Il Commercialista Veneto n.224 (MAR/APR 2015) - page 10

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NUMERO 224 - MARZO / APRILE 2015
IL COMMERCIALISTA VENETO
GIANCARLO TOMASIN
Ordine di Venezia
L'esercizio della funzione disciplinare
nel quadro della riforma
PROFESSIONE
SEGUE A PAGINA 11
S
ONO LIETO DI ESSERE FRA VOI oggi per parlarvi della funzione
disciplinare, anche perché questo mi dà modo di fare un bilancio dell’attività
del Consiglio di Disciplina del nostro Ordine dopo il primo anno di attività.
Premessa: il D.L. 138/2011
Tradizionalmente agli Ordini delle varie professioni erano devoluti, assieme agli
altri compiti, relativi alla tenuta dell’Albo, alla rappresentanza degli iscritti, alla
preparazione dei tirocinanti e così via, anche i procedimenti disciplinari, i
procedimenti cioè aventi ad oggetto le violazioni dei principi deontologici che
regolano le singole professioni. L’art 3 del D.L. 138/2011 ha invece conferito delega
al Governo affinchè la legislazione in materia fosse riformata in modo da prevedere
che tale funzione fosse devoluta a organi di nuova istituzione, i Consigli di Disciplina,
nei due gradi, territoriali e nazionale. La delega ha avuto attuazione con l’art. 8 del
D.P.R. 137/2012. Ulteriori disposizioni sono state recate dal Regolamento emanato
dal Consiglio Nazionale l’8 novembre 2012. Il Consiglio di Disciplina dell’ODCEC
di Venezia è stato costituito con provvedimento del Presidente del Tribunale di
Venezia dell’8 ottobre 2013.
Prima di scendere nei dettagli l’interprete deve comprendere l’intenzione del
legislatore (art. 12 prel.) o – per dirla con solito latinetto - la
mens legis
.
La prima cosa che si comprende è che il legislatore, nel prevedere organi specifici,
ha dato un’importanza tutta particolare alla funzione disciplinare e quindi a quei
principi di etica o deontologia professionale che la disciplina deve garantire.
Questo si comprende se si tiene conto che la deontologia con i suoi principi non
costituisce un accessorio dell’esercizio delle attività professionale, ovvero un’ulteriore
fastidio, rispetto a quelli che i professionisti già subiscono, ma un elemento
determinante e caratterizzante delle libere professioni.
Il secondo punto che la normativa rende evidente è che il legislatore, forse critico
sulla possibilità di un effettivo serio controllo da parte di un organo eletto dagli
stessi professionisti potenzialmente oggetto di provvedimenti disciplinari, non si è
limitato ad una semplice modifica della normativa, ma ha voluto una effettiva
discontinuità con il passato e le sue prassi, attribuendo l’intera materia disciplinare
ad organi diversi, di nuova costituzione. I nuovi Consigli di Disciplina sono infatti
costituiti con provvedimento del Presidente del Tribunale competente, sia pure su
una rosa di nomi redatta dal Consiglio dell’Ordine e possono comprendere, oltre
agli iscritti, anche determinati non iscritti.
Il CdD di Venezia: suoi obiettivi
Come ho detto il Consiglio di Disciplina di Venezia è stato costituito con
provvedimento dell’8 ottobre 2013. Ci si è subito posti un problema per così dire
ontologico: cosa siamo e quale è la nostra
mission.
Noi siamo, ovviamente, un
organo amministrativo e non un organo giudiziario.
Quanto al nostro compito, o se si preferisce la nostra
mission
noi abbiamo ritenuto
che il nostro compito non debba essere quello di meri dispensatori di sanzioni
disciplinari ma, al contrario, consista in un’opera attenta e diligente di diffusione
della consapevolezza dei principi deontologici e della loro importanza per il
rafforzamento della professione, e ciò anche mediante un’opera di
moralsuasion.
L’irrogazione della sanzioni deve quindi essere intesa come eventuale.
Abbiamo cercato di indicare questo programma in alcune Linee Guida che ci siamo
dati. Va tenuto presente che l’attività disciplinare è volta a tutelare l’interesse della
collettività, che ha bisogno di professionisti preparati e corretti, della categoria che
trae il suo prestigio e la sua forza dal comportamento dei suoi iscritti e dei singoli
iscritti, per i quali un tempestivo intervento in sede disciplinare può evitare di
superare il confine, talora labile, fra l’infrazione disciplinare ed il reato, che comporta
danni personali talora irreparabili.
Mi sia consentito, in proposito, di ricordare il Decalogo della Professione di Enrico
Gustarelli, che è stato mio amico e Maestro, che tengo – incisa su una lastra
d’argento – ben visibile nel mio studio:
1. La professione è vocazione, segnata nel nostro D.N.A.;
2. La professione è scienza, elaborata senza requie nella nostra mente;
3. La professione è tecnica, aggiornata continuamente dal nostro studio;
4. La professione è arte, vivificata e stimolata dalla nostra intuizione;
5. La professione è etica, comandata dalla nostra coscienza;
6. Il cliente è uomo, da conoscere e apprezzare nella sua ineludibile singolarità;
7. Il cliente è amico, da accettare coi suoi dubbi e colle sue indecisioni;
8. Il cliente è partner, da coinvolgere nell’esperienza e nella dialettica;
9. L’impresa è struttura, da comprendere nella sua essenza;
10. L’impresa è movimento, da vivere assieme dal suo interno.
I problemi affrontati
Il fatto poi che il legislatore abbia voluto una discontinuità con il passato ha sollevato
il problema se i nuovi Consigli di Disciplina siano vincolati al rispetto di disposizioni
di ordine regolamentare emanati in passato in relazione all’attività dei Consigli degli
Ordini in materia disciplinare.
È nostra convinzione che tale vincolo non sussista, ma che i documenti emanati in
passato possano essere considerati come frutto di dottrina.
Consta che il Consiglio Nazionale abbia attualmente all’esame un Regolamento per
i Consigli di Disciplina (ovvero della funzione giudicante o decidente degli stessi).
Vorrei formulare alcuni auspici. Il Primo: non facciamo del nostro procedimento
una parodia dei procedimenti giudiziari che hanno comportato quelle disfunzioni
delle giustizia italiana, che tutti deplorano, ma che nessuno corregge (e, talvolta,
clona per altri organi).
Il secondo, di meglio curare il principio del contraddittorio, imprescindibile in
procedimenti come il nostro ed espressamente previsto dall’art 49 del nostro
Ordinamento. Esso va tutelato anche nella fase dibattimentale e nel secondo grado
del procedimento, quello dinanzi al Consiglio Nazionale.
È poi ancora nostra convinzione che l’esperienza maturata in materia disciplinare
dai Consigli degli Ordini e dalle commissioni nominate al loro interno, non vadano
disperse, ma, nei limiti del possibile, utilizzate.
Un problema, assai delicato, che anche i Consigli degli Ordini hanno incontrato è
quello relativo alla misura delle sanzioni in rapporto alle singole infrazioni.
L’ordinamento prevede tre ordini di sanzioni, e cioè la censura, la sospensione
temporanea dall’esercizio delle professione e la radiazione. Non dice peraltro nei
confronti di quali infrazioni le singole sanzioni vadano applicate e, tanto meno, la
durata della sospensione. Si limita a statuire che la sanzione
“deve essere comunque
proporzionata alla gravità dei fatti
contestati ed alle conseguenze dannose che
possono essere derivate dai
medesimi”
e che deve tenersi conto del
“profilo
soggettivo”
dell’incolpato.
Ci proponiamo pertanto di predisporre una griglia delle possibili infrazioni,
possibilmente distinguendo fra infrazioni di pericolo e infrazioni di danno (anche in
relazione alle conseguenze dannose alle quali fa cenno l’Ordinamento) e, in un
secondo momento, attribuire le relative sanzioni, fra un minimo ed un massimo. Il
profilo soggettivo, così come le circostanze attenuanti ed aggravanti, comporteranno
l’applicazione dei minimi o dei massimi edittali o ulteriori riduzioni della sanzione.
In prospettiva si dovrà pervenire alla formulazione di un Codice Disciplinare,
accanto ad un Codice Deontologico.
Un altro problema affrontato è quello della distinzione fra la funzione giudicante e
la funzione inquirente, che il legislatore – trattandosi di un organo amministrativo e
non giudiziario – opportunamente definisce istruttoria e decisoria. È vero che tale
distinzione non è necessaria per gli organi amministrativi, ma personalmente la
auspicherei, in modo da rendere più corretto il contraddittorio e garantire la terzietà
dell’organo giudicante (o decidente). Ricordo, in proposito, l’insistenza diAssonime
per distinguere le due funzioni nell’ambito delle cosiddette Autorità. Aggiungo che,
anche per la novità dell’istituto, ci siamo trovati ad affrontare problemi e casi
dubbi, che abbiamo sempre cercato di risolvere sul piano concreto facendo riferimento
ai principi generali del diritto che rappresentano sempre una valida bussola per il
nostro operare.
Ci è anche in questo di guida il pensiero e l’insegnamento che abbiamo ricevuto dai
nostri Maestri. Consentitemi di ricordare – non senza una certa commozione – i
nostri Antonino Gianquinto e Domenico Chiesa, e poi Luigi Chiaraviglio, Gino de
Gennaro e Bruno Visentini.
Altre attività
Ma proprio per coerenza con la
mission
che ci siamo dati e cioè che nostro primo
compito è quello di prevenire infrazioni anzichè sanzionarle, abbiamo preso in
esame alcuni fatti della vita professionale più facilmente atti a creare contrasti e
possibili violazioni dei principi deontologici.
Abbiamo notato che il cambio di professionista, che deve essere considerato
fisiologico e connesso con la stessa natura di libera professione, dà luogo
frequentemente a contrasti ed esposti al Consiglio di Disciplina. Per questo stiamo
studiando la predisposizione, con il Consiglio dell’Ordine, di Norme di
comportamento che, in aggiunta a quanto stabilito dall’art 16 del Codice
Deontologico, consentano una corretta e pacifica sostituzione del professionista,
Relazione tenuta nell’ambito dell’Assemblea
dell’Ordine dei DCEC di Venezia il 27/11/2014
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