Il Commercialista Veneto n.238 (LUG/AGO 2017) - page 20

NUMERO 238 - LUGLIO / AGOSTO 2017
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
tesi che l’intestazione dei beni alla società possa sottendere una vera e
propria strumentalizzazione della forma societaria
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o, quanto meno, la vo-
lontà di creare le condizioni per poter trasferire senza tassazione delle rela-
tive plusvalenze la disponibilità dei beni della società partecipata.
3.
(segue)
La convivenza di attività commerciali accanto
adattivitàdimero godimento
Senonché, la disposizione della lett. d) nulla stabilisce per il caso in cui la
società partecipata eserciti sia attività di impresa commerciale sia attività
qualificabili come di mero godimento. Invero, la formula legislativa si limita
a richiedere, pianamente, «l’esercizio…di un’impresa commerciale secon-
do la definizione di cui all’art. 55», senza tuttavia precisare se tale attività
debba essere esclusiva o prevalente e lasciando intendere che sia suffi-
ciente l’esercizio di una simile attività a prescindere dal fatto che la società
ne eserciti anche altre (che potrebbero essere anche prevalenti), non aven-
ti le caratteristiche per essere qualificate come imprese commerciali.
In effetti, la presenza di un’impresa commerciale, sia pure accanto ad altre
diverse attività, dovrebbe essere sufficiente ad escludere che si verifichino
quelle fattispecie che sembrano aver indotto il legislatore a contrastare –
negando l’esenzione sulle plusvalenze azionarie – l’operazione di trasferi-
mento della disponibilità dei beni della società attraverso la cessione delle
partecipazioni in essa detenute. Ciò semprechè, beninteso, l’attività im-
prenditoriale abbia certe dimensioni che la rendano sufficientemente signi-
ficativa, tale, quanto meno, da escludere che si tratti di una mera copertura
per aggirare la disposizione in esame.
Senonché, anche in questi casi, non si può negare che, rispetto alle attività
non commerciali (che nell’ipotesi qui considerata convivono, ma non si
integrano, con quella di impresa commerciale, pure esercitata), è possibile
che la plusvalenza azionaria incorpori i plusvalori latenti sui beni che sono
intestati alla società a scopo di mero godimento, plusvalori che è ragione-
vole ipotizzare siano destinati a non realizzarsi e, dunque, a non formare
oggetto di tassazione quali componenti del reddito d’impresa della società.
Sicché, si potrebbe ritenere che la questione non possa essere risolta con-
siderando puramente e semplicemente soddisfatto il requisito per il solo
positiva nei casi in cui il conseguimento di passive income si accompagni alla «effettuazione di, sia pure limitate, “operazioni attive”»); GRILLI S.,
Le costruzioni di puro
artificio nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: considerazioni in tema di effettiva attività economica
, in Rass. Trib., 2008, 1169 s. Ciò in linea con quanto stabilito in
ambito comunitario, in cui la normativa CFC è stata giudicata legittima a condizione che sia idonea a contrastare la creazione di costruzioni puramente artificiose «prive di
effettività economica», finalizzate ad eludere le imposte sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale, risultando perciò necessario appurare la presenza di
«elementi oggettivi … relativi, in particolare, al livello di presenza fisica … in termini di locali, di personale e di attrezzature» (sentenza 12 settembre 2006, causa Cadbury-
Schweppes, C-196/04). Tra le pronunce dell’Amministrazione finanziaria, sul punto, vd. la Risoluzione 29 gennaio 2003, n. 18/E, la quale ha negato la commercialità di una
holding affermando che «l’attività svolta … è di fatto limitata alla mera intestazione di attività finanziarie e al godimento degli eventuali frutti da esse prodotti. Di conseguenza,
il reddito della società … non è riconducibile ad un’attività commerciale» svolta nel suo Paese di residenza. Similmente, vd. la Risoluzione 11 ottobre 2007, n. 288/E, che ha
affermato che «l'esercizio di attività di holding ... non consente la disapplicazione della normativa CFC, a meno che l'istante dimostri che l'attività di gestione delle
partecipazioni sia svolta con una organizzazione tale da costituire attività d'impresa rilevante ai fini dell'art. 167 del TUIR».
[15] Può essere utile richiamare, in proposito, l’orientamento della dottrina civilistica secondo il quale «la differenza tra società e comunione si dovrebbe cogliere nel diverso
rapporto tra beni e attività, rapporto che nelle due fattispecie si invertirebbe poiché nella società i beni conferiti sono utilizzati strumentalmente allo svolgimento di un’attività
produttiva, mentre nella comunione l’attività sarebbe funzionale alla conservazione del bene comune al fine di assicurarne il godimento da parte dei comunisti»: vd. MARASÀ
G., (voce)
Società (contratto di società)
, in Enc. giur. Treccani, XXIX, Roma, 1993, p. 7 ed i riferimenti bibliografici ivi citati. Molto interessanti sono inoltre le osservazioni
di GALGANO F.,
Le società in genere. Le società di persone
, in Cicu A., Messineo F. e Mengoni L. (diretto da), Schlesinger P. (continuato da),
Trattato di diritto civile e
commerciale
, XXVIII, Milano, 2007, p. 70, il quale, sempre a proposito della distinzione tra società e comunione di godimento, osserva che «l’esercizio dell’impresa non si
riduce … solo al godimento, ossia all’utilizzazione di beni: c’è anche l’utilizzazione delle energie del lavoro dei dipendenti; c’è, inoltre, una intensa attività contrattuale: con i
fornitori delle materie prime da un lato, con gli utenti dell’impresa dall’altro. C’è, insomma, quella complessa situazione che, nella sua configurazione unitaria, prende il nome
di iniziativa economica». Anche BERTOLOTTI A.,
Disposizioni generali sulle società
, in Rescigno P. (diretto da),
Trattato di diritto privato
, 16*, Torino, 2008, p. 167,
evidenzia come «la proprietà di beni mobili ed immobili possa sì essere gestita in forma societaria, ma a condizione che la gestione sia finalizzata all’esercizio in comune di
un’attività economica contraddistinta da un processo di produzione, la cui caratteristica consista in una trasformazione fisica o anche solo economica di fattori produttivi, in
un nuovo oggetto o in un nuovo valore economico avente un’entità superiore ai valori di costo». La rilevanza del profilo dell’organizzazione imprenditoriale è evidenziata
proprio per discernere le strutture di mero godimento da quelle genuinamente societarie anche da GRIPPO G. e ALLEGRI V.,
Le società
, in AA.VV., Diritto commerciale,
Bologna, 2010, p. 69-70. In giurisprudenza, poi, è stato affermato che «in ipotesi di società per azioni che, contrariamente al dichiarato scopo sociale di natura imprenditoriale
(nella specie: acquisto, vendita, gestione, costruzione e miglioramento di beni immobili), dopo la sua costituzione e la registrazione, non abbia in concreto esercitato un’attività
imprenditoriale bensì limitato l’attività all’acquisto di un fondo rustico ed alla concessione di esso in affitto a coltivatore diretto, deve ritenersi che il negozio costitutivo della
società sia simulato, e dissimuli, fra gli apparenti soci, una reale situazione di comproprietà del fondo, di cui i titoli azionari rappresentano solo le quote di appartenenza» (vd.
Cass., sent. 1 dicembre 1987, n. 8939).
[16] Sul punto, la circolare n. 7/E del 2013 sostiene la necessaria prevalenza dell’attività commerciale ed afferma che «fermo restando che sono comunque necessarie valutazioni
da effettuare in concreto, si ritiene che qualora il soggetto eserciti più attività [di cui solo alcune qualificabili commerciali ai fini pex] si debba procedere all’individuazione di
specifici criteri per stabilire se l’attività commerciale sia prevalente o meno rispetto a quella non commerciale. In particolare, occorrerà avere riguardo sia al valore corrente
del patrimonio sia ad altri criteri di prevalenza di una attività rispetto all’altra, quali l’ammontare dei ricavi, dei costi e dei redditi generati da ciascuna attività, il numero dei
dipendenti ad esse addetti e così via. Si tratta di criteri individuati dal legislatore, seppur in diversi ambiti, al fine specifico di determinare la prevalenza dell’attività commerciale
ovvero lo svolgimento effettivo di un’attività (si vedano ad esempio gli articoli 149, 84 e 172, comma 7, del TUIR)».
[17] Giova segnalare che il riferimento ai valori patrimoniali è dotato di significatività se si assumono i valori correnti di tutti gli asset che compongono il patrimonio,
considerando anche eventuali avviamenti, oltre al valore dei beni in leasing (vd. VIOTTO A.,
Il regime tributario delle plusvalenze da partecipazioni
, cit., pag. 352 ss.).
fatto che sia esercitata
anche
un’attività commerciale, oltre a quella di mero
godimento, e che anche rispetto al requisito della lett. d) si renda necessa-
rio procedere ad una valutazione comparativa delle diverse attività, al fine
di apprezzare la prevalenza delle une sulle altre e negare l’esenzione laddove
quella commerciale non sia più rilevante delle altre
16
.
Una simile comparazione, del resto, è richiesta dal legislatore nell’ambito
del comma 5 per il caso delle partecipazioni in società
holding
, in relazione
alle quali la sussistenza del requisito della lett. d) (al pari di quello della lett.
c) deve essere apprezzata in capo alle società partecipate dalla
holding
e si
realizza se il valore delle partecipazioni nelle società dotate del requisito
rappresenta la maggior parte del valore del patrimonio della
holding
. Infat-
ti, il meccanismo previsto dal comma 5 si risolve, dal punto di vista conta-
bile, in una sorta di “consolidamento” delle partecipate nel patrimonio
della partecipante, una situazione che non è poi così diversa, sempre dal
punto di vista contabile, rispetto a quella che si verifica allorquando le
varie attività sono tutte concentrate all’interno della stessa società.
Ciò nondimeno, mi pare che la regola dettata dal comma 5 possa trovare
giustificazione nella peculiarità della situazione ivi disciplinata, nella quale,
tramite la cessione della
holding
, si può realizzare il trasferimento di parte-
cipazioni in società prive dei requisiti previsti dalle lett. c) e d), vale a dire,
per quanto qui ora interessa, il trasferimento di partecipazioni in società di
mero godimento, nelle quali si potrebbe verificare il fenomeno abusivo che
il legislatore ha inteso ostacolare con il requisito della lett. d). Sotto questo
profilo, la situazione regolata dal comma 5 è dunque diversa da quella che
abbiamo qui considerato, nella quale è vero che esiste un’attività di mero
godimento, ma è altrettanto vero che detta attività è inserita in una struttu-
ra societaria comunque diretta all’esercizio in comune di un’attività com-
merciale.
Talché, l’esercizio di un’impresa commerciale, sia pure accanto ad un’atti-
vità di mero godimento, dovrebbe consentire di escludere che la cessione
delle partecipazioni sia preordinata al perseguimento dell’obiettivo di tra-
sferire, senza tassazione delle relative plusvalenze, la disponibilità dei beni
della società partecipata.
Ne dovrebbe allora conseguire che, rispetto al requisito della lett. d), sia
sufficiente l’esercizio di un’attività commerciale, anche accanto ad un’atti-
vità di mero godimento, a condizione che, come ho anticipato, l’attività
commerciale abbia una dimensione significativa – in termini di valori
patrimoniali
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e di redditività generata – in modo tale che si possa ragione-
volmente escludere che il suo esercizio non rappresenti il reale scopo per-
seguito dai soci e che lo stesso serva in realtà a nascondere il vero intento
di avvalersi della forma societaria per la mera intestazione di beni e la loro
concessione in uso a terzi.
Il requisito della commercialità
nella disciplina PEX
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