Il Commercialista Veneto n.222 (NOV/DEC 2014) - page 5

NUMERO 222 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 6
Impresa sociale, rendicontazione sociale:
cosa imparare dall'esperienza italiana?
ERICKA COSTA
RicercatriceUniversità di Trento
NON PROFIT / 2
Introduzione
Le imprese sociali possono essere definite organizza-
zioni non-profit private orientate alla creazione di va-
lore sociale, soggette ad un vincolo di distribuzione dei
dividendi che adottano unmodello di governance aper-
to e partecipativo (Borzaga e Defourny, 2001).
Dal 1990 in poi, le imprese sociali italiane hanno as-
sunto varie forme giuridiche, tra le più conosciute
merita nota quella della cooperativa sociale (Legge n.
381/1991). Nel 2005, con l’obiettivo di ‘abbracciare’
sotto un unico concetto le diverse forme giuridiche di
imprese sociali, il legislatore italiano disegna un nuovo
quadro giuridico per le imprese sociali e in qualche
misura introduce il concetto di ‘impresa sociale legale’
(rif. Legge 118/2005 e D. Lgs. n. 155 / 2006). Questo
concetto non fa riferimento ad una nuova forma giuri-
dica, o un nuovo tipo di organizzazione; piuttosto, è
solo un ‘marchio/accreditamento’ in cui potenzialmente
tutte le organizzazioni possono essere incluse (Fici,
2006). Pertanto, questa nuova ‘veste giuridica’ con-
sente a vari tipi di organizzazioni (non solo cooperati-
ve e organizzazioni tradizionali non-profit, ma anche
forme giuridiche tradizionalmente utilizzate per lo
sviluppo dell’impresa capitalista) di ottenere
l’accreditamento di ‘impresa sociale legale’ nel mo-
mento in cui rispettano i vincoli previsti dalla legge
per essere impresa sociale: a) creazione di valore so-
ciale; b) non distribuzione di utili e c) modello di
governance multi-stakeholder. Infine, secondo questo
quadro giuridico le imprese sociali che ottengono que-
sto accreditamento devono redigere ogni anno un bi-
lancio sociale secondo le schema che l’Agenzia per le
Onlus ha proposto e reso operativo con il Decreto
Attuativo del 24 gennaio 2008.
I dati più recenti, hanno tuttavia evidenziato che la
maggior parte delle imprese sociali italiane continuano
ad usare la forma giuridica della cooperativa e molto
poche richiedono l’accreditamento come ‘impresa so-
ciale legale’. Nel 2009, il rapporto IRIS Network
evidenziava che solo 623 organizzazioni su quasi
14.000 imprese sociali italiane hanno ottenuto il ‘mar-
chio’ di impresa sociale.
L’obiettivo di questo contributo è pertanto quello di
offrire una possibile spiegazione del ‘parziale falli-
mento’ del recente quadro giuridico italiano spiegando
come le imprese sociali dovrebbero adottare sistemi di
misurazione sociale (e da questo punto di vista la legge
italiana è pioniera in Europa) e come dall’altro lato
l’imposizione di uno standard/griglia di informazioni
troppo dettagliata e troppo rigida non vada incontro
alle vere esigenze di
accountability
delle realtà italiane.
Chi sono le imprese sociali?
Il tema dell’impresa sociale viene riconosciuto in Eu-
ropa verso gli anni Duemila. È in quel periodo infatti
che ricercatori universitari e studiosi di tutto il mondo
hanno collaborato alla rete di ricerca EMES Research
Network definendo le imprese sociali come “organiz-
zazioni non-profit private che forniscono beni o ser-
vizi a beneficio della comunità. Le imprese sociali si
basano su una dinamica collettiva che coinvolge vari
tipi di soggetti nei loro organi di governo, sono auto-
nome e sopportano i rischi economici legati alla loro
attività”(Defourny e Nyssen, 2008b, p. 5)
1
. Questa
scuola di pensiero posiziona le imprese sociali all’in-
terno del Terzo Settore e pertanto include in maniera
preponderante le cooperative sociali (Defourny e
Nyssen, 2010; Galera e Borzaga, 2009; Defourny e
Nyssen, 2008c).
In linea con questo approccio, Galera e Borzaga nel
2009 definiscono le imprese sociali come organizza-
zioni:
1)
orientate a perseguire un fine sociale
. L’obiet-
tivo delle imprese sociali è esplicitamente diverso dal
profitto, in quanto il loro orientamento è rivolto all’in-
teresse generale della comunità.
2)
con vincolo alla distribuzione del profitto
. I
profitti ottenuti dalle imprese sociali vengono
reinvestiti principalmente nell’organizzazione stessa
come autofinanziamento al fine di sostenere lo svilup-
po futuro dell’impresa sociale.
3)
che adottano un modello di governance aper-
to e partecipativo
in cui gli stakeholder, e non solo gli
investitori, hanno diritti di proprietà e potere di con-
trollo. (Galera e Borzaga, 2009, p 217).
Nell’approccio europeo, l’impresa sociale è pertanto
definita come un’organizzazione non profit privata, la
cui missione è quella di produrre beni e servizi nel
perseguimento degli obiettivi negli interessi generali
della comunità. Questo concetto è compreso tra il
nonprofit e la struttura cooperativa, ma non si
sovrappone completamente con questi concetti. Esclu-
de infatti le organizzazioni come le associazioni di
volontariato, le fondazioni o enti di beneficenza che non
sono dedicati a soddisfare un ruolo produttivo, anche se
appartengono al settore non-profit (Lohmann, 1992).
Esclude inoltre “le organizzazioni del terzo settore che
non svolgono attività imprenditoriali – tipo quelle dedi-
cate ad attività di advocacy o ridistribuzione – oppure
istituzioni pubbliche e imprese for profit impegnate in
progetti sociali” (Galera e Borzaga, 2009, p. 216)
2
.
Quale forma giuridica per le imprese sociali?
L’evoluzione della forma giuridica di impresa conosce
due fasi principali. Durante la prima fase lamaggior parte
delle imprese sociali adottavano la forma giuridica di as-
sociazione e cooperativa (e in molti casi questo continua
ad essere la forma giuridica prevalentemente adottata)
3
.
Durante la seconda fase alcuni paesi hanno adottato
forme giuridiche specifiche per l’impresa sociale sia
attraverso l’adeguamento del quadro giuridico della
cooperativa o attraverso l’introduzione di ‘brand’ le-
gali specifici (Galera e Borzaga, 2009). In Italia, que-
sto processo iniziò formalmente nel 1991, quando la
legge 381 sulle cooperative sociali pose le basi per un
quadro legislativo per le organizzazioni socialmente
orientate. Secondo questa legge, lo scopo di una coo-
perativa sociale è quello di perseguire l’interesse gene-
rale della comunità nella promozione della crescita
personale e di integrare le persone nella società, for-
nendo servizi sociali, assistenziali ed educativi (tipo
A) e promuovendo l’inserimento lavorativo di perso-
ne svantaggiate (tipo B ) (legge 381/1991). Dopo
l’esperienza italiana anche altri Paesi Europei hanno
adottato framework specifici per l’impresa sociale (per
una review si rimanda a Commissione Europea, 2013).
L’impresa sociale in Italia: quadro giuridico
e modelli di ‘accountability’
Il quadro giuridico alla luce
del recente Decreto Legislativo 155/2006
Nel 2005 in Italia abbiamo assistito ad un cambiamen-
to nel quadro normativo dell’impresa sociale: con la
legge 118/2005 e il D. Lgs. n. 155/2006 si è cercato di
introdurre una nuova
veste
giuridica – non
forma
giu-
ridica si badi – che in qualche modo comprende più
forme giuridiche al suo interno.
Secondo la legge, un’impresa sociale è definita come
una organizzazione non-profit privata, che in modo
permanente e principale svolge un’attività economica
finalizzata alla produzione e distribuzione di beni e
servizi di prestazioni sociali, e persegue obiettivi di
interesse generale (Galera e Borzaga, 2009). Questa
definizione consente a vari tipi di organizzazioni (non
solo cooperative e organizzazioni tradizionalmente
non-profit, ma anche organizzazioni investor-owned)
di acquisire lo
status
giuridico di impresa sociale a
condizione che rispettino il vincolo di non distribu-
zione degli utili e organizzano la rappresentazione di
alcune categorie di stakeholder nel modello di
governance. Pertanto, non solo le cooperative sociali -
che sono
naturalmente
ma non
automaticamente
im-
prese sociali - ma anche altre organizzazioni (tipo S.p.A.
o S.r.l.) potrebbero ottenere lo ‘status legale’ di impre-
sa sociale nel momento in cui definiscono uno scopo
sociale esplicito e non sono orientate all’arricchimen-
to dei loro soci (Defourny e Nyssen, 2010).
Secondo la legge italiana vigente, l’impresa sociale non
è un nuovo tipo di organizzazione, né è una nuova
forma giuridica; piuttosto, è solo un ‘accreditamento’
in cui tutte le organizzazioni ammissibili che stanno
rispettando i requisiti previsti dalla legge possono es-
sere incluse, indipendentemente dalla loro struttura
organizzativa (Fici , 2006).
Le cooperative sociali sono pertanto naturalmente,
ma non automaticamente ‘imprese sociali’. Per acqui-
sire lo
status
di impresa sociale devono: 1) procedere
con l’iscrizione nel registro L della Camera di Com-
mercio ; 2) coinvolgere sia i membri e altri stakeholder
nella governance; e 3) adottare un modello di
rendicontazione sociale come stabilito dal legislatore.
A livello europeo l’esperienza italiana di obbligatorie-
tà di rendicontazione dell’impatto sociale secondo uno
schema prestabilito è il primo caso di obbligo di
rendicontazione sociale per le imprese sociali legal-
mente accreditate.
La legge è abbastanza nuova e, in maniera molto simile
alla legge belga non è supportata/accompagnata da al-
cun vantaggio fiscale.
Il modello di ‘accountability’
delle imprese sociali italiane
Prima del nuovo quadro normativo (Legge 118/2005 e
D. Lgs. n. 155/2006 ) che ha introdotto l’obbligatorie-
tà per le imprese sociali ‘legali’ italiane di redigere un
bilancio sociale sull’impatto sociale dell’organizzazio-
ne secondo uno schema definito dallo stesso legislato-
re, la legge italiana imponeva – ed impone tutt’oggi –
alle imprese sociali di elaborare il bilancio economico-
finanziario civilistico esattamente come per le società
di capitali (art. 2516 c.c.). Il bilancio annuale, così
definito, contiene i dati economici e finanziari rappre-
sentando informazione quantitative e qualitative. In
particolare, le informazioni quantitative sono rappre-
sentate dallo stato patrimoniale e del conto economico
(D.Lgs. n. 127/1991). In molti casi, qualora ricorrano i
presupposti, le imprese sociali si avvalgono della for-
ma abbreviata.
Allo stato attuale emerge dunque come le imprese so-
ciali ‘non accreditate/legali’ redigano ‘solo’ un bilancio
economico-finanziario che in qualche modo è lontano
1
Testo originale: “not-for-profit private organizations providing goods or services directly related to their explicit aim to benefit the community. They rely on a collective
dynamics involving various types of stakeholders in their governing bodies, they place a high value on their autonomy and they bear economic risks linked to their activity“.
2
Testo originale: ‘It also excludes third sector organizations that do not carry out entrepreneurial activities and mainly perform advocacy or re-distributive functions, public
institutions, and for profit enterprises engaged in social projects’.
3
In Europa le imprese sociali hanno assunto la forma di associazioni in quei paesi dove la definizione giuridica di associazione permette un grado di libertà nella vendita di beni
e servizi sul mercato aperto (come Francia e Belgio). In paesi come la Svezia, la Finlandia, la Spagna e l’Italia, dove le associazioni hanno connotazioni diverse, le imprese sociali
sono istituite con la forma giuridica di cooperative (Borzaga e Defourny, 2001; Galera e Kerlin, 2006; Borzaga, 2009).
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