Il Commercialista Veneto n.238 (LUG/AGO 2017) - page 18

NUMERO 238 - LUGLIO / AGOSTO 2017
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
ANTONIO VIOTTO
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Ordine di Treviso
NORME E TRIBUTI
Il requisito della commercialità
nella disciplina PEX
SEGUE A PAGINA 18
I
l requisito di cui alla lett. d) dell’art. 87 del TUIR si ritiene sia stato
concepito per escludere dal regime dell’esenzione le partecipazio
ni in società senza impresa o di mero godimento, talché, in assenza
di un’attività imprenditoriale, si presume che venga a mancare
l’equivalenza economica tra plusvalenza e dividendi e, dunque, si incri-
ni la coerenza sistematica cui tende la disciplina di esenzione delle
plusvalenze. Tale esclusione dal regime dell’esenzione non dovrebbe
operare nei casi in cui, accanto ad un’attività di mero godimento, venga
esercitata un’impresa commerciale caratterizzata da una dimensione si-
gnificativa in termini di valori patrimoniali e di redditività generata.
1.
Premessa
Il requisito della commercialità dell’attività esercitata dalla società parteci-
pata, previsto alla lett. d), comma 1, dell’art. 87 del TUIR, rappresenta –
insieme alle altre condizioni anch’esse inserite nel corpo dell’art. 87, comma
1, alle lettere a), b) e c) – un elemento imprescindibile affinché una parteci-
pazione possa accedere al regime della
participation exemption
.
Si tratta di un requisito che sembra rispondere ad una duplice funzione.
Da un lato, sotto il profilo strutturale, esso pare diretto ad evitare che – non
già in assoluto, ma secondo un giudizio di normale regolarità causale – si
verifichino sfasamenti tra plusvalenze e dividendi
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, di modo che l’esenzio-
ne possa abbracciare solo i casi in cui le plusvalenze riflettano utili delle
società partecipate già prodotti e tassati o che si prevede ragionevolmente
che si produrranno e saranno tassati. Ciò in considerazione del fatto che
l’esercizio di un’impresa commerciale da parte della società partecipata –
esercizio che, peraltro, deve protrarsi per almeno un triennio, giusta quanto
prescrive il secondo comma dell’art. 87 – dovrebbe rappresentare un pre-
supposto per la sua attitudine a produrre utili e dunque dividendi
3
.
Dall’altro lato, esso riflette una finalità dissuasiva, consistente nell’osta-
colare la circolazione, senza tassazione, dei beni di primo grado (quelli della
partecipata) attraverso la cessione dei beni di secondo grado (le partecipa-
zioni), operazione che si potrebbe connotare in termini
lato sensu
elusivi
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in presenza di situazioni nelle quali la società (formalmente commerciale),
lungi dal rappresentare lo strumento per l’esercizio in comune di un’attività
imprenditoriale, costituisce un mero contenitore attraverso il quale detene-
re beni che non si ritiene opportuno o utile vengano posseduti direttamen-
te dai soci
5
.
Tuttavia, l’eventualità che, anche in assenza di un’attività commerciale, si
pervenga alla tassazione di plusvalenze pur in presenza di utili già tassati in
capo alla partecipata
6
, dovrebbe far propendere per un’interpretazione ampia
della disposizione della lett. d) che porti ad espungere dal perimetro dell’art.
87 i soli casi di società senza impresa o di mero godimento
7
, in cui l’even-
tualità che si producano utili è più remota (sia nell’
an
che nel
quantum
) ed
[1] Antonio Viotto, commercialista in Treviso, è Professore Associato di Diritto Tributario presso l’Università degli Studi Ca’ Foscari di Venezia, ed è Presidente della
Commissione di Studio di Diritto Tributario Nazionale ed Internazionale dell’ODCEC di Treviso.
[2] In effetti, il regime di esenzione di cui all’art. 87 del TUIR dovrebbe essere apprezzato, in un’ottica di sistema, in uno con il regime di esclusione dei dividendi, di cui all’art.
89 del TUIR, con il quale condivide la ratio di evitare la duplicazione d’imposta e la funzione di neutralizzare la circolazione degli utili tra le società soggette all’IRES, sul
presupposto che sussista un parallelismo tra i due componenti reddituali tale per cui il realizzo della plusvalenza si configura come una modalità a disposizione del socio per
monetizzare i dividendi che si prevede che la società partecipata riuscirà ad erogare nel futuro, una modalità alternativa e anticipatoria rispetto alla distribuzione, tanto degli utili
già prodotti e accantonati a riserva, quanto di quelli che si stima la società potrà produrre nel futuro. Sul punto, sia consentito il rinvio a VIOTTO A., Il regime tributario delle
plusvalenze da partecipazioni, Torino, 2013, pag. 151 ss.
[3] Anche Russo P.,
I soggetti passivi dell’IRES e la determinazione dell’imponibile
, in RUSSO P. (a cura di),
La riforma dell’imposta sulle società
, Torino, 2005, p. 107, pur muovendo
in una prospettiva di ragionamento diversa, riconosce che «laddove tale requisito non dovesse realizzarsi, i plusvalori eventualmente emergenti in occasione della cessione delle
partecipazioni non risulterebbero formati da entità economiche già sottoposte a tassazione in capo alla partecipata, onde l’imposizione del suddetto plusvalore realizzato dalla cedente
non configurerebbe alcuna doppia imposizione, neppure sul piano economico». Nello stesso senso, Padovani F.,
Commento all’art. 87
, in Falsitta G., Fantozzi A., Marongiu G. e
Moschetti F., Commentario breve alle leggi tributarie, Tomo III – Testo unico delle imposte sui redditi e leggi complementari (a cura di Fantozzi A.), Padova, 2010, p. 441; nonché la
Relazione finale della Commissione Biasco, laddove si riconosce che «la legislazione vigente già prende in considerazione, almeno parzialmente, ipotesi di plusvalori realizzati che si
colleghino a valori latenti del patrimonio della società partecipata attraverso corret-tivi che evitano l’applicazione indiscriminata del regime di esenzione dei plusvalori. Sono, infatti,
espressamente escluse dall’ambito applicativo del regime di participation exemption le partecipazioni in società immobiliari e quelle che non svolgono attività commerciali».
[4] Per quanto si debba rammentare che la scelta in merito al bene da vendere non dovrebbe costituire, di per sé, un comportamento elusivo, trattandosi di scelta tra due
alternative previste, in modo strutturale e fisiologico, dall’ordinamento. Tale principio è oggi affermato dall’art. 10-bis, comma 4, dello Statuto del contribuente, il quale
stabilisce che «resta ferma la libertà di scelta del contribuente … tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale». Esso era, peraltro, già stato riconosciuto dalla Relazione
ministeriale di accompagnamento al D.Lgs. n. 358 del 1997 (che ha inserito l’art. 37 bis nel D.P.R. n. 600 del 1973), laddove si legge che si verifica un legittimo risparmio di
imposta «quando, tra vari comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente sceglie quello fiscalmente meno oneroso. Non c'è aggiramento
fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l'ordinamento gli mette a disposizione. Una diversa soluzione finirebbe
per contrastare con un principio diffuso in tutti gli ordinamenti tributari dei paesi sviluppati, che consentono al contribuente di regolare i propri affari nel modo fiscalmente
meno oneroso, e dove le norme antielusiva scattano solo quando l'abuso di questa libertà dà luogo a manipolazioni, scappatoie e stratagemmi, che – pur formalmente legali –
finiscono per stravolgere i principi del sistema. La norma antielusione non può quindi vietare la scelta, tra una serie di possibili comportamenti cui il sistema fiscale attribuisce
pari dignità, quello fiscalmente meno oneroso» (il punto viene ripreso anche dalla Circolare n. 320 del 1997). Osserva in proposito LUPI R.,
Le operazioni straordinarie e
l’elusione
, in Russo P. (a cura di),
La riforma dell’imposta sulle società
, Torino, 2005, p. 206, che «la canalizzazione della cessione per il tramite di una partecipazione societaria,
che non comporta imposizione per il cedente e non attribuisce costi all’acquirente, è collocata su un piano di pari dignità sistematica rispetto a quella dove il cedente è soggetto
a imposizione, ma l’acquirente deduce i relativi maggiori costi» e ravvisa nell’art. 176, comma 4, del TUIR una conferma, ancorché non necessaria, della «piena legittimità
logico sistematica di questo comportamento attraverso il quale si realizza la «monetizzazione dei valori sotto forma di cessione di partecipazioni».
[5] Anche l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto che la ratio della disposizione di cui al secondo periodo della lett. d) in commento risiederebbe «principalmente nella volontà
di impedire che la cessione della partecipazione nella società immobiliare si ponga su un piano di teorica equivalenza rispetto alla cessione degli immobili e che, quindi, tramite
la cessione della partecipazione si trasferiscano in esenzione i beni di primo grado che il titolo rappresenta». «In altri termini» – ha ritenuto l'Agenzia – «l'esenzione della plusvalenza
realizzata a seguito della cessione della partecipazione detenuta in una società immobiliare ... è consentita solo qualora sia ceduta un'effettiva attività d'impresa che abbia per oggetto
la costruzione o la vendita degli immobili e non già la mera utilizzazione passiva degli stessi» (Risoluzione 15 dicembre 2004, n. 152/E). In dottrina la posizione è condivisa da BORIA
P.,
Il sistema tributario
, Torino, 2008, p. 397-399; TESAURO F.,
Istituzioni di diritto tributario
. Parte speciale, Torino, 2012, p. 116; FICARI V.,
La cessione delle partecipazioni
e l’imposizione delle plusvalenze
, in Boll. Trib., 2005, p. 1773; PORCARO G.,
La participation exemption in precario e confuso equilibrio tra esenzione ed esclusione
, in Dialoghi
trib., 2004, p. 1049; GARBARINO C.,
Le plusvalenze esenti
, in Tesauro F. (diretta da),
Imposta sul reddito delle società (IRES
), Bologna, 2007, p. 225; LUPI R.,
Strumentalità per
destinazione: un concetto per troppo tempo dimenticato
, in Dialoghi trib., 2005, p. 571; FANELLI R.,
L'Agenzia delle entrate chiarisce la "participation exemption"
, in Corr. trib.,
III, 2004, p. 2712; RICCI S.,
La nozione di "patrimonio sociale" ai fini del requisito di commercialità ex art. 87, comma 1, lettera d) T.U.I.R.
, in Dialoghi trib., 2004, p. 1704; DEL
FEDERICO Luca,
Cessione di partecipazioni e regime di participation exemption per le immobiliari di costruzione proprietarie di centri commerciali
, in Il Fisco, 2005, p. 5497;
BUZZELLI M. T. e ROSSETTI D.,
Centri commerciali e pex
, in Il Fisco, 2007, p. 4148-4149; Associazione Dottori Commercialisti di Milano,
Participation exemption ex art. 87
D.P.R. n. 917/86
, in Boll. trib., III, 2008, p. 1666; MOSCAROLI R. e MOSCARIELLO M.,
La commercialità nel regime della participation exemption
, in Boll. trib., 2010, p. 1020;
PACIERI A. e SILVETTI F. M.,
“Start-up" e finalità della "participation exemption”
, in Dialoghi trib., 2010, p. 627.
[6] Giacchè, l’assenza di un’attività commerciale non dovrebbe escludere tout court l’esistenza di un’attività economica, da cui potrebbero scaturire degli utili.
[7] V. Russo P.,
I soggetti passivi dell’IRES e la determinazione dell’imponibile
, cit., p. 108, ad avviso del quale la disposizione in questione «sembra riaprire il problema
concernente la rilevanza ai fini tributari di società senza impresa e conferire loro una disciplina appli-cativa differente rispetto alle altre strutture societarie». In senso conforme
v. Ficari V.,
La cessione delle partecipazioni e l’imposizione delle plusvalenze
, cit., p. 1773. In argomento v. anche Pedrotti F.,
Cessioni di aziende e di partecipazioni sociali
nel reddito di impresa ai fini dell’IRES
, Milano, 2010, p. 118 s.; Pedrotti F.,
La participation exemption quale nuovo regime ordinario di circolazione delle partecipazioni
societarie
, in Riv. dir. trib., I, 2005, p. 1145.
1...,8,9,10,11,12,13,14,15,16,17 19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,...29
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