Il Commercialista Veneto n.230 (MAR/APR 2016) - page 36

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NUMERO 230 - MARZO / APRILE 2016
IL COMMERCIALISTA VENETO
FUORI CAMPO IVA
Paolo Lenarda
Ordine di Venezia
SCRIVERE
A
LLONTANO IL LIBRO che sto leggendo.
Mi alzo e gli vado incontro.
Dobbiamo organizzare la visita al museo della
stampa, a Cornuda.
Entra sorridendo.
Ha in mano un volume con la copertina rossa, sembra
quasi un codice.
Lo appoggia sul tavolo.
Un libro, un volume, un codice.
Ma perché tutti questi nomi per indicare, in sostanza,
sempre la stessa cosa?
Dove sono le differenze?
Possiamo dire che, oggi, non ci sono.
Ma nei secoli passati non era così.
Nel 100 d.C., in Cina, già usavano la carta.
Nel 1276 troviamo la prima produzione a Fabriano.
E prima, dove scrivevano?
Sul papiro, sul legno, sulla cera, sulla creta, sulla pelle
delle pecore, sulla corteccia degli alberi.
Andiamo a vedere i romani: potevano scrivere sulla
pelle delle pecore, come usavano nella città di Pergamo,
poi avvolgere la pergamena e archiviare il “volumen”.
Era, forse il caso più usuale, in alternativa al
costosissimo foglio di papiro usato in Egitto.
Potevano anche usare il “liber”: quella pellicola che sta
fra l’albero e la corteccia. La tagliavano in foglietti e la
mettevano una sopra l’altra.
E’ un materiale molto delicato e credo che a noi sia
rimasta soltanto la memoria.
Le cose più importanti, quando non venivano scolpite
sulla pietra, venivano scritte sulla corteccia (codex), o
su tavolette di legno debitamente incerate.
E anche queste venivano raccolte una sull’altra.
L’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo ha permesso,
a Pompei, la conservazione di un disegno di particolare
interesse, che troverete qui riprodotto: l’uomo tiene in
mano un volumen e la donna, con uno stilo
graziosamente tenuto vicino alle labbra, tiene in bella
mostra due tavolette unite ad un bordo. E’ un piccolo
codex sul quale sicuramente è stato riportato un testo
di particolare interesse, che il tempo non deve
distruggere.
In Europa non è cambiato molto fino a quando inizia
l’uso della carta.
I testi medioevali che ci sono pervenuti sono stati
scritti, a mano, da pazienti scrivani su pelle di animali
che abili artigiani avevano imparato a conciare e a
rilegare in forma di libro, di più facile lettura e
archiviazione, rispetto all’ originale volumen.
All’inizio la carta veniva fatta con gli stracci che, bolliti
e ridotti in poltiglia, venivano lasciati filtrare su setacci
metallici con trama molto fitta e, poi fatti asciugare,
appesi ad una corda, come un fazzoletto.
Ne usciva un foglio di carta molto porosa che possiamo
paragonare alla carta asciugante che i più anziani hanno
usato a scuola, quando si scriveva con la penna e con
l’inchiostro.
Il miglioramento è evidente anche se non era così facile
scrivere e, comunque, lo scritto sbiadiva e scompariva
con il passare dei mesi.
Federico II, re di Sicilia nel 1231, e, nello stesso periodo,
anche Padova, vietavano l’uso della carta per gli atti
pubblici, che dovevano continuare a essere riportati
sulla più sicura pergamena.
Per un tempo abbastanza lungo le cartiere di Fabriano
hanno continuato a produrre, assieme, carta e
pergamena.
Solo più tardi si è scoperto, forse per caso, che far
bollire con gli stracci anche gli avanzi della pelle delle
pecore dava alla carta una maggiore consistenza e
permetteva all’inchiostro di non svanire in un tempo
troppo breve
Nel corso dei secoli le differenze dei materiali e delle
forme è andata scomparendo.
Continuiamo però a chiamare codici i libri che
contengono gli argomenti più importanti, quelli che
devono durare come le norme che regolano la vita di un
Paese.
Siamo andati a Cornuda, dove, in Via Cotonificio 3, i
fratelliAntiga, storica famiglia di tipografi, hanno creato
un museo che illustra la storia della stampa dopo
l’invenzione di Gutenberg, con qualche cenno ai secoli
precedenti.
E’ interessante e bellissimo.
Andate a visitarlo.
Informatevi se c’è il signor Sandro, fategli qualche
domanda: il suo entusiasmo e la sua passione vi daranno
un’emozione in più.
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