Il Commercialista Veneto n.230 (MAR/APR 2016) - page 3

NUMERO 230 - MARZO / APRILE 2016
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
conservazione della ricchezza, perché evitavano la distruzione di imprese pur in
crisi, ma ancora in grado di produrre reddito se inserite tempestivamente in un
circuito di procedure concorsuali non puramente liquidatorie. Ripeto, in allora era
assai diffuso il rilievo secondo cui spesso i fallimenti intervenivano troppo tardi,
quando ormai la protratta gestione negativa di imprese in crisi aveva distrutto ogni
possibilità di salvataggio, anche parziale, pur con il taglio dei c.d. rami secchi. È per
questo che non mi ha sorpreso l’inserimento nella legge delega di questo istituto,
che è perfettamente in linea con la filosofia conservativa della Riforma fallimentare.
- Cosa pensa del timore che le procedure di allerta possano creare ostacoli e
danni all’imprenditore, se decide di affidarsi alla procedure rese pubbliche
nel Registro delle Imprese, e di un possibile esito giudiziale della procedura?
Visto poi che nello schema del disegno di legge Rordorf, in caso di inerzia
dell’imprenditore, è prevista la segnalazione all’Organo di composizione
della crisi sia da parte degli organi di controllo societario, del revisore contabile
e della società di revisione, che da parte del Fisco e dell’INPS?
Ogni soluzione ha sempre una controindicazione, solitamente legata ad una distorta
applicazione del modello normativo e della
ratio
che ne sta a monte. In effetti, c’è
il pericolo che il “sistema” imprenditoriale e soprattutto creditizio finiscano per
percepire la crisi alla stregua di irreversibili insolvenze e, dunque, per negare forniture
e credito alle imprese segnalate all’organo di composizione della crisi. Ma, nel
bilanciamento dei due rischi, credo che la strada scelta della Commissione Rordorf
(sostanzialmente coincidente con quella suggerita dalla Commissione da me
presieduta) sia la più corretta. La giurisprudenza e la dottrina concorsuale dovranno
impegnarsi in questo grande cambiamento culturale.
- Cosa pensa del fatto che Confindustria sarebbe contraria alla procedura di
allerta?
Anche all’epoca della attività della Commissione da me presieduta Confindustria e
Assonime si erano dichiarate contrarie alla procedura di allerta. Su questo punto si
è svolto un lungo e serrato dibattito, a seguito del quale è prevalsa la linea avversata
da Confindustria. Spero che l’esperienza maturata da allora e i dati evidenziati dalle
statistiche giudiziarie possano, ora, far venir meno le perplessità sull’adozione di
questo istituto nuovo per il nostro sistema.
- Secondo Lei il processo di ammodernamento delle norme sulla crisi di
impresa, iniziato ancora nell’anno 2000, può cogliere l’obiettivo di
rinnovamento cui tendeva la Sua Commissione?
Penso di sì, anche perché nel 2000 si era ancora ben lontani dal percepire le novità
successivamenterecepiteintemadi“crisi”dell’impresa;lagiurisprudenza,purconsiderando
la grande evoluzione del c.d.
diritto vivente
, era ancorata alla logica liquidatoria e punitiva
del fallimento, come delineata dalla vecchia legge del 1942. La successiva evoluzione
normativa ha via via recepito il cambiamento culturale da noi avviato.
- Cosa pensa del nuovo aggravio di responsabilità attribuite ai professionisti
che occupano ruoli di controllo e di vigilanza nelle società i quali sono
obbligati a segnalare all’organo amministrativo delle società l’esistenza di
“campanelli d’allarme” della crisi? E del nuovo incarico affidato ad un
professionista da parte del Presidente della sezione specializzata dal
Tribunale di redigere una relazione sullo stato di crisi dell’impresa?
Le previsioni dell’aggravio di responsabilità per i professionisti che assistono
l’impresa in crisi e le nuove incombenze attribuite dalla c.d. riforma Rordorf altro
non sono che l’ennesima conferma della necessità di particolare specializzazione in
chi opera, a qualsiasi livello, come ausiliario del giudice delegato. Una mera cultura
generalista, un tempo bastevole, ormai non serve più a niente! Anche questa è una
norma che deve indurre i Tribunali a scegliere i curatori ed i coordinatori fra un
numero ben ristretto di professionisti. Si finirà per fare delle funzioni del curatore
una professione a sé.
- Quali potrebbero essere le misure premiali per l’imprenditore per indurlo
a far emergere il proprio stato di crisi e ad affidarsi alle procedure d’allerta?
Mi pare di poter far riferimento soprattutto a misure premiali sotto il profilo
penale e/o fiscale. Per esempio, la previsione di un’attenuante speciale nell’ipotesi
in cui fossero ravvisabili reati nei fatti attribuibili all’imprenditore. È noto che
proprio il timore di avere guai di tipo penale costituisce ora un rilevante ostacolo
all’approccio a qualsiasi tipo di procedura concorsuale. Ricordo al riguardo che la
riforma da noi presentata prevedeva un corpo di norme penali e fiscali che si
integravano e completavano il quadro riformatorio proposto e che ogni riforma
della procedura dovrebbe a mio avviso comportare un riesame anche di tali aspetti
e fornire una normativa complessivamente coerente.
-
L’economia e l’impresa hanno bisogno di riforme che regolino con chiarezza
e sobrietà, a vantaggio della collettività e dell’impresa, le situazioni di crisi
che ormai in questi anni sono all’ordine del giorno anche al fine di allinearsi
alle legislazioni europee. Secondo Lei è questo il momento con questa nuova
ed ennesima riforma Rordorf?
Concordo pienamente con l’esigenza sottesa alla sua domanda. Per l’adeguamento
dell’ordinamento ai parametri europei, a protezione dell’economia e delle imprese,
c’è sempre una connotazione di attualità non rinviabile. Il massimo auspicio è
quello di individuare un sistema concorsuale condiviso da tutte le categorie di
operatori economici interessati, ma soprattutto stabile e non ondivago nella sua
stessa “filosofia”. Penso, in conclusione, che si sia raggiunta la necessaria
consapevolezza e che i tempi siano maturi per allinearsi alle normative
all’avanguardia in Europa e idonee a soddisfare le esigenze delle imprese e della
economia nazionale.
Ringrazio, anche a nome di tutti i nostri lettori, l’Avvocato Sandro Trevisanato per
averci fatto conoscere il suo prezioso contributo alle riforme delle procedure
concorsuali e per averci fatto constatare come oggi, a distanza di molti anni, le sue
proposte innovative sulle procedure di allerta siano state riportate all’attualità
della nuova riforma della legge fallimentare.
L
’ASSEMBLEA DEL 26 FEBBRAIO scorso di Intesa San Paolo che
aveva all’Ordine del Giorno il passaggio dal sistema dualistico a quello
monistico ha approvato il cambio di sistema proposto.
Ad essa ha partecipato, come si legge nella stampa specializzata, il 62% del
capitale sociale.
Tenuto conto che i fondi internazionali detengono complessivamente il 40%
delle azioni ordinarie aventi diritto al voto, e che per tradizione i fondi si
presentano compatti nelle assemblee, soprattutto in quelle in cui vengono
nominati gli amministratori, ne risulta che nella predetta assemblea, essi fondi
hanno rappresentato circa il 63% del capitale votante.
Una minoranza–maggioranza in definitiva, che, come è dato leggere, ha accolto
con tripudio il nuovo sistema di
governance
. Essa a fine aprile provvederà alla
nomina del nuovo Consiglio, al cui interno agirà il Comitato di Controllo con
poteri assai ampi se non superiori a quelli di un Collegio Sindacale.
In questa situazione quali prospettive si aprono (sarebbe più realistico dire “si
chiudono”) per i commercialisti?
Appare lecito supporre che i componenti del Comitato di Controllo saranno
persone certamente dotate di esperienza e competenza, ma di fiducia esclusiva
dei fondi, i quali altrettanto presumibilmente si rivolgeranno a membri delle
società di revisione che li controllano; oppure anche no.
Nel complesso queste considerazioni rientrano in un quadro certamente
pessimistico, ma sicuramente non trascurabile.
Allora, come recita la famosa battura di Andreotti (a pensar male si fa peccato,
ma quasi sempre ci si azzecca) ne deriverebbe come conseguenza che la possibilità
di vedere nostri colleghi far parte di un Comitato di Controllo, benché previsto
espressamente dall’art. 2409 octiesdecies c.c., risulterebbe aleatoria.
In tal caso verrebbe a mancare non solo una opportunità di lavoro ma anche, e
direi soprattutto, verrebbe inferta una mutilazione alla possibilità di acquisire
esperienza ad uno dei livelli più alti dell’esercizio della nostra professione.
Allo stato, non è dato sapere quante altre società adotteranno il regime monistico,
ma l’euforia che ha avvolto la delibera dell’assemblea di Intesa e la presenza dei
fondi largamente diffusa in molte altre società di capitali italiane, lasciano
intendere che il “contagio” stia diffondendosi.
A questo punto viene spontanea una domanda: ma è davvero inaccessibile
l’ipotesi di apportare una modifica al 3° comma del citato art. 2409 octiesdecies
c.c. nel senso di sostituire “i revisori legali” con “gli iscritti all’Ordine dei
Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili” tenendo conto che già il secondo
comma del 2409 noviesdecies affida la revisione legale ad un revisore legale o ad
una società di revisione?
Noi potremmo così apportare al Comitato l’esperienza del vissuto aziendale,
anziché una inutile sovrapposizione di funzioni.
Sarebbe proprio una bella impresa; in ogni caso un miracolo.
Purtroppo non mi risulta esistere un santo o quanto meno essere in atto un
processo di canonizzazione di un commercialista cui rivolgersi per
raccomandazioni ed innalzare preghiere propiziatorie perché il miracolo avvenga.
Per un "nuovo" monistico
Una proposta per la categoria. E non solo
DINO SESANI
Ordine di Venezia
L'INTERVISTA /
Trevisanato
SEGUE DA PAGINA 2
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