Il Commercialista Veneto n.235 (GEN/FEB 2017) - page 6

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NUMERO 235 - GENNAIO / FEBBRAIO 2017
IL COMMERCIALISTA VENETO
zione. In fin dei conti, aveva già quasi tutto quello che gli serviva: carne dai
suoi allevamenti, vino dai suoi vigneti, frutta e verdura dai suoi campi,
legna dai suoi boschi, pietre da costruzione dal suo terreno… Se proprio
aveva bisogno di qualcosa d’altro, utilizzava la forma del baratto.
Le Crociate, invece, stravolsero questo sistema. Il cavaliere feudale che
doveva andare a combattere in Terra Santa non poteva portare con sé
vivande per tutta la durata del viaggio, tantomeno poteva barattare il costo
del viaggio in nave o dell’alloggio con beni in natura: doveva avere monete
d’oro per pagare tali servizi. Il cavaliere allora si vedeva costretto a chiede-
re in prestito una certa quantità di monete d’oro a dei soggetti specializzati
in finanziamenti (solitamente li si trovava seduti su piccoli tavoli – i ban-
chi), ed offriva in garanzia le proprie tenute. Nacquero così le prime banche
che, gestendo enormi quantità di danaro, perfezionarono la tenuta dei regi-
sti contabili: ad esempio, aggiunsero al Libro Giornale cronologico le scrit-
ture ausiliarie, tra cui i partitari intestati ai singoli debitori.
Con la riapertura dei commerci con il medio e l’estremo oriente riprese
anche l’uso diffuso della contabilità. Nel Pre-RinascimentoVenezia e Firen-
ze intensificarono i rapporti con i commercianti medio-orientali perfezio-
nando di pari passo le scritture contabili ed introducendo la partita doppia.
La maggior parte di noi ha sempre pensato che il creatore della partita
doppia fosse Luca Pacioli: totalmente sbagliato. Lui stesso, che era un
matematico e non un contabile, nella sua opera affermò che stava utilizzan-
do i principi contabili già in uso a Venezia alla fine del millequattrocento.
Pacioli solamente riuscì a raccogliere, perfezionare e razionalizzare tali prin-
cipi che tuttora osserviamo. La sua notorietà è dovuta principalmente al
fatto che il Gutemberg aveva appena inventato la stampa e quindi l’opera
del Pacioli ha potuto essere diffusa su vasta scala.
Lungi da me l’idea di screditare l’opera del Pacioli. Ma perché mi sento in
obbligo di ridimensionarlo? Perché nel 1458, quindi quasi cinquant’anni
prima, a Firenze Benedetto Cotrugli pubblicò una opera sulla contabilità,
sulla partita doppia, sui registri contabili e sul bilancio di pari valore di
quella del Pacioli (ricordo ancora che il Pacioli scrisse che stava utilizzando
i principi contabili in uso tra i commercianti a Venezia e quindi quasi sicura-
mente questi ultimi avevano appreso le nuove regole contabili dai commer-
cianti di Firenze…). Sfortuna volle che nell’anno di uscita del libro
emanuense di Cotrugli il Gutemberg stava ancora sperimentando la sua
prima macchina stampante. La sua opera, “
Della Mercatura e del Mercan-
te perfecto
”, verrà stampato quasi centoventi anni dopo, nel 1573, quando
la pubblicazione del Pacioli aveva già avuto una risonanza mondiale (lo
posso affermare senza tema di smentita perché gli spagnoli in tale epoca
utilizzavano già la partita doppia nelle loro colonie in America).
Per quanto riguarda la figura del professionista contabile, questi comincia-
va ad acquisire finalmente uno status sociale. La contabilità nelle imprese
del Medio Evo era diffusa, ma non pubblica, né tantomeno disponibile ai
terzi: tutti i dati contabili erano altamente riservati.
Con la crescita del commercio aumentarono però anche i litigi tra gli opera-
tori del settore: purtroppo, i tribunali dell’epoca non erano all’altezza di
dirimere tali controversie, vuoi per mancanza di volontà, vuoi per carenza
di leggi specifiche in materia. Nacquero così le corporazioni dei commer-
cianti e degli artigiani che crearono tribunali ad hoc e fissarono norme e
regole sulla base degli usi e costumi correnti in essere. Per raccogliere
prove ed ottenere chiarimenti sui fatti, tali tribunali spesso chiamavano i
contabili (antesignani dei CTU) come esperti. Dal ruolo marginale e ritenu-
to scarsamente virile dell’epoca romanica finalmente il contabile venne
riconosciuto come una vera figura professionale.
Da tale momento in poi sono poche le cose da aggiungere oltre a quelle che
già tutti sapete: con l’età moderna si evolve il commercio, sempre più inter-
nazionale e globalizzato, si sviluppa l’industria, si costituiscono le multina-
zionali, nasce la speculazione. In tale ambiente in costante evoluzione la
contabilità, di pari passo, cresce e si adatta.
Nascono quindi nuovi concetti, quali l’ammortamento, gli accantonamenti,
le riserve, si perfeziona l’analisi dei costi, si creano scuole ed università che
insegnano la contabilità, nascono le prime associazioni di professionisti
contabili, le banche, le società quotate e le società pubbliche esigono che
i loro bilanci siano controllati da professionisti contabili, nascono le mac-
chine che facilitano la tenuta della contabilità.
Se volgiamo uno sguardo indietro, vediamo che dai primi rudimenti conta-
bili di 10.000 anni fa alla partita doppia l’uomo impiega circa 9.500 anni
(Cotrugli 1458), mentre in questi ultimi 500 anni la contabilità ha fatto passi
da gigante. È il tipico caso di progressione esponenziale.
Ma se abbiamo accertato che l’andamento della contabilità (o meglio, delle
applicazioni contabili) è raffigurato da una funzione esponenziale, dove arri-
veremo? Anche il progresso tecnologico avanza seguendo un andamento
esponenziale, per cui che fine farà la nostra professione? Saremo soppiantati,
come dice simpaticamente il libro di Federico Pistono, dai robot?
Una ricerca della Università di Oxford è arrivata alla conclusione che circa
settecento tra professioni e lavori saranno rimpiazzati dai robot (o compu-
ter, è lo stesso) causando una potenziale perdita di circa un miliardo e
seicento milioni di posti di lavoro: ci siamo anche noi? Si e no…
Perché dovrebbe scomparire la professione contabile? Per due ordini di
motivi:
-
La elevata tecnologia dei sistemi informatici: abbiamo sempre meno
bisogno di persone che inseriscano i dati, mentre i computer sono sempre
più autosufficienti
-
La volontà del legislatore tributario: per evitare frodi ed evasioni, il
fisco cerca di ottenere sempre più autonomamente i dati contabili del con-
tribuente cercando di gestirseli da solo. Basti pensare alle fatture elettroni-
che: già adesso le micro e piccole imprese possono inviare telematicamente
le fatture di acquisto e vendita al fisco e questi garantisce loro una tranquil-
lità fiscale. Molto probabilmente in un futuro non troppo remoto ci saranno
grandi società di servizi che per alcuni centesimi di euro a fattura faranno
gli invii telematici sostituendosi ai professionisti contabili
Ma alla luce di quanto sta accadendo (o accadrà, come ho apocalitticamente
riportato), cosa dice l’IFAC? Essenzialmente quattro cose, cercando di
infondere un po’ di insperato ottimismo:
-
I professionisti contabili diventeranno dei consulenti altamente
specializzati che dovranno essere in grado di capire ed interpretare corret-
tamente per conto delle aziende clienti tutte le informazioni che i robot/
computer produrranno;
-
Il mondo sarà sempre più globalizzato, per cui i professionisti con-
tabili dovranno collaborare tra loro anche a livello di network e associazio-
ni a livello internazionale;
-
I professionisti contabili dovranno avere la totale padronanza delle
nuove tecnologie per offrire unmigliore e più rapido servizio ai propri clienti;
-
La fiducia e la credibilità continueranno ad essere elementi fonda-
mentali nella vita professionale ed il miglior biglietto da visita.
Quindi non tutto è perduto; rimbocchiamoci le maniche e stiamo pronti a
combattere, perché questa volta non c’è posto per tutti…
Evoluzione della professione contabile
LA RUBRICA DI "BANQUO"
La regola della buona amministrazione
ALCUNI AMICI, FORSE TURBATI dalle continue notizie di corru-
zione e malversazione, mi hanno chiesto se, nel mio vagare per i
vari secoli e per i vari paesi, ho visto esempi di buona amministra-
zione, o – se preferite – di buon governo.
Confesso che la perfezione non è di questo mondo, ma per lo meno
mi sento di indicare i principi di una buona amministrazione, sia
pubblica che privata.
Penso che la migliore indicazione ci provenga dalla Serenissima
che, in riferimento alle persone alle quali erano affidati incarichi
pubblici (ma non solo) aveva coniato il motto “pesei, paghei,
pichei”.
La traduzione letterale è “pesateli, pagateli, impiccateli”, ma
evidentemente è necessario un chiarimento.
I veneziani dell’epoca intendevano dice che, prima di affidare un
incarico ad una persona bisogna accertare se ha la preparazione e
le capacità necessarie.
I funzionari vanno poi remunerati adeguatamente.
È illusorio pensare che la gente lavori, soprattutto lavori bene, gratis
et amore Dei. Ma poi, alla fine del suo mandato (che deve essere
sempre temporaneo!) il personaggio va giudicato per il suo operato e
– se si è comportato male e soprattutto, se si è fatto corrompere - deve
essere punito assai severamente.
Mi dicono che, invece, in Italia le nomine vengono fatte sulla base
dell’appartenenza a partiti, correnti, cosche e conventicole varie,
anziché in base alla competenza ed al merito, i compensi non sono
adeguati al lavoro ed ai risultati conseguiti e le sanzioni sarebbero
nominalmente ragionevoli, ma vengono banalizzate dal
patteggiamento e dalla prescrizione.
Penso che se anche voi italiani applicaste oggi quelle 3 P della
Serenissima le cose andrebbero molto meglio!
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