Il Commercialista Veneto n.222 (NOV/DEC 2014) - page 6

6
NUMERO 222 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
Impresa sociale, rendicontazione sociale
SEGUE DA PAGINA 5
SEGUE A PAGINA 7
dalla propria missione e pertanto non permette di mi-
surare in maniera completa né l’impatto dell’impresa
sociale verso la comunità, né verso gli stessi soci.
Questo scenario rivela l’incoerenza tra la missione
sociale dell’impresa sociale e il loro modello di
accountability che è fondamentalmente orientato alla
dimensione economica. Il problema è che la mera di-
mensione economica è in un qualche modo poco signi-
ficativa per organizzazioni non orientate al profitto
(Gray et al., 2006), soprattutto se misurata con un
approccio
one-bottom-line
esattamente identico ad
organizzazioni che invece sono orientate al profitto.
E’ probabilmente
anche
per questo motivo che molte
imprese sociali italiane hanno avvertito l’esigenza di
allargare i loro sistemi di accountability in modo com-
pletamente volontario fornendo informazioni
aggiuntive più vicino alla loro identità (Unerman e
O’Dwyer, 2006) e alla loro finalità/missione. Alcune
imprese sociali italiane hanno infatti negli anni costru-
ito strumenti di rendicontazione – tipo bilancio socia-
le - nel tentativo di andare oltre la tradizionale linea
economica e finanziaria (Costa, 2014a, 2014b).
In Italia alcune imprese sociali ‘non accreditate’ si im-
pegnano volontariamente sui temi della
rendicontazione sociale e ambientale, perché percepi-
scono questo come un ‘obbligo morale’ (Black, 2003)
nei confronti di diversi soggetti interessati, in primo
luogo i soci (o stakeholder interni).Questi sistemi di
rendicontazione (stand-alone, integrato o preventivi)
evidenziano lo sforzo di migliorare il dialogo con gli
stakeholder piuttosto che limitarsi a rispondere alle
normative.
Modelli di ‘accountability’ per le imprese sociali:
da un approccio one-bottom-line
a un approccio ‘multidirezionale’
La gestione di creazione
di valore sociale ed economico
Le imprese sociali sono organizzazioni focalizzate sulla
creazione di valore sociale; la loro missione infatti
non
è orientata alla creazione di valore economico (Dart et
al., 2010; Austin et al., 2006; Dees, 1998b). Questo
non significa, però, che le imprese sociali non devono
impegnarsi in strategie in grado di garantire una
remunerazione aziendale; al contrario, esse devono
creare costantemente valore economico per sopravvi-
vere nel tempo e per garantire all’organizzazione stes-
sa di continuare con la sua missione. In altre parole,
mentre le organizzazioni for-profit considerano la
creazione di ricchezza come un modo di misurare la
creazione di valore, per le imprese sociali la creazio-
ne di ricchezza deve essere considerato come un mez-
zo necessario per la sopravvivenza dell’organizza-
zione nel tempo (Dees, 1998a).
Le imprese sociali devono perseguire sia la creazione
di valore sociale (obiettivo primario), come indicato
nella loro missione, sia la creazione di ricchezza eco-
nomica (obiettivo secondario o vincolo, si veda
Andreaus, 2006; Andreaus e Costa, 2014), al fine di
garantire il perseguimento della loro missione in futu-
ro. Secondo questa visione le imprese sociali sono
considerate organizzazioni ‘double bottom line’ (Dart
et al., 2010), in grado di produrre sia valore sociale che
economico (Dees ed Economics, 2001). Dal momento
che sono orientate alla creazione di valore sociale, la
loro performance non può essere misurata con i tradi-
zionali indicatori finanziari (Austin et al., 2006), e
l’adozione di soli indicatori economici e finanziari sono
privi di significato nel valutare le prestazioni di queste
organizzazioni.
Mentre la valutazione delle prestazioni delle organiz-
zazione for-profit è ben riassunta nel suo bilancio eco-
nomico, perché gli azionisti considerano questo come
il perseguimento della missione dell’azienda, al con-
trario nelle organizzazioni non profit non vi è alcun
rapporto automatico tra la realizzazione della missio-
ne e la sua performance finanziaria (Moore, 2000). Di
conseguenza, le imprese sociali dovrebbero sviluppa-
re un sistema più complesso di accountability
‘multidirezionale’ che non si concentra su una sola
linea economico, ma che cerca di rendere conto a un
elevato numero di stakeholder.
L’approccio ‘multidirezionale’
Ripartendo dal concetto di Gray et al. (1996),
l’accountability è “il dovere di fornire un resoconto
(non necessariamente finanziario) o riconoscere le azioni
per le quali un soggetto è ritenuto responsabile”(Gray
et al., 1996, p. 38)
4
. Questa definizione implica due
diverse ma collegate responsabilità: i) la responsabili-
tà di intraprendere determinate azioni (responsabilità
interna), e ii) la responsabilità di fornire una spiega-
zione/resoconto di tali azioni (responsabilità esterna).
Questa responsabilità di ‘fare’ e ‘rendicontare’ è tra-
sversale e riguarda tutte le organizzazioni, quelle pri-
vate, pubbliche, orientate al profitto o non profit.
Con particolare riferimento alle aziende non profit
molti studiosi hanno cercato di analizzare
‘verso chi’
un’organizzazione deve essere accountable e hanno
proposto diversi framework di analisi e schemi
intrepretativi (Avina, 1993; Kearns, 1994; Edwards e
Hulme, 1996; Najam, 1996; Brown e Moore , 2001;
Ebrahim, 2003a , 2003b; Ospina et al., 2002).
Alcuni autori sviluppano un modello basato sulla
stakeholder theory e cercano di capire quali sono gli
stakeholder (committenti, clienti e l’azienda in sé) che
in un qualche modo hanno un ‘diritto prioritario’ di
rendicontazione (Najam, 1996; Ebrahim, 2003a). Altri
invece propongono un modello strategico
dell’accountability (Moore, 2000; Brown e Moore,
2001) nel quale le dimensioni della creazione di valore
sociale, sostegno sostenibile e sopravvivenza
organizzativa vengono bilanciate affinché ognuno di
questi problemi venga visto come un’esigenza di
accountability.
Con particolare riferimento alle imprese sociali, mol-
teplici sono gli scritti di colleghi i quali hanno definito
un possibile modello di accountability per le imprese
sociali (Matacena, 2007; Bagnoli e Megali, 2011;
Andreaus, 2007; Andreaus e Costa, 2014). Merita at-
tenzione il modello proposto da Andreaus e Costa
(2014) perché per la prima volta introduce il concetto
di responsabilità sociale nel dibattito.
Gli autori propongono un modello di accountability
basato su tre tipi di responsabilità: quella economica,
quella sociale e quella di missione.
La
responsabilità economica
è il mezzo di sostentamen-
to dell’impresa sociale; l’impresa sociale deve essere eco-
nomicamente e finanziariamente sostenibile, al fine di
garantire il raggiungimento della missione nel tempo.
La
responsabilità sociale
si riferisce alla responsabilità
dell’impresa sociale nei confronti dei propri stakeholder.
Questa dimensione è anche chiamata dell’’accountability
relazionale’ (Unerman e O’Dwyer, 2006).
Infine,
la responsabilità di missione
si riferisce alla
responsabilità per la coerenza delle attività dell’im-
presa sociale con i valori alla base della missione.
Unerman e O’Dwyer (2006) considerano questa di-
mensione ‘identity accountability’ in quanto ‘rappre-
senta un mezzo attraverso il quale i manager assumo-
no la responsabilità di plasmare la loro missione e dei
valori organizzativi’ (p. 356)
5
.
Per ricapitolare, questi contributi hanno evidenziato
come un sistema di responsabilità esclusivamente in-
centrato sulla dimensione economica è fisiologicamen-
te portata ad incontrare il problema dell’ ‘accountability
miopia’ - come Ebrahim (2005) la definisce. Un mec-
canismo di responsabilità che pone esclusivamente
l’attenzione su una linea di tipo economica sarà pro-
babilmente miope perché: 1) privilegia il rapporto solo
con i finanziatori, nascondendo quindi la possibilità di
essere responsabile verso le comunità e 2) ignora il
lungo periodo e riduce il lasso di tempo dei progetti,
concentrandosi su criteri di efficienza a breve termine.
Sulla base di questa discussione, alcuni autori hanno
evidenziato - sia teoricamente (Gray et al, 2006;
Ebrahim, 2005; Pearce, 2003) che empiricamente
(Nicholls, 2009, 2010; Gibbon e Affleck, 2008;
Diochon e Anderson, 2009) - l’importanza e l’urgenza
di ampliare i sistemi di accountability nelle organizza-
zioni non profit e delle imprese sociali, suggerendo
anche di adottare sistemi di rendicontazione sociale e
ambientale. Ebrahim (2003b) ha evidenziato i vantaggi
e gli svantaggi che possono verificarsi quando un’im-
presa sociale adotta sistemi di rendicontazione sociale
ed enfatizza il fatto che queste pratiche innovative
“possono aumentare la trasparenza organizzativa se
le informazioni che vengono raccolte e analizzate -
compresa l’evidenza del fallimento – sono comunicate
a tutti gli stakeholder e alla collettività in generale” (p.
824)
6
.
Cosa non funziona nelle legge italiana
sull’impresa sociale? Il legislatore
ha perso un’opportunità?
La letteratura nazionale ed internazionale evidenzia come
sempre più ci sia la ‘fisiologica’ necessità di allargare i
sistemi di accountability dell’impresa sociale al fine di
rendicontare sul loro fine istituzionale che non è ricon-
ducibile alla massimizzazione del profitto – driver che
viene messo invece in luce dagli attuali sistemi di misu-
razione aziendale, quali il bilancio d’esercizio.
La legge 118/2005 sull’impresa sociale in Italia, quin-
di, introducendo l’obbligatorietà per un sistema di ‘bi-
lancio sociale’ in grado di misurare l’impatto sociale di
queste organizzazioni ha di fatto compiuto un passo
pioneristico in questa direzione, cercando di allargare
l’accountability oltre la dimensione meramente eco-
nomica. Se guardiamo però ai numeri dell’impresa so-
ciale in Italia osserviamo quanto segue. Nel 2009 IRIS
Network pubblica i dati sulle imprese sociali italiane
‘accreditate’ ovvero iscritte nella sezione L dell’appo-
sito registro della Camera di Commercio. Delle circa
14.000 imprese sociali (principalmente con forma giu-
ridica cooperativa), solo 623 hanno ottenuto il ‘brand’
giuridico di impresa sociale.
Cosa è successo? Le cooperative sociali italiane non
hanno chiesto la qualifica di ‘impresa sociale’? Chi
sono queste imprese sociali?
Molte sono le domande e le questioni che questi dati
potrebbero suscitare ma in questa sede ci vorremmo
soffermare su un aspetto in particolare: che incentivo
avrebbero le cooperative sociali – che abbiamo visto
essere
naturalmente
ma non
automaticamente
impre-
se sociali – ad acquisire lo
status
giuridico di impresa
sociale? Possiamo parlare di un ‘parziale fallimento’
del recente framework legislativo sull’impresa sociale
italiane in quanto è stato incapace di fare appello alle
cooperative sociali tradizionali?
Le riflessioni su questa incapacità delle legge italiana
di aver creato un vero accountability framework per le
imprese sociali italiane vengono proposte da molti
colleghi di discipline diverse. Giuristi (Fici e Galletti,
2007; Iamiceli, 2009), economisti (Ecchia e Viviani,
2006; Sacconi, 2006 ) e aziendalisti (Andreaus, 2007;
Marano, 2006; Rusconi e Signori, 2007; Travaglini,
2007) hanno contribuito al dibattito sulle imprese so-
ciali analizzando i limiti e le potenzialità della recente
legislazione italiana in materia. Semplificando il dibat-
tito potremmo dire che la maggior parte di questi auto-
ri ‘punta il dito’ contro l’obbligo di rendicontazione
sociale imposto alle imprese sociali e in particolare
criticano il contenuto obbligatorio stabilito dal decreto
attuativo del 24 gennaio 2008 a firma dell’Agenzia per
le Onlus. Analizzando i 38 elementi richiesti dalla leg-
ge e cercando di attribuire un’ area di ‘disclosure’ per
ognuno di questi elementi si evidenzia come solo una
minima parte di questi indicatori si riferiscano alle
questioni sociali e ambientali; la maggior parte delle
informazioni richieste rimane ancorato alla descrizio-
ne della struttura di governance, all’attività, alle infor-
mazioni generali e finanziarie. Sembra quindi che il
legislatore abbia inserito sotto il cappello del “Bilan-
cio Sociale” una serie di informazioni che poco (o solo
in misura minimale) hanno a che fare con la dimensio-
ne sociale e ambientale dell’agire dell’impresa sociale.
Due sono, a mio modesto avviso, i limiti principali
dell’attuale impostazione della normativa. In primo
luogo, il legislatore ha posto troppa attenzione al det-
taglio delle informazioni richieste e ha pertanto pro-
posto un elenco di indicatori troppo stringenti; in que-
sto modo si è costruito un sistema di rendicontazione
troppo formale per questo tipo di organizzazioni per
le quali l’aumento della formalità può essere percepito
come “un onere inutile - e un’imposizione impropria”
4
Testo originale: ‘the duty to provide an account (by no means necessarily financial) or reckoning of those actions for which one is held responsible’.
5
Testo originale: it ‘represents a means by which managers (or activists) running organizations take responsibility for shaping their organizational mission and values’ (p. 356)
6
Testo originale: ‘can increase organizational transparency if information that is collected and analyzed – including evidence of failure – is disclosed to stakeholders or
the public’.
1,2,3,4,5 7,8,9,10,11,12,13,14,15,16,...32
Powered by FlippingBook