Il Commercialista Veneto n.238 (LUG/AGO 2017) - page 12

NUMERO 238 - LUGLIO / AGOSTO 2017
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
ASSUNTA INCARNATO
MASSIMO MOSER
Ordine di Bolzano
CONTENZIOSO TRIBUTARIO
Il principio di soccombenza
Dalla normativa all'applicazione
T
alune volte in Italia lascia perplessi l’uso, da parte delle Commis-
sioni tributarie, di opinabili norme spesso vetuste o poco coordi-
nate con l’attività legislativa successiva e, paradossalmente, in
altri casi, il consapevole inutilizzo di una normativa più moderna
e strutturata.
Ci riferiamo al ben noto “principio di soccombenza” nei processi tributari.
Accade, infatti, che il contribuente venga trascinato davanti alla Commissio-
ne Tributaria da un’Amministrazione finanziaria disinteressata sempre più
spesso a quel principio di collaborazione che dovrebbe caratterizzare il rap-
porto fra fisco e contribuente, peraltro giá da tempo codificato nella normati-
va e alla base del cosiddetto Statuto del Contribuente (Legge 212/2000).
Allo stesso tempo, però, la medesima Amministrazione finanziaria risulta
anche sempre più propensa a sostenere tesi che, fondandosi su frammen-
tate e precarie basi normative, portano la stessa a decidere senza paura
alcuna di recare danno al contribuente, il quale, spesso, riscuotendo, pur-
troppo scarsa collaborazione con gli strumenti deflattivi utilizzabili, dovrà
sostenere un lungo e costoso
iter
, composto da tre gradi di giudizio, prima
di vedersi notificare l’ultima sentenza a suo favore che possa una volta per
tutte chiudere la questione. Peraltro, dopo questo lungo cammino che, nel
nostro esempio, porta infine ad un esito favorevole per il contribuente, a
quest’ultimo non verranno riconosciute, nella maggior parte dei casi, ne-
anche tutte le spese sostenute per affrontare la controversia (spese di
assistenza tecnica e legale, contributo unificato, etc…).
Ciò accade perché i giudici tributari prediligono la formula della cosiddetta
“compensazione delle spese”, rispetto al suddetto “principio di
soccombenza”, in base al quale la parte soccombente, appunto, dovrebbe
rimborsare le spese sostenute alla parte vincitrice.
Nel nostro ordinamento un cambiamento radicale lo si è avuto con il D.Lgs.
n. 156/2015, che ha modificato completamente l’art. 15 del D.Lgs. n. 546/
1992; tali novità sembrano tuttavia essere solo un buon esercizio di tecnica
normativa, in quanto finora, sostanzialmente, sembra abbiano avuto un
limitato impatto sull’andamento dei procedimenti.
Non volendo però cadere nel vortice della banalità e semplicità critica, si
deve anche evidenziare che, a livello nazionale, qualche passo in avanti è
stato registrato: in giugno di quest’anno é stata pubblicata dalla Direzione
della giustizia tributaria del MEF la relazione annuale per l’anno 2016 dalla
quale emerge un
trend
positivo negli ultimi anni. In Commissione tributaria
provinciale, infatti, la percentuale di decisioni con compensazione delle
spese scende dal 74,98%del 2014, al 68,75%del 2015 e al 60,73%del 2016,
mentre in Commissione tributaria regionale per gli stessi anni le percentuali
sono del 70,23%, 64,16% e 58,92%. Seppur sempre percentuali facilmente
migliorabili, si deve inoltre anche tenere conto delle varie diversità da città
a città. Ad esempio, la città dalla quale scriviamo questo articolo, Bolzano,
è una delle città, insieme a Crotone, Lecce,Avellino, Brindisi e Sondrio che,
per quanto riguarda le sentenze in CTP, la percentuale di spese compensa-
te supera addirittura l’80%, oltre al fatto che la stessa Bolzano risulta esse-
re una fra le città con un indice IPA (indice di propensione all’appello) fra i
più alti: 0,48 (cioè quasi 1 ricorso su 2 è appellato).
Del principio di soccombenza se ne sono occupati alcuni nostri colleghi
con la redazione del pratico, ma esaustivo, lavoro intitolato “Le spese del
giudizio nel processo tributario” (Quaderno KNOS n. 3, aprile 2017, a cura
della Commissione di Studio UNGDCEC “Processo tributario”).
Analizzando i vari commi del nuovo articolo 15, si legge al comma 2 che
“le
spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla
commissione tributaria
soltanto
in caso di soccombenza reciproca o
qualora sussistano
gravi ed eccezionali
ragioni che devono essere espres-
samente motivate”
. Si pone l’accento, quindi, sulla sussistenza di gravi ed
eccezionali ragioni, riprendendo così sia il principio sia la terminologia
utilizzata dal diritto civile (art. 92 c.p.c.).
Merita interesse un’ulteriore comma del medesimo articolo 15, nel quale si
afferma che
“si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi
primo e terzo, del c.p.c.”
. Il comma 2-bis appena menzionato riprende un
principio già esistente nel processo civile in base al quale, ove il giudice
rilevasse che la parte soccombente avesse agito in mala fede o colpa grave,
quest’ultima potrebbe essere condannata anche al pagamento del risarci-
mento del danno causato da tale comportamento. Se nel concetto di
“ab-
bia agito in mala fede o colpa grave”
rientrassero le sopra menzionate
occasioni nelle quali il contribuente si trova a dover affrontare diversi gradi
di giudizio anche se tutti a lui favorevoli, laddove la tesi accusatoria fosse
sostanzialmente infondata o basata su temi già ampiamenti affrontati dalla
Suprema Corte o addirittura dal Legislatore, si comprende facilmente la
portata di tale norma.
Casi di
mala gestio
come quello sopra esposto, infatti, non costituiscono
una rarità (e immaginiamo che ogni lettore potrebbe portarne qualche per-
sonale esempio), e quindi l’applicazione di questo principio potrebbe in-
centivare l’Amministrazione Finanziaria a riflettere in modo più razionale,
piuttosto che impulsivo, se percorrere la strada del giudizio oppure trovare
un’altra soluzione più “pacifica” (utilizzando per esempio meglio i già esi-
stenti e numerosi strumenti deflattivi).
Oltre a ciò nei rari, ma, si deve ammettere, ben esistenti casi nei quali le
commissioni tributarie hanno applicato il principio della soccombenza, spes-
so alla parte vincitrice é stato riconosciuto un importo assolutamente ina-
deguato se confrontato con quello sostenuto, tale per cui in certi casi esso
copriva a mala pena il costo del contributo unificato o poco più.
Su questo punto si esprime il comma 2 ter del riformato articolo, nel quale si
legge che
“le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unifica-
to, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi
sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’IVA, se dovuti”
. L’espres-
sione
“oltre al contributo unificato”
fa supporre che la condanna al paga-
mento del contributo unificato da parte della parte soccombente sia quasi
sottintesa, addirittura che essa non necessiti nemmeno di essere menzio-
nata nella sentenza (purtroppo sembra che nella realtà dei fatti tale interpre-
tazione non sia poi così tanto sottintesa).
Per quanto riguarda la quantificazione dell’onorario riconosciuto per l’as-
sistenza da parte dei Dottori Commercialisti, alla luce della soppressione
della tariffa professionale, si dovranno tenere allora in considerazione i
parametri previsti dal DM n. 140/2012, in particolare i riquadri 10.2 e 10.3
della Tabella C, i quali prevedono che il suddetto compenso debba essere
calcolato applicando una percentuale compresa fra l’1% e il 5% dell’impor-
to complessivo della controversia (considerando quindi, oltre all’imposta
contestata, anche i contributi, le sanzioni e gli interessi).
Per quanto riguarda, invece, le eventuali spese anticipate dal professioni-
sta, vige il principio per il quale possono essere rimborsate solamente
quelle effettivamente sostenute e comprovate da adeguata documentazio-
ne (fatture, ricevute, etc.). Si consiglia pertanto di allegare al ricorso una
dettagliata nota spese che indichi le eventuali spese sostenute e, in ogni
caso, le modalità di determinazione dell’onorario alla luce delle suddette
percentuali (nel già menzionato Quaderno KNOS è presente un semplice
ed efficace
fac simile
pronto all’uso).
Il lavoro dell’UNGDCEC fa presente a tal proposito un’ulteriore discrasia.
In caso di vittoria da parte dell’Amministrazione Finanziaria ad essa è rico-
nosciuto il rimborso dell’onorario del difensore parametrato sulle tariffe
previste per gli Avvocati che, sebbene ridotte
ex lege
del 20%, sono co-
munque più alte rispetto a quelle sopraesposte riservate ai Dottori Com-
mercialisti. Afronte della medesima prestazione, quindi, si hanno differenti
onorari a seconda del fatto che la parte soccombente sia il contribuente o
l’Amministrazione Finanziaria. Un’ulteriore prova della disparità di tratta-
mento che potrebbe essere superata prevedendo il rimborso dell’onorario
non in base alla categoria professionale del difensore, ma in base ad un
criterio economico unico per tutti i soggetti coinvolti.
Detto ciò, non possiamo che scontrarci con la quotidianità, che ci porta
spesso a dover spiegare al nostro cliente, talvolta con imbarazzo (maggiore
se il cliente é residente all’estero e quindi abituato ad un rapporto fra fisco
e contribuente ben diverso dal nostro), che per volere dell’Amministrazio-
ne Finanziaria è necessario affrontare controversie con pretese palesemen-
te errate fino addirittura ad arrivare al giudizio in Cassazione, affrontando
così notevoli costi e perdite di tempo, che possono anche potenzialmente
aggravare lo stato di salute dell’impresa.
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