Il Commercialista Veneto n.230 (MAR/APR 2016) - page 9

NUMERO 230 - MARZO / APRILE 2016
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
NORME E TRIBUTI
FAUSTO GALLO
Ordine di Belluno
La cessione totalitaria di quote sociali
configura abuso del diritto?
SEGUE A PAGINA 10
P
RIMA DELL’EMANAZIONE delle recenti
disposizioni riguardanti l’abuso del diritto o
elusione fiscale, contenute nel Decreto Legislativo
5 agosto 2015, n. 128, art. 1 (che ha introdotto
l’art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente di cui
alla Legge 27 luglio 2000, n. 212) accadeva che, talvolta,
l’Amministrazione Finanziaria, considerato anche il dettato
del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, ritenesse
sussistenti le condizioni che consentivano alla stessa di
riqualificare un’operazione posta in essere al fine della
cessione totalitaria di quote sociali
, assimilabile, a dire
dell’Ufficio, ad una cessione di azienda. Generalmente,
nell’atto impositivo si leggeva che: “
ritenuta la cessione
delle quote un’operazione chiaramente elusiva consistente
nel trasferimento indiretto dell’azienda, attuato mediante
la cessione delle partecipazioni, che rappresentano l’intero
capitale sociale della società, e quindi attraverso la cessione
di beni di secondo livello, anziché cedere direttamente
l’azienda, cioè i beni di primo livello. Tale operazione ha
consentito ai cedenti di conseguire notevoli vantaggi fiscali
altrimenti non conseguibili ai fini delle imposte indirette”
.
Anche prima della recente introduzione delle predette
disposizioni riguardanti l’abuso del diritto e l’elusione
fiscale, la riqualificazione fiscale operata
dall’Amministrazione Finanziaria appariva illegittima.
Preliminarmente si segnala che il Ministero delle Finanze (Risoluzioni 28/03/1983
n. 251368 - 05/06/1989 n. 310356) affermò che “
le cessioni, tanto di alcune, quanto
di tutte le quote sociali di una società di persone a nuovi soci, agli effetti dell’imposta
di registro, non configurano un trasferimento di azienda”.
Successivamente, fu chiesto al Consiglio Nazionale del Notariato di esaminare se, ai
sensi dell’art. 20 del Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro
(D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in seguito anche TUR) l’Agenzia delle Entrate abbia
il potere di riqualificare come cessione di azienda il trasferimento ad una persona
fisica delle quote rappresentative l’intero capitale sociale di una srl.
Il Consiglio Nazionale del Notariato (studio n. 170-2011/T, approvato dalla
Commissione Studi Tributari il 1 marzo 2012) così si espresse:
Nella cessione di quote, pur in presenza di un indice indiretto di capacità contributiva
economicamente valutabile, il legislatore ha chiaramente optato per un trattamento
di favore, trattamento a cui altrove ha invece rinunciato. Così nel caso della cessione
di azienda, dove a fronte di un indice contributivo che può essere il medesimo di
quello della cessione dell’intera partecipazione, ha previsto un’imposta in misura
proporzionale. Ne discende che, l’Amministrazione Finanziaria riqualificando una
cessione di quote in cessione di azienda, oltre ad alterare e violare la logica-
sistematica delle disposizioni normative volute dallo stesso legislatore, finirebbe
per produrre effetti distorsivi ed arbitrari (si pensi alla differenza di trattamento
con una cessione che lasci al cedente solo una partecipazione assolutamente
minoritaria e che dunque consente all’acquirente di raggiungere il medesimo
risultato).”
La riqualificazione della “cessione di quote”, negozio posto in essere dalle parti, in
“cessione di azienda”, troverebbe il suo fondamento nell’art. 20 del TUR (rubricato
“interpretazione degli atti”) ai sensi del quale, l’imposta prescindendo dal titolo o
dalla forma apparente deve essere applicata tenendo conto dell’intrinseca natura e
degli effetti giuridici degli atti. Ne è disceso un indirizzo interpretativo per il quale
l’Amministrazione sarebbe legittimata a disconoscere gli effetti tributari e civili
tipici degli atti o negozi posti in essere dalle parti, ogni qualvolta tali effetti non
appaiaono conformi alla “causa reale” dell’operazione economica complessivamente
realizzata e dunque prescindendo dal
nomen iuris
attribuito all’atto. Impostazione
che si fonderebbe sulla valorizzazione dell’art. 20 TUR come norma generale
antielusiva per l’imposizione di registro.
Non è necessario ripercorrere le strade del dibattito sulla portata quale norma
antielusiva generale dell’art. 20 TUR per risolvere il caso di specie. Nessuna elusione
sembra infatti caratterizzare quest’ultimo che appare piuttosto come un’ipotesi di
legittima scelta di un tipo negoziale invece di un altro.
Pertanto, e è indubitabile che l’Amministrazione in forza di tale disposizione non
è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero
quella “forma apparente” al quale lo stesso art. 20 fa riferimento, è indubbio che in
tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel
quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie
imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici. In
altre parole, essa non deve ricercare un presunto effetto economico dell’atto tanto
più se e quando - come nel caso di specie - lo stesso è il medesimo per due negozi
tipici diversi per gli effetti giuridici che si vogliono realizzare. Infatti, ancorché da
un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi ceda
l’azienda sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, posto che in entrambi
i casi si “monetizza” il complesso di beni aziendali, si deve riconoscere che dal
punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse. Diversa è la
posizione di chi acquisisce una partecipazione da chi acquisisce l’azienda. E ciò in
primo luogo dal punto di vista contabile e fiscale: si pensi, ad esempio, al differente
regime in tema di iscrizione in bilancio e di determinazione e tassazione di plusvalenze
e minusvalenze.
Diversi gli stessi effetti negoziali e dunque le ragioni che possono aver determinato
le parti a scegliere un tipo invece di un altro. Si tratta infatti di due negozi tipici
ciascuno dei quali idoneo a produrre gli effetti giuridici propri previsti dal Codice
Civile: si rifletta sul diverso regime in tema di concorrenza; (basti pensare alla
disciplina prevista dall’art. 2557 del Codice Civile, con la quale è fatto divieto al
cedente, per la durata di cinque anni dalla cessione, di intraprendere una nuova
impresa che per oggetto, ubicazione o altre circostanze arrechi pregiudizio all’azienda
ceduta) o alla complessa disciplina delle responsabilità derivanti dalla passata
gestione aziendale (laddove il cedente, a certe condizioni, rimane responsabile in
solido con il cessionario delle passività inerenti la passata gestione dell’azienda
ceduta ex art. 2560 del Codice Civile) ivi comprese quelle di natura fiscale così come
previsto dall’art. 14 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (il cessionario
è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del
cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento
dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è
avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate
nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore).
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