abuso andrà dimostrato il vantaggio fiscale indebito concretamente
conseguito, e, cioè, l’aggiramento della ratio legis o dei principi dell’ordinamento
tributario
”.
comma 5
“Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera c),
per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto”.
comma 12
“In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi
fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche
disposizioni tributarie”.
Il che conferma (secondo la relazione illustrativa) che la disciplina dell’abuso del
diritto ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti la
simulazione o i reati tributari, in particolare, l’evasione e la frode: queste fattispecie
vanno perseguite con gli strumenti che l’ordinamento già offre.
L
A NUOVA DISPOSIZIONE, che dovrebbe chiudere definitivamente la
questione circa la presunta elusione di un’operazione di cessione totalitaria
di quote sociali avvenuta in luogo della cessione di azienda, è contenuta
nel predetto comma 4 dell’art. 10 bis della Legge 212/2000 che, come
abbiamo visto, mantiene
ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali
diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale
.
Anche nell’ambito della Comunità Europea venne sancito che: “
Il soggetto passivo
ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permetta di
limitare la sua contribuzione fiscale
” (Corte di Giustizia delle Comunità Europee,
Sentenza 21 febbraio 2006, n. 255/02, par. 73).
N
ON PARE PERTANTO possano esistere spazi da parte
dell’Amministrazione Finanziaria ai fini accertativi delle imposte dirette
e di quelle indirette in tema di abuso del diritto/elusione fiscale
allorquandovengano cedute interamente le quote sociali anziché l’azienda.
Ciò in quanto, generalmente, nella cessione totalitaria delle quote sociali:
esiste la sostanza economica dell’operazione;
la realizzazione del vantaggio fiscale non è indebitao;
il vantaggio fiscale non è l’effetto essenziale dell’operazione;
gli effetti giuridici della cessione di quote sociali sono diversi da quelli della
cessione d’azienda;
il legislatore fiscale non ha posto alcun divieto nelle varie norme che si sono
succedute riguardanti la possibilità di rivalutazione a pagamento delle quote sociali
ancorché effettuata per la loro totalità (qualora i cedenti abbiano optatoo o optino
in futuro per l’affrancamento fiscale delle quote societarie tramite, per l’appunto,
le varie norme di rivalutazione che si sono susseguite nel tempo);
nella cessione di quote sociali l’acquirente non deduce fiscalmente il costo
dell’acquisto delle quote a differenza di quanto si verifica nell’acquisto d’azienda.
Infine, si segnala quanto riportato nella prima pagina della relazione illustrativa al
Decreto Legislativo 128/2015:
“Mutamenti frequenti e incisivi nella normativa fiscale e nella sua interpretazione
non solo hanno generato costi aggiuntivi di adempimento (connessi con
l’apprendimento delle nuove norme, l’instaurazione delle nuove procedure, gli
inevitabili dubbi interpretativi iniziali, il conseguente insorgere di contenziosi) ma
hanno anche modificato le convenienze su cui erano basate le scelte economiche
prese in passato. Soprattutto, hanno generato incertezza, con effetti negativi sulla
credibilità e sulla stabilità di medio e lungo periodo della politica tributaria.
In particolare, sul fronte dell’abuso del diritto alcune recenti sentenze della Corte di
Cassazione hanno aperto nuove prospettive ermeneutiche, producendo ulteriori
forti incertezze riguardo alla legittimità di comportamenti ritenuti in passato corretti.
La letteratura economica evidenzia che l’incertezza, in campo fiscale come negli
altri campi, è deleteria per le decisioni di investimento e quindi per la crescita
economica. A differenza del rischio - che è in qualche modo misurabile
dall’imprenditore e la cui gestione in fondo è il cuore dell’attività d’impresa -
l’incertezza, invece, è l’ignoto, da cui rifuggire: l’imprenditore rinvia l’investimento,
o lo localizza altrove. Stabilità e certezza nell’ordinamento fiscale, ivi inclusa
l’interpretazione delle norme e l’attività giurisdizionale, nonché l’esito dell’eventuale
contenzioso, sono fattori importanti nella competizione fiscale tra Stati, almeno
quanto il livello effettivo di tassazione”.
Il quadro delineato dalla relazione illustrativa al decreto è rispondente alla realtà.
Speriamo che ci sia il buon senso da parte di tutti, dall’Amministrazione Finanziaria
al contribuente e ai suoi consulenti, nell’interpretare e applicare ai casi concreti la
normativa. Ravvisare in ogni dove l’abuso del diritto non giova all’economia e alla
collettività. Può capitare, ad esempio, che, raggiunto l’accordo sul prezzo della
cessione totalitaria delle quote sociali, l’operazione resti paralizzata e non venga
(alla fine) compiuta per la paura verso il fisco; la società viene sciolta e l’attività
cessata con perdita di posti di lavoro e di patrimonio: un danno per tutti!
SEGUE DA PAGINA 10
La cessione totalitaria di quote sociali
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