Il Commercialista Veneto n.236 (MAR/APR 2017) - page 28

NUMERO 237 - MAGGIO / GIUGNO 2017
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Alessandro Solidoro
GIORDANO FRANCHINI
Ordine di Verona
Il ruolo del parere di congruità degli Ordini
professionali nel procedimento d'ingiunzione
PROFESSIONE
In riferimento all’articolo a mia firma recentemente pubblicato sulle
pagine di questo periodico, ho chiesto a due giovani praticanti avvocati
di esprimersi sulla natura del parere di congruità che l’Ordine professio-
nale è chiamato a rendere alla luce della recente novella legislativa che
ha visto abolite le vecchie tariffe professionali e sul ruolo riservato allo
stesso all’interno del procedimento per ingiunzione ex artt. 633 e ss.
c.p.c..Quella che emerge è una visione critica dell’operato di legislatore
ed interprete che, a discapito della professione, ha contribuito a limitare
fortemente l’utilizzabilità in giudizio del parere di congruità pur a fronte
di una sostanziale immutabilità dello stesso, dato che permane “provve-
dimento soggettivamente e oggettivamente di natura amministrativa”
esposto ai dettami di cui alla legge n. 241/1990. Si conclude invocando
una rilettura del dettato normativo più flessibile, meno anacronistica e
maggiormente rispondente alle esigenze degli attuali tempi di crisi.
Come noto l’art. 9 D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, successivamente convertito
con modificazioni nella Legge 24 marzo 2012 n. 27, ha abrogato le tariffe
delle professioni regolamentate delegando allo strumento del decreto
ministeriale la determinazione concreta dei parametri cui adeguarne i relati-
vi compensi.
La citata novella, che in appena una riga finisce per liquidare il vecchio
sistema tariffario, è tutt’altro che priva di conseguenze e portati per le varie
categorie professionali coinvolte e ciò soprattutto con riferimento all’aspet-
to patologico dell’utilizzo della parcella ovvero del suo valore probatorio in
sede giudiziaria.
All’atto pratico il maggior cambiamento consiste nella modalità di liquida-
zione delle competenze. Se prima gli Ordini territoriali a richiesta del profes-
sionista provvedevano ad opinare la parcella inevasa, oggi, a seguito della
citata riforma, devono invece limitarsi ad emettere un parere di congruità
sulla stessa («congruità che sussiste quando la proposta del professioni-
sta rientra in una forbice di ragionevolezza valutata in rapporto alle caratte-
ristiche del caso concreto che l’ordine è in grado di apprezzare in tutti i suoi
aspetti tecnici e professionali», Tribunale di Udine, ord. 17.02.2014).
Quello che prima era una mera certificazione della rispondenza del credito
alla tariffa professionale, un’operazione quasi puramente matematica, ora
implica dunque profili maggiormente discrezionali e valutativi della presta-
zione resa dal richiedente.
Questo tuttavia non intacca la natura di quello che oggi è il parere di
congruità che a ben vedere resta, al pari del suo antecedente, un provvedi-
mento soggettivamente e oggettivamente di natura amministrativa. Sog-
gettivamente perché è pur sempre il prodotto di un ente pubblico non
economico quali sono gli Ordini professionali e oggettivamente perché
permane il culmine di un procedimento che vede l’esplicarsi di poteri
prettamente autoritativi
1
.
Tale deduzione porta a concludere che pacificamente continuino ad appli-
carsi i garantistici dettami previsti per i procedimenti amministrativi dalla
Legge 7 agosto 1990 n. 241, i quali, per l’appunto, non tollerano eccezioni
al di fuori dei casi espressamente indicati dalla legge stessa al suo art. 13
2
.
Ex artt. 633 e ss c.p.c. alla luce dell'abolizione
delle tariffe professionali
Il
punctum dolens
dell’intera questione però è un altro e sembra piuttosto
essere un portato collaterale della riforma, che finisce a ben vedere col
cozzare con il dato letterale dell’art. 633 del codice di procedura civile ovve-
ro con quella norma che richiama le condizioni di ammissibilità per il ricorso
al procedimento per decreto ingiuntivo, la forma giurisdizionale più snella
e veloce (se non altro perché almeno preliminarmente si procede
inaudita
altera parte
, aggirando i tempi fin troppo cadenzati di un giudizio ordina-
rio) di far valere un credito rimasto insoluto.
Il legislatore al numero 3 dell’art. 633 c.p.c. citato, ha previsto una sorta di
agevolazione probatoria per il caso di crediti relativi ad onorari di esercenti
una libera professione o arte derivanti da una tariffa legalmente approvata,
il che comporta che la domanda del professionista
de plano
vada accom-
pagnata, ai sensi del combinato disposto con l’art. 636 c.p.c., dalla parcella
corredata dal parere della competente associazione professionale.
Ciò almeno fino all’entrata in vigore della riforma in commento, questo
perché a seguito dell’abrogazione delle tariffe professionali e dell’entrata
in vigore del D.M. n. 140/2012 si è posta la concreta questione se l’ordine
abbia ancora titolo per rilasciare il parere di liquidazione parcelle ai fini della
procedura per ingiunzione.
La risposta del filone dottrinale principale si è attestata nel senso di ritene-
re che l’abrogazione dei tariffari abbia cagionato l’implicita abrogazione
parziale anche degli artt. 633 c. 1 n. 3 e 636 c.p.c. che richiamano tra le loro
condizioni di applicabilità proprio l’esistenza di una “tariffa legalmente
approvata”.
La con eguenza immediata di questa interpretazione della riforma è, oltre
allo svilimento della funzione stessa del parere di liquidazione e il conse-
guente contenimento dei poteri degli ordini, l’immediata limitazione del
ricorso al procedimento per ingiunzione, che resta quindi precluso ove il
professionista, come qualsiasi altro creditore, non riesca a fornire la prova
scritta del suo credito, ad esempio attraverso un preventivo o un accordo
siglato con il cliente (cosa che peraltro non è sempre facile da pattuire
ex
ante
considerando le numerose e imprevedibili varianti che può subire un
conferimento d’incarico in corso d’opera).
Tale conclusione all’atto pratico tuttavia appare quanto mai insoddisfacente
e ciò per diversi ordini di motivi.
Bisogna porre innanzitutto riguardo alla valenza ed alla natura delle diver-
se fonti normative che hanno contribuito ad attuare la riforma delle profes-
sioni.
Ad abolire concretamente le tariffe professionali è stato l’art. 9 c. 1 del D.L.
n. 1/2012 e quindi una fonte di rango primario, ma a dar corpo veramente
alla riforma è stato il D.M. n. 140/2012 ovvero una fonte regolamentare.
I regolamenti di attuazione e integrazione, quale è il D.M. appena citato,
vengono adottati quando una disciplina è coperta da riserva di legge
relativa (mai per materie coperte da riserva di legge assoluta) e nel caso in
cui una legge definisca soltanto norme di principio, favorendo una migliore
applicazione della stessa e colmando eventuali incompletezze.
Orbene nel caso di specie vi sono senz’altro due anomalie.
In primo luogo, la fonte primaria ovvero il D.L. n. 1/2012 poi convertito, non
1
Cfr. TAR Lazio, sent. 10 gennaio 2012, n. 196. Con riferimento alla categoria professionale degli avvocati ma richiamabile per analogia, T.A.R. Perugia (Umbria), sez. I,
10 maggio 2016, n. 395, T.A.R. Milano (Lombardia), sez. III, 11 settembre 2014, n. 2345 e Consiglio di Stato, sez. IV, 24 dicembre 2009, n. 8749 .
2
Cfr. TAR Lazio, sent. 10 gennaio 2012, n. 196 nonché parere C.N.D.C.E.C. d.d. 14 gennaio 2015.
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