Il Commercialista Veneto n.230 (MAR/APR 2016) - page 26

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NUMERO 230 - MARZO / APRILE 2016
IL COMMERCIALISTA VENETO
seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale
di tale Stato.
2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del
processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato,
se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura
antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.
3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15
della Convenzione
.
La disposizione ha quindi introdotto l’istituto cosiddetto
“ne bis in idem”
in
materia penale, e cioè il divieto di sanzionare due o più volte un soggetto per lo
stesso fatto penalmente rilevante.
Dal momento che trattasi di una prescrizione di natura penale, dovremmo concludere
che questa norma non riguarda le decisioni emesse dai nostri Consigli di Disciplina,
dal momento che i Consigli stessi hanno indubbiamente natura amministrativa. Per
noi vale quindi il riferimento all’art. 97 Cost. (con le prescrizioni sul buon andamento
ed imparzialità) e non l’art. 111 Cost., che si applica agli organi giudiziari. Non è così.
La Corte di Giustizia di Strasburgo, in una logica di prevalenza della sostanza sulla
forma, ha ritenuto (cosiddetti “criteri Engel”) che
al fine di verificare se un
procedimento ha ad oggetto “accuse in materia penale” ai sensi della Convenzione
stessa si devono considerare tre diversi fattori. Principalmente la qualificazione data
dal sistema giuridico dello Stato convenuto all’illecito contestato. Tale indicazione
tuttavia ha solo un valore formale e relativo poiché la Corte deve supervisionare
sulla correttezza di tale qualificazione alla luce degli altri fattori indicativi del carattere
“penale” dell’accusa. Secondariamente infatti, va considerata la natura sostanziale
dell’illecito commesso vale a dire se si è di fronte ad una condotta in violazione di una
norma che protegge il funzionamento di una determinata formazione sociale o se è
invece preposta alla tutela erga omnes di beni giuridici della collettività, anche alla
luce del denominatore comune delle rispettive legislazioni dei diversi Stati contraenti.
Va infine considerato il grado di severità della pena che rischia la persona interessata
poichè in una società di diritto appartengono alla sfera “penale” le privazioni della
libertà personale suscettibili di essere imposte quali punizioni, eccezione fatta per
quelle la cui natura, durata o modalità di esecuzione non possano causare un
apprezzabile danno.
Ne consegue che, secondo le linee tracciate dalla Suprema Corte europea, si deve
aver riguardo alla gravità della sanzione applicata, o applicabile, e non solo alla
natura (giudiziaria o amministrativa) dell’organo che la irroga.
E’ quindi opportuno che il collegio di disciplina che delibera una sanzione disciplinare
ad un incolpato già colpito da una condanna penale chiarisca che tale sanzione
viene comminata non per il reato, ma per il danno arrecato al decoro ed alla dignità
della categoria. E' altresì opportuno che le motivazioni della sospensione
dall’esercizio della professione non ripetano pedissequamente la pena inflitta dal
giudice penale.
Ho già accennato alla preminenza della sanzione penale rispetto alla sanzione
disciplinare, non foss’altro perché la tutela dell’interesse della collettività deve
prevalere su quella dell’interesse di una categoria professionale e dei clienti di
questa. Non è infatti pensabile che al giudice penale possa essere inibito di comminare
una sanzione per il fatto che in relazione allo stesso fatto sia stata applicata una
sanzione amministrativa.
Opportunamente quindi l’art. 21 Regolamento prevede che il collegio possa disporre
in ogni momento la sospensione in attesa dell’esito del giudizio pendente avanti
l’Autorità giudiziaria per i medesimi fatti oggetto dell’apertura del procedimento
disciplinare. Se peraltronel corsodell’inchiesta dovessero emergere fatti aventi rilevanza
disciplinare il Consiglio di Disciplina dovrebbe attivarsi.Anche per questo è auspicabile
una collaborazione fra leProcure dellaRepubblica ed i nostri Consigli. Sussiste altrimenti
il rischio che l’azione disciplinare, sospesa nel corsodel procedimentopenale, si prescriva
per decorso dei cinque anni previsti.
Conseguenze dell’orientamento della Suprema Corte Europea
Ma ritorniamo all’orientamento della Suprema Corte Europea.
Un’applicazione rigorosa del
ne bis in idem
potrebbe portarci a concludere che nel
caso di condanna del professionista imputato, il procedimento disciplinare dovrebbe
concludersi con la non applicazione di sanzioni disciplinari dal momento che il
comportamento è stato già sanzionato in sede penale, ovvero con l’applicazione di
sanzioni, quali la censura ovvero la sospensione dall’attività professionale per un
periodo breve, tale cioè da non compromettere la “libertà personale” dell’interessato.
Non possiamo peraltro dimenticare che, proprio nel testo sopra riportato, la
Suprema Corte ha distinto fra norme che proteggono il funzionamento di una
determinata formazione sociale, dalle norme proposte alla tutela
erga omnes
di
beni giuridici della collettività.
Per quanto ci riguarda può ben sostenersi che i principi deontologici e le sanzioni per
l’infrazione di questi sono previsti per il buon funzionamento delle categorie dei
dottori commercialisti e degli esperti contabili, per la tutela della dignità e del decoro
e dell’autorevolezza delle rispettive categorie. Il punto è delicato, dal momento che
vige in Italia – per un eccesso di garantismo - la presunzione di non colpevolezza sino
al passaggio in giudicato (art. 27 Cost) con la conseguenza che, a causa dell’inevitabile
lunghezza del procedimento penale e dei termini di prescrizione, infrazioni
deontologiche anche gravi potrebbero non dar luogo sanzioni.
Un ulteriore problema è costituito dalla prescrizione penale: nel caso che un
procedimento penale si prescriva (nel 2015 si sono così prescritti in Italia 130.000
processi!) non penso che questo possa essere inteso come prova che il fatto non sia
stato commesso.
Effetti della depenalizzazione di determinate infrazioni
Devono poi essere analizzati gli effetti del recente provvedimento di depenalizzazione
di certe infrazioni (per la verità non tutte bagatellari).
Vanno fatte, in proposito, alcune considerazioni.
Per il principio del
favor rei
le nuove disposizioni si applicano non solo alle
infrazioni che verranno commesse nel futuro, ma anche a quelle commesse nel
passato ed il relativo eventuale procedimento giudiziario deve interrompersi.
Nel caso in cui le sanzioni pecuniarie siano state aumentate rispetto alle sanzioni
penali precedentemente previste è intervenuta, opportunamente, la Direzione
Generale dell’Attività Ispettiva con circolare n. 6/2016.
Depenalizzazione non significa peraltro amnistia. Ne consegue che l’infrazione
deve essere rilevata e la sanzione applicata da una diversa autorità (amministrativa,
ovvero dal giudice civile adito dalla parte offesa).
Come abbiamo visto esiste una norma (art. 50 co. 8 D.Lgs 139/2005), per la verità
sovente disapplicata, che fa carico all’autorità giudiziaria comunicare ai Consigli di
Disciplina l’esercizio dell’azione posto in essere nei confronti di un iscritto. Analoga
disposizione non esiste nei confronti delle autorità amministrative e men che meno
per i giudici civili aditi dalle parti offese.
Questo solleva qualche problema, a meno che – come ho detto sopra - non si
consideri che la depenalizzazione riguardi infrazioni di particolare tenuità, in
relazione alle quali deve valere quanto previsto nella sentenza n. 25/2015 della
Corte Costituzionale e D.Lgs. 28/2015
U
NALTRO, ENONMENO IMPORTANTE obiettivo ci siamo prefissi
con l’odierno convegno, e cioè creare un utile collegamento fra le
Procure della Repubblica ed il loro braccio operativo, e cioè la Guardia
di Finanza, ed i Consigli di Disciplina, o – meglio – le categorie dei
dottori commercialisti e degli esperti contabili nel contrasto al riciclaggio
ed all’infiltrazione nel territorio del Triveneto della criminalità organizzata.
Anzitutto il riciclaggio di danaro proveniente da attività illecite.
Opportunamente il legislatore si è reso conto che il migliore contrasto alla criminalità,
comune o economica, è costituito dal perseguimento dei frutti delle azioni criminose
e cioè il riciclaggio del danaro proveniente da tali azioni.
Purtroppo negli ultimi decenni una certa classe politica ha tollerato ed anzi
incentivato l’evasione fiscale, anche per coprire la propria corruzione. Il concreto
contrasto al riciclaggio ed all’autoriciclaggio dovrebbe costituire un valido rimedio.
Dalla stessa logica, ancorchè con aspetti e modalità differenti, si presenta il problema
del contrasto all’infiltrazione delle organizzazioni criminali che cercano di riciclare
i frutti dell’attività criminale in zone pur ritenute immuni, o quasi, da autoctone
organizzazioni di tipo mafioso.
Ho detto “quasi” perché non dobbiamo dimenticare la Mala del Brenta e
organizzazioni criminali minori.
Il Triveneto, con la sua struttura economica e per la particolare situazione finanziaria
in cui esso si trova, non può non attirare l’attenzione delle organizzazioni che
dispongono di masse opache di danaro.
Anzitutto per la particolare situazione del mondo imprenditoriale triveneto,
caratterizzato dalla polverizzazione delle aziende produttive, con una
capitalizzazione assai modesta e non in grado di supportare crescite dimensionali e
crisi temporanee. A questo si aggiunge la crisi economica generale, che ha portato
sull’orlo del fallimento molte di queste strutture.
Purtroppo tale situazione non solo non è destinata a migliorare, quanto meno nel
breve periodo, ma è anzi destinata a peggiorare per la nota crisi finanziaria delle due
maggiori banche del territorio, e cioè la Banca Popolare di Vicenza e la Veneto Banca,
per non parlare delle numerose Banche di Credito Cooperativo (le ex casse rurali).
Sia il riciclaggio sia, ed ancor più, l’infiltrazione mafiosa si attuano attraverso
operazioni, in particolare acquisizioni di immobili e di aziende, che richiedono
l’intervento di professionisti, avvocati, notai, ma soprattutto commercialisti.
E’ quindi necessario che tutti questi professionisti abbiano piena consapevolezza
della situazione e dei doveri che loro incombono.
In concreto bisogna acquisire una sensibilità (che può acquisirsi solo con l’esperienza)
e la possibilità di riferimenti e contatti sicuri per evitare il rischio di concorrere (sia
pure inconsciamente) nella commissione di reati e di rischiare quindi le relative
conseguenze.
Permettetemi di chiudere queste mie note con un ricordo personale.
Luigi Chiaraviglio, che fu un grande professionista, presidente – ovviamente in
periodi diversi - sia dell’Ordine dei Dottori Commercialisti che dell’Ordine
degli Avvocati di Milano, che mi fu amico e saggio consigliere,
soprattutto
quando ero vice-presidente del Consiglio nazionale, mi diceva
“Dicono che i
nostri maestri sono stati i nostri professori universitari o gli affermati
professionisti presso i quali abbiamo fatto la pratica. E vero solo in parte, i
nostri veri maestri sono stati i mascalzoni con i quali abbiamo avuto a che fare
nell’esercizio della professione”.
Anche noi dobbiamo imparare dai mascalzoni. Ovviamente per difenderci e per
difendere la collettività da loro.
Procure della Repubblica
e Consigli di Disciplina
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