Il Commercialista Veneto n.230 (MAR/APR 2016) - page 31

NUMERO 230 - MARZO / APRILE 2016
31
IL COMMERCIALISTA VENETO
L
A
B
OCHA
DE
L
EON
Domande, riflessioni , dialoghi
Considerazioni sulle nuove Saf
L'utilizzo della qualifica
di "dottore commercialista"
Caro Direttore,
ho letto con vivo interesse il tuo articolo di fondo sul numero 229 del CV.
Alcune considerazioni si impongono se non vogliamo che tutto si risolva in un buco
nell’acqua. La prima è che bisognerà disciplinare la presentazione dei singoli studi.
Fintanto che la generalità degli studi si presenta sui siti internet come esperti in
tutto lo scibile commercialistico, non sarà facile fare accettare al mercato serie
specializzazioni. D’altro canto è innegabile che l’aver svolto, in passato, importanti
e documentati incarichi nei singoli settori, costituisca una garanzia di adeguata
competenza almeno quanto la frequenza ai corsi SAF.
Il passo successivo è chiedersi come presentarsi e come educare il mercato.
Mi spiego: gli avvocati hanno già, di fatto, le specializzazioni. Se ho un problema di
carattere penale mi rivolgo ad un penalista, se ho una causa con il Comune vado da
un amministrativista, e così via.
Tutto questo è chiaro perché dall’avvocato si va per casi e problemi specifici.
Diverso è il caso della nostra professione. Il commercialista ha di massima un
incarico continuativo ed a lui ci si rivolge anche quando sorgono problemi specialistici.
Il paragone va quindi fatto con la medicina. Ciascuno ha il medico di famiglia, il
quale - in caso di bisogno - ti indirizza ai vari specialisti.
Mi chiedo: sono i nostri colleghi culturalmente preparati ad indirizzare i clienti
verso altri colleghi specializzati o ne saranno trattenuti nel timore di perdere la
consulenza continuativa? L’esperienza nel campo tributario non è certo positiva. Di
fronte a casi di contenzioso di particolare rilevanzamolti commercialisti hanno preferito
indirizzare i propri clienti a studi legali, anziché a colleghi specializzati nel settore.
La soluzione più logica sarebbe di costituire studi professionali (associazioni
Egregio Direttore,
fin dall’entrata in vigore del D.Lgs. 139/2005, che ha costituito l’Ordine dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili, si è posto il problema di chi possa utilizzare
il titolo di “dottore commercialista”, e, più in generale, di quale sia il corretto
utilizzo dei titoli professionali e accademici. La questione è stata oggetto di interventi
da parte del Consiglio Nazionale oltre che della Corte di Cassazione. Sul punto,
quest’ultima ha rilevato che la creazione di un unico Ordine non ha affatto eliminato
la distinzione tra le due categorie, né i differenti requisiti di accesso all’una e
all’altra. Inoltre l’Albo, seppur unico, è rimasto separato in due sezioni, denominate
rispettivamente
Sezione A - Commercialisti, Sezione B – Esperti Contabili
. Le
modalità di accesso alla professione sono diverse: per l’iscrizione alla Sezione A è
necessario il possesso di una laurea magistrale in scienza dell’economia o in scienze
economico-aziendali, ovvero altra equipollente e il superamento dell’esame di Stato
per l’abilitazione all’esercizio della professione di dottore commercialista, al quale
si accede dopo un periodo di tirocinio formativo; per l’iscrizione alla Sezione B,
invece, è necessario, oltre al possesso del titolo di studio previsto e allo svolgimento
di tirocinio formativo, il superamento di diverso esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio della professione. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine si è soffermato
inoltre sulle varie forme di pubblicità del titolo professionale (targhe, biglietti da
visita, carta intestata ecc.), richiamando il Codice Deontologico nel suo art. 44 dove
viene richiesto che le informazioni su specializzazioni e titoli professionali posseduti
debbano essere trasparenti, veritiere e corrette e non equivoche e ingannevoli. Il
Consiglio Nazionale dell’Ordine ritiene pertanto necessario che tutti gli iscritti
forniscano accanto al titolo di dottore anche l’indicazione completa della qualifica
professionale posseduta ogniqualvolta l’utilizzo del titolo accademico possa
ingenerare un malinteso sull’effettiva qualifica professionale posseduta (ad esempio:
dott. Mario Rossi, Ragioniere commercialista). Nonostante tutto ciò, molti colleghi
che hanno conseguito la qualifica professionale di “ragionieri commercialisti”,
utilizzano tuttora impropriamente il titolo di “dottore commercialista” ovvero,
avendo conseguito la laurea in materie talvolta del tutto estranee alla professione
esercitata, utilizzano combinazioni del titolo “dottore” e del titolo “commercialista”
in modo tale da ingenerare confusione nel mercato (come ad esempio “dottore
Tizio, commercialista”): dobbiamo rassegnarci a questa situazione?
Raniero Mazzucato
(Padova)
Caro Collega,
a distanza di molti anni purtroppo assistiamo ancora a questi giochini, posti in
essere in modo assolutamente consapevole. Si tratta di atti tutt’altro che banali.
L’Albo Unico è stato un punto di arrivo di un percorso lungo e sofferto, che alla fine
ha trovato un approdo di compromesso sul quale le due anime della categoria
hanno ritenuto opportuno fermarsi. Ma al di là dei loro interessi di parte, permaneva
e permane tuttora un superiore interesse sociale alla tutela del pubblico affidamento,
che le norme ed i regolamenti hanno ben presente.
I comportamenti che descrivi non solo sono lesivi dell’immagine della categoria,
che subisce un discredito da qualsiasi scorrettezza compiuta dai propri iscritti, ma
vanno a colpire in particolare quel superiore interesse.
A mio personale parere, essi meriterebbero di essere severamente censurati, quanto
meno dai Consigli di Disciplina.
Quel collega sbaglia
professionali o STP) di dimensioni tali da avere al proprio interno singoli specialisti.
Ma ancora oggi la professione è strutturata in studi di piccole dimensioni, se non a
carattere individuale. In alternativa bisognerebbe studiare la formazioni di “reti” di
professionisti, nelle quali i singoli studi manterrebbero la propria indipendenza, ma
potrebbero distribuirsi le varie specializzazioni. Il tutto accompagnato da rigorose
norme deontologiche contro l’accaparramento di clienti.
Non è un compito facile, tenuto conto del
bloody individualism
(come diceva un
mio amico inglese) degli italiani, ma bisogna affrontarlo se non vogliamo lavorare
per il re di Prussia (come si diceva una volta).
Giancarlo Tomasin
(Venezia)
Caro Collega,
le SAF sono forse il primo passo concreto nella direzione della specializzazione.
Il percorso, tuttavia, è lungo e pieno di insidie, inutile nasconderselo.
Ma credo che alla fine tutti comprenderanno che si tratta di una strada obbligata,
che probabilmente porterà sempre più studi ad affrontare anche il problema della
crescita dimensionale.
Per ora, credo che l’importante sia sostenere con forza questo progetto, nel quale
il Triveneto sta dimostrando di credere più di ogni altro Territorio in Italia, se si
escludono quelli ove le scuole erano già preesistenti.
Dobbiamo assolutamente promuovere ed incentivare la partecipazione dei colleghi
ai corsi, e valorizzare – anche nel passaparola quotidiano – il contributo che le
SAF possono dare alla crescita della nostra Professione.
Caro Direttore,
sono costretto ad intervenire in relazione ad una lettera contenuta nell’ultimo numero
del “nostro” Giornale inviata da un iscritto all’Ordine di Udine, il collega Lucio
Leita. La lettera in questione, pubblicata sotto un titolo che mi sento di definire
quantomeno inopportuno contiene, tra le righe, vili insinuazioni nei confronti di
fantomatici colleghi ora giudicanti e, per contro, altisonanti richiami alle proprie
giustificazioni non accolte da questi ultimi.
Non posso entrare nei dettagli - che non conosco - di tale procedimento disciplinare
essendo, tra l’altro, la relativa funzione di competenza esclusiva del nostro Consiglio
di Disciplina. Ma proprio per questo mi indigna sinceramente il fatto che negli
stessi dettagli possa entrare, dandovi largo eco, proprio il “nostro” Giornale
diffondendo, arbitrariamente e del tutto inopinatamente, il suono di una sola campana.
In tutta sincerità ritengo che ogni procedimento disciplinare meriti ed imponga uno
stretto riserbo fino alla sua conclusione e che un eventuale disaccordo sull’esito
dello stesso debba trovare composizione, sussistendone i presupposti, attraverso
un eventuale ricorso e non tramite la pubblicazione di lettere sulla stampa di categoria.
Ricordo che l’articolo 29 del nuovo Codice Deontologico rubricato
“Rapporti con
… i Consigli di Disciplina …”
sancisce, tra l’altro, che
“ciascun professionista
deve comportarsi, nei confronti degli organi della professione, con rispetto,
correttezza e considerazione”.
Non mi sembra necessario aggiungere altro se non che quanto esposto dal collega in
alcune parti della lettera pubblicata supera, a mio avviso largamente, il suo diritto di
esprimere liberamente le proprie opinioni e il suo diritto di critica, costituzionalmente
garantito.
Lorenzo Sirch
- Presidente dell’Ordine di Udine
Caro Presidente,
nella “Bocha de Leon” abbiamo accolto dialoghi, riflessioni ed opinioni su molti
argomenti, anche scottanti.
Abbiamo pubblicato le critiche, e talvolta anche gli apprezzamenti.
Ed abbiamo proposto le nostre repliche.
Come nel caso di specie, che peraltro riguardava un tema ben più ampio, e non
posizioni personali a noi non note, sulle quali nessun “dettaglio” è stato fornito, e
che non ritengo abbiano trovato alcuna “larga eco”.
Personalmente credo molto nel valore del confronto dialettico, anche e soprattutto
quando capita di trovarsi su posizioni differenti rispetto a quelle di chi ci scrive,
come è accaduto in questa occasione.
Il CV vuole essere il Giornale “di tutti”: e proprio per questo abbiamo voluto
creare uno spazio in cui “tutti i colleghi”, entro certi limiti, possano dire la loro,
assumendosene la relativa responsabilità, la cui valutazione compete ovviamente
ad altri.
1...,21,22,23,24,25,26,27,28,29,30 32,33,34,35,36
Powered by FlippingBook