Il Commercialista Veneto n.224 (MAR/APR 2015) - page 6

6
NUMERO 224 - MARZO / APRILE 2015
IL COMMERCIALISTA VENETO
civile il saldo finale dovrà avere quale riferimento
esclusivamente la società inizialmente
depauperata, potendosi a tale fine tenere conto
anche di eventuali operazioni di ripristino
ex
post
, imponendosi l’accertamento dell’assenza
di un
danno
; al fini penali, invece, la
compensazione (effettiva o fondatamente
prevista) può tenere conto del risultato positivo
ottenuto o ottenibile dal gruppo o da altra società
a questo appartenente, non essendo in tal caso
ingiusto il
profitto
perseguito, mero oggetto della
tensione finalistica della condotta dell’autore,
pur permanendo un danno in capo alla società
inizialmente depauperata. L’estensione della teoria dei vantaggi
compensativi - così intesi ai fini penali - ai reati fallimentari e, in particolare,
al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, non è ammissibile,
dovendosi tenere conto dell’oggetto di tutela protetto dalle norme penali
fallimentari (l’interesse dei creditori), con la conseguente necessità di
accertare l’assenza di un danno nel patrimonio della fallita depauperata
nell’ottica del gruppo, in armonia con la teoria dei vantaggi compensativi
nel diritto civile, coerentemente con l’omogeneità degli interessi protetti. Si
manifesta contraddittorio il trattamento diverso di una stessa condotta
laddove, in ipotesi di un fallimento successivo e non imputabile
eziologicamente a quello stesso atto dispositivo, il vantaggio non potrà
più essere ricostruito elasticamente guardando al gruppo, bensì rigidamente
guardando al patrimonio della fallita, pur non avendo tale atto contribuito
in alcun modo a causare il dissesto.
La bancarotta per effetto di operazioni dolose
La bancarotta per effetto di operazioni dolose (art. 223, comma II, n. 2 l. fall.)
è un’ipotesi residuale, che raccoglie in sé condotte non punite ad altro
titolo. Si tratta di un reato proprio, di natura commissiva, che postula la
realizzazione di una operazione dotata di una intrinseca complessità
strutturale, in grado di incidere nell’immediato negativamente e in termini
reali sul patrimonio dell’ente, realizzata dai soggetti preposti
dall’amministrazione dell’impresa a mezzo di un abuso, consistente nella
violazione dei doveri inerenti alla funzione ricoperta o nell’abuso dei poteri
ad essa riconnessi. Si tratta di un reato a struttura preterintenzionale: dolosa
dovrà essere l’operazione, nel senso che il soggetto deve rappresentarsi la
sua pregiudizialità rispetto alle ragioni dei creditori. L’evento fallimento è
una conseguenza ulteriore della condotta (in termini obiettivamente
(con)causali) e non voluta dall’agente; in una lettura costituzionalmente
garantita della norma dovrà essere possibile addebitare al soggetto attivo
la verificazione dell’evento in termini di concreta prevedibilità. La scissione
societaria, se isolatamente considerata, potrà essere sussunta
esclusivamente nel disposto di cui all’art. 223, comma II, n. 1) l. fall. avuto
riguardo all’art. 2629 c.c.; rileverà quale operazione dolosa solo se presa in
esame unitamente ad altri atti, tale da raggiungere quella complessità
strutturale che costituisce la caratteristica fondamentale dell’operazione
dolosa. Laddove non sorretta da una ragionevole giustificazione
nell’interesse dell’impresa l’operazione di Merger Leveraged Buy Out può
costituire operazione dolosa ex art. 223, comma II, n. 2), l. fall.,
ça va sans
dir
qualora il fallimento sia ad essa ricollegabile in termini eziologici.
Responsabilità solidale
In tema di responsabilità degli organi sociali, la responsabilità è generalmente
solidale con alcune eccezioni delineate dal legislatore e che hanno attenuato
le previsioni della vecchia normativa.
La solidarietà, quindi, è la regola anche per la responsabilità degli organi
sociali, con alcune possibili esclusioni che, in generale, dipendono
comunque da una condotta diligente, se non attiva quantomeno di vigilanza
Le nuove responsabilità
civili e penali
nelle società di capitali
SEGUE DA PAGINA 5
o di intervento successivo per eliminare o attenuare gli effetti pregiudizievoli
per la società.
La rinunzia all’azione di responsabilità verso amministratori
e sindaci ed il principio
nemo tenetur edere contra se
La delibera assembleare di rinuncia e/o transazione dell’azione di
responsabilità verso gli amministratori di società di capitali deve essere
necessariamente dettagliata nell’indicazione dei fatti/atti gestori per i quali
la rinuncia e/o la transazione medesime vengono svolte. Un tanto perché
trattasi di negozi giuridici per i quali l’oggetto deve necessariamente essere
determinato o determinabile a pena di nullità (artt. 1418, 1346 c.c.). Sorge il
problema della dichiarazione e quindi sostanziale auto-accusa
dell’amministratore laddove i fatti/atti gestori oggetto dei negozi di rinuncia
o transazione abbiano rilevanza penale, ciò a maggior ragione considerata
la difficoltà (che probabilmente si traduce in impossibilità) ad applicare in
ambito civilistico ed in particolare al negozio citato il principio penalistico
del
nemo tenetur edere contra se
. Si determina in questo senso un’evidente
contraddizione del sistema in generale e con riferimento alle aree di
responsabilità, civilistica e penalistica, dell’amministratore di società di
capitali che, per assurdo e per poter evitare il rischio di un’azione di
responsabilità sociale, dovrebbe auto-denunciarsi e rinunciare al proprio
diritto di difesa ed al silenzio.
Inoltre, nella fisiologia della vita delle società di capitali le azioni di
responsabilità sociale verso amministratori e sindaci vengono raramente
esercitate e non si ricorre quasi mai a delibere di rinuncia all’azione di
responsabilità dettagliate, ciò perché, proprio in ragione del fatto che quanto
richiesto dal sistema a questo fine può essere controproducente sia per
l’autore dell’illecito, sia per la stessa società danneggiata che rischia di
essere ulteriormente danneggiata proprio dalla dichiarazione dell’illecito.
La prescrizione dell’azione civile di responsabilità,
l’azione penale e la costituzione di parte civile
La scelta dell’esercizio dell’azione civile per il risarcimento dei danni
conseguenza di un fatto di reato in sede civile ovvero in sede penale dipende
da molteplici fattori e costituisce in molti casi frutto di una valutazione
strategica a monte, ciò in particolare laddove persona offesa/danneggiato
da reato sia una procedura concorsuale.
La diversa disciplina processuale, naturale conseguenza dei differenti
principi che governano il processo civile, da un lato, e quello penale,
dall’altro, può certo essere, come spesso è, la ragione per la quale si sceglie
una strada piuttosto dell’altra.
In sede penale la parte civile da un lato può con la sua presenza partecipare
e contribuire attivamente anche all’accertamento della responsabilità penale
degli autori dei fatti, dall’altro può beneficiare dell’attività del pubblico
ministero anche in funzione dell’accertamento e prova del danno subito che
peraltro, con riferimento al danno morale, è
in re ipsa.
In sede civile, al contrario, colui che esercita l’azione di risarcimento dovrà
sottostare al rigido regime di preclusioni, ai principi della domanda e
soprattutto dispositivo con oneri particolarmente incisivi e che comportano
anche il dover dimostrare la stessa responsabilità penale dell’autore del fatto.
A ciò si aggiunge anche la disciplina della prescrizione con il diverso
atteggiarsi di cui si dà conto e che, secondo un orientamento recente,
consente all’azione civile, se esercitata nel processo penale, di “beneficiare”
della disciplina della prescrizione penale.
Ben può accadere che il curatore opti per entrambe le vie, scegliendo il
processo civile per l’accertamento e condanna al risarcimento del danno
patrimoniale, considerata la tecnicità degli accertamenti più consoni alla
sede civile, ed esercitare anche l’azione civile nel processo penale,
limitandola alla richiesta di condanna del responsabile al risarcimento dei
danni morali.
Con ciò il Curatore sfrutta, per così dire e nel superiore interesse della
massa dei creditori, entrambe le strade, ampliando, nella massima misura
possibile, visto anche il regime della prescrizione di cui si è detto, la
possibilità per il fallimento di ottenere il risarcimento dei danni a vario titolo
subiti, anche con dilatazione dei tempi (se infatti esercita l’azione civile nel
processo penale, come visto, il termine di prescrizione dell’azione civile si
interrompe con effetto per tutto il processo penale ben potendo, ad esempio
nell’ipotesi di estinzione del reato per prescrizione, poi esercitare l’azione
civile in sede civile, non rischiando quindi di perdere la tutela per la
prescrizione penale).
Ciò quindi gli consente di partecipare al processo penale facendosi parte
attiva, senza perdere il diritto all’azione civile medesima ad esempio in
ipotesi di estinzione del reato per prescrizione.
1,2,3,4,5 7,8,9,10,11,12,13,14,15,16,...36
Powered by FlippingBook