Il Commercialista Veneto n.239 (SET/OTT 2017) - page 28

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NUMERO 239 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2017
IL COMMERCIALISTA VENETO
della tassa di concessione governativa dovuta per la “bollatura e numerazio-
ne di libri e registri”.
Anche in questo caso, “per non saper né leggere, né scrivere” (è proprio il caso di
dirlo!) facciamo annualmente pagare questo tributo ai nostri clienti.
Le motivazioni alla base di tale comportamento sono le stesse che “giustificano” la
bollatura e la vidimazione dei registri sociali delle Srl: “si tratta di una prassi
consolidata, prevista nelle istruzioni delle camere di commercio”.
In realtà, anche in questo caso, occorre andare “alla fonte” ed esaminare l’atto
legislativo che disciplina tale tributo.
Si tratta dell’art. 23 della Tariffa annessa al D.P.R. n. 641 del 26.10.1972 che tratta
della “bollatura e numerazione di libri e registri”.
E’ stabilito che “la tassa può essere pagata anche a mezzo marche ed è dovuta per
i libri di cui all’art. 2215 c.c.
e per tutti gli altri libri e registri che per obbligo
di legge o volontariamente sono fatti bollare nei modi ivi indicati ...”
“Per la numerazione e bollatura di libri e registri tenuti da esercenti imprese, sogget-
ti d’imposta agli effetti Iva, la tassa è dovuta annualmente per le sole società di
capitali nella misura forfettaria di euro 309,87, prescindendo dal numero di libri o
registri tenuti e dalle relative pagine ...”
Tenendo conto di quanto sopra riportato, l’assenza dell’obbligo di
vidimazione/bollatura dei libri delle Srl determina logicamente la non
debenza della tassa annua di Concessione Governativa.
La tassa è dovuta solamente da chi, volontariamente, fa bollare/vidimare i
registri. Venendo meno tale presupposto, la tassa non è dovuta.
V
oglio concludere queste riflessioni invitando tutti i colleghi a “non abdicare”
alla propria funzione di liberi professionisti, esperti di norme (civilistiche e
tributarie) e di economia.
Se le incombenze fiscali e gli adempimenti burocratici schiacciano noi ed i nostri
clienti, forse la responsabilità è anche nostra che non vogliamo o non sappiamo
“fare squadra” e non troviamo il tempo, né la voglia di far bene il nostro lavoro a
beneficio di noi stessi, delle imprese nostre clienti e, in definitiva, del nostro Paese.
Alessandro Solidoro
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La vidimazione
dei libri sociali nelle Srl
SEGUE DA PAGINA 27
U
na curiosa traduzione in dialetto milanese dell’intera prima cantica
della Divina Commedia dantesca è dedicata a Garibaldi. L’incipit - o
meglio il "Cant primm" - recita così: «
A mitaa del viagg, che a poch a
poch/ Femm tucc al mond de là, mi me sont pers/ In d’on bosch insci scur e
spess de broch /Che de desvèrgem no trovavi el vers
».
Nel settembre del 1859, durante il suo vagabondare tra Firenze, Bologna e
Modena, trovatosi disoccupato per l’inattesa conclusione della II guerra d’in-
dipendenza e il conseguente scioglimento dei suoi Cacciatori delleAlpi, Garibaldi
lancia l’iniziativa chiamata
“soscrizione per la raccolta di un milione di fucili
allo scopo di raccogliere fondi per armare le progettate imprese militari dei
patrioti italiani. I fondi della “soscrizione”, infatti, vengono poi ampiamente
utilizzati per il finanziamento della Spedizione dei Mille.
1
All’inizio del 1860, Francesco Candiani, ricco cotoniere milanese, e il fratello
Cristoforo, decidono di farsi carico delle spese editoriali per la traduzione della
prima cantica della Divina Commedia e di destinare i ricavi delle vendite al
«Fondo per la raccolta di un milione di fucili» necessario per l’impresa
garibaldina. Chiedono poi a Garibaldi di poter dedicare alla sua persona questa
traduzione dell’Inferno in dialetto meneghino.
ALGENERALEDELPOPOLO
GARIBALDI
QUEST’OPERAPOPOLARE
ILTRADUTTOREDEDICARIVERENTE
L’edizione dell’Inferno, uscita nel 1860, riporta così in copertina il sigillo
Sottoscrizione dei fucili di Garibaldi
» a riprova, come spiegato in fondo al
libro, che la vendita delle copie, al prezzo di
tre lire
, servirà alla raccolta fondi
per l’acquisto del milione di fucili proposto dal Generale Garibaldi.
Ben si comprende la riconoscenza dell’Eroe dei due mondi, che seppure impe-
gnato nei preparativi delle nozze, non può certo trascurare la questione che da
tempo gli sta più a cuore: la liberazione dell’Italia.
Da qui la lettera dei ringraziamenti di Garibaldi, scritta il 14 gennaio 1860,
mentre si trova a Fino Mornasco, ospite del marchese Raimondi di cui sposerà
presto, e subito ripudierà, la figlia Giuseppina.
“Illustrissimo Candiani, io accetto con gratitudine la dedica dell’opera vostra.
Ognuno getti il suo grano di sabbia all’edificio patrio, e questa Italia, - che,
benché non ben ferma ancora sulle sue fondamenta, non manca di spaventare i
prepotenti che vogliono manometterla sorgerà brillante, potente! Come l’idea-
va quel grande di cui vi accingete a tradurre e commentare l’opera stupenda”.
La traduzione in meneghino dell’opera dantesca è quindi una sorta di sottoscri-
zione a sostegno della spedizione dei Mille, ma è anche uno strumento per
diffondere, presso le classi meno colte, i valori risorgimentali della patria,
dell’indipendenza e dell’unità italiche così come già declamati da Dante nelle
frequenti invettive contro i tiranni, gli oppressori e i papi usurpatori del potere
politico.
Con la sua iniziativa quindi il Candiani,
sponsor sui generis
, mescola
sapientemente Amor patrio, cultura e tradizione italica.
KetiCandotti
Ordine di Pordenone
TRADUZIONI ECURIOSITÀLETTERARIE
Lo strano incontro
tra Garibaldi e Dante
1
La raccolta fondi era supportata da un’organizzazione capillare presente con
propri comitati nei comuni dell’Italia centrosettentrionale i quali inviavano i
fondi raccolti ai Comitati Provinciali che infine riversavano le sottoscrizioni alla
direzione milanese. Non mancarono aiuti provenienti dall’estero.
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