Il Commercialista Veneto n.222 (NOV/DEC 2014) - page 3

NUMERO 222 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
PROFESSIONE
MARIO IADANZA
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Ordine di Treviso
La riforma dell'art. 2477 c.c.
Opera incompiuta?
C
ON LA CONVERSIONE IN LEGGE del D.L. 91/2014, perfezionatasi nello
scorso mese di agosto, si è completato un altro tassello della convulsa riforma
della normativa sui controlli nelle società di capitali: non l’ultimo, probabilmente
ed auspicabilmente, visto che il quadro normativo pare necessitare ancora di qualche
correzione. Si era partiti con laLegge di Stabilità per il 2012 (L. 183/2011, corretta in corsa
con il D.L. 212/2011), che aveva introdotto, seppure in modo poco limpido, la figura del
Sindaco Unico - a determinate condizioni dimensionali - sia nelle Spa che nelle Srl.
Era poi stata la volta del cosiddetto “Decreto Semplificazioni” (D.L. 5/2012), che
aveva sostanzialmente ripristinato il regime normativo storico per le Spa (rimuo-
vendo quindi da tale tipo societario l’ipotesi di organo monocratico) e previsto per
le Srl - in qualsiasi caso di obbligatorietà dell’istituzione dell’organo di controllo - la
possibilità di nomina di un sindaco unico o di un revisore legale.
Da ultimo, come detto, il “Decreto Competitività” (D.L. 91/2014) ha soppresso la
previsione di obbligatorietà dell’organo di controllo
nelle Srl con capitale sociale pari o superiore a quello
minimo stabilito per le Spa, con ciò riducendo la pla-
tea delle Srl tenute alla nomina dell’organo di control-
lo a quelle che redigono il bilancio consolidato, o con-
trollano una società tenuta alla revisione dei conti, o
superano per un biennio due dei tre noti parametri
dimensionali (ricavi / attivo / dipendenti) previsti
dall’art. 2435 bis del codice civile.
Restando per un attimo a quest’ultimo intervento
legislativo, non si può non osservare come l’ondata
di protesta sollevatasi da più parti a seguito dell’ema-
nazione del D.L. 91/2014 sia parsa fuori luogo, sve-
lando il più delle volte interessi di categoria che avreb-
bero forse meritato cause più nobili. E’ infatti diffi-
cilmente negabile che la
ratio
che aveva spinto il legi-
slatore codicistico a prevedere l’obbligo di istituzio-
ne del collegio sindacale nel caso in cui una Srl avesse
avuto un capitale sociale pari o superiore a quello minimo di una Spa sia in gran
parte venuta meno con la riforma del diritto societario del 2003, la quale ha sostan-
zialmente sancito la fine della precedente equivalenza tra i due tipi societari. Non è
questa la sede per addentrarsi nelle profonde diversità che oggi rendono impropo-
nibile l’adozione - a parità di condizioni - della forma di Srl in luogo di quella di Spa,
ma pare evidente che dopo la citata riforma non aveva più senso preoccuparsi di
reprimere una eventuale “fuga” delle Spa verso il modello della Srl per il solo
intento di aggirare l’obbligatorierà della nomina dell’organo di controllo: ma allora,
venuta meno tale esigenza, è intuitivo come risulti ora poco rilevante - in sé e per sé
- il
driver
del mero capitale sociale (caposaldo ormai quasi scomparso dagli elemen-
ti fondanti della Srl, se solo si pensa alla odierna possibilità di costituirne una con
1 euro) al fine di stabilire l’obbligatorietà o meno dell’istituzione di un organo di
controllo. Molto più logico appare quindi legare l’innesco di tale obbligatorietà al
superamento di determinati parametri aziendali (quali sono la dimensione dei rica-
vi, dell’attivo o del personale impiegato), prescindendo dalla dotazione di capitale
sociale (essendo, anzi, addirittura sostenibile che quanto più elevato risulta il capi-
tale sociale tanto inferiore è il rischio portato dalla Srl). Non vi sono dunque delle
argomentazioni sufficientemente valide per biasimare l’eliminazione dell’organo di
controllo dalle Srl di piccole dimensioni dotate di capitale sociale significativo: sono
altre, a ben vedere, le storture dell’assetto normativo venutosi a creare a seguito dei
disordinati interventi sopra ricordati, che forse avrebbero meritato un clamore
almeno pari a quello che è stato riservato alla novella del D.L. 91/2014.
Il punto focale dell’assetto dei controlli riguardanti le Srl resta infatti caratterizzato
dall’infelice passaggio del nuovo art. 2477, in cui si prevede l’obbligatorietà - ormai
solo nelle tre situazioni sopra ricordate (bilancio consolidato, controllo di società
soggetta a revisione, superamento di due dei tre parametri dimensionali) - della
nomina dell’organo di controllo “
o
” del revisore.
Sulla portata di tale “
o
” si è molto dibattuto e sono note le posizioni assunte dai
Collegi Notarili (a livello locale - prima di Milano, poi di Roma e infine del Comi-
tato Triveneto - nonchè del Consiglio Nazionale), ma anche da Assonime, Assirevi
e CNDCEC. La disputa è tra chi, per una via o per l’altra, ravvisa la necessità
sistematica della presenza sempre e comunque di un sindaco che svolga - oltre alla
revisione legale - i controlli di legalità, e chi invece si attiene alla portata letterale
della norma e ritiene ammissibile la nomina di un solo revisore, con conseguente
assenza di un organo che svolga le funzioni di presidio del rispetto della legalità
(funzioni tipicamente demandate al collegio sindacale). A rafforzare tale seconda
tesi è giunto il Ministro della Giustizia, che in un recente
question time
ha di fatto
dato via libera alla interpretazione letterale della norma (pur senza prendere una
posizione esplicita, che non gli compete).
1
Componente della Commissione di Studio di Diritto Civile e Societario dell’ODCEC di
Treviso; coordinatore del Tavolo di Confronto Permanente con il Registro Imprese di Treviso
Nel frattempo, la prassi si è fatta strada e risultano ormai nominati ed istituiti
revisori unici in numerose Srl; il fenomeno, come era facilmente prevedibile, è in
costante aumento: del resto, non è mistero per alcuno che la volontà ultima della
riforma normativa del 2012 fosse proprio quella di favorire la diffusione nelle Srl di
un modello di
audit
basato sull’esclusiva presenza di un revisore legale (considerato
una presenza meno invasiva e soprattutto meno dispendiosa per le società).
Ad oggi risultano nel Veneto iscritte quasi 4.000 Srl dotate di un organo di controllo
di qualsiasi tipo (sia monocratico che collegiale), ossia cadute nella “rete” dell’art.
2477 (da intendersi nel suo vecchio testo: la scrematura a seguito dell’ultima novel-
la legislativa darà infatti i propri frutti solo nei prossimi mesi, con la progressiva
eliminazione degli organi di controllo da tutte le Srl che li avevano istituiti in forza
del mero superamento della soglia di 120.000 euro del capitale sociale). Di queste,
si può stimare - non è possibile un’analisi precisa a causa dell’utilizzo non sempre
univoco del codice di deposito della carica - che quelle
dotate del mero revisore unico rappresentino una
fetta tra il 20 e il 25 per cento, vicina cioè alle 1.000
unità. Il dato è estremamente significativo, conside-
rato che la facoltà di nomina del revisore unico ha
appena due anni di vita e può non essere stata ancora
del tutto assimilata dagli operatori, potendovi quindi
essere ancora in carica numerosi collegi sindacali in
esaurimento di mandato triennale (i quali verranno
presumibilmente rimpiazzati da organi monocratici
in occasione delle prossime approvazioni dei bilanci
da chiudere al 31.12.2014). Il fenomeno del revisore
unico, pertanto, si sta diffondendo in misura rilevan-
te, come era facile prevedere e come voleva il Legisla-
tore, animato dall’intento di ridurre gli oneri per le
imprese. Il tutto, ci sia consentito, con buona pace
degli orientamenti notarili che si sono voluti opporre
a tale modalità di controllo: quando infatti una norma
si esprime incontrovertibilmente per l’alternatività di sindaci e revisori, per quanto ci
si sforzi di interpretarla secondo pur condivisibili principi sistematici, non si può
stravolgerne il dettato letterale.Avanti dunque coi revisori unici, almeno finchè - come
si premetteva sopra - non si tornerà a metter mano al codice civile.
Quel che ci si deve chiedere ora, di fronte al contesto così delineato, è se si stia
andando nella direzione giusta, contemperando cioè l’insopprimibile istanza di
contenimento dei costi per le imprese (in perduranza della crisi che le rende sempre
meno competitive) con la non meno rilevante esigenza di tutela dell’affidamento dei
terzi (che il sistema dei controlli dovrebbe garantire).
È giusto che una grande Srl, che sviluppa ricavi ed alimenta pretese creditorie di
terzi per decine di milioni di euro, sia sottoposta esclusivamente al controllo legale
dei conti da parte di un singolo revisore, alla stessa stregua di una piccola Srl, che
supera appena i limiti di ricavi ed attivo patrimoniale previsti dall’art. 2435 bis? Ha
senso abdicare per l’intero mondo delle Srl ai controlli di legalità? Sono queste le
linee guida che ci indica di seguire la UE? La risposta a questi interrogativi è con ogni
probabilità negativa.
Il fatto stesso che il dichiarato intento del D.L. 91/2014 - nella parte in cui ha più
che dimezzato il capitale minimo delle Spa - sia quello di rilanciare la diffusione di
tale forma societaria, che come noto rappresenta quella naturalmente votata alla
raccolta dei capitali di rischio, va a collidere frontalmente con la netta differenziazione
di peso dei controlli imposti alle Spa e alle Srl dalla riforma di due anni prima: per
qualche Spa guadagnata dal Sistema Paese a seguito dell’abbassamento del capitale
minimo richiesto, quante saranno le Srl sorte per sfuggire all’onere del collegio
sindacale ed adottare in sua vece il più economico revisore unico? Non possiamo
disporre ovviamente di dati in merito, ma è facile intuire come siano molte di più le
seconde delle prime, nonostante le differenze intrinseche tra i due tipi societari.
Quindi qualcosa che non va - e che rivela la presenza di incoerenze nei recenti
interventi legislativi - con ogni probabilità c’è.
Non resta che attendere i prossimi ritocchi del quadro normativo, auspicando che
vadano ad adeguarsi allo spirito delle direttive comunitarie - le quali paiono spinge-
re i Paesi membri verso l’applicazione di sistemi di
audit
alla pressochè totalità
delle società di capitali (escluse le cosiddette
microimprese
) - senza nel contempo
rinunciare alla peculiarità del controllo sindacale (sia esso collegiale o individuale)
per le realtà di maggiori dimensioni, controllo che ha dimostrato storicamente – e
mai come ora, nel contesto di crisi - di svolgere un servizio di tutela, oltre che delle
minoranze, della legalità e di prevenzione di dissesti.
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