Il Commercialista Veneto n.222 (NOV/DEC 2014) - page 10

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NUMERO 222 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
venne introdotto il “Glass-Steagall act”, norma
che prevedeva l’introduzione di una netta
sepa-
razione tra attività bancaria tradizionale e atti-
vità bancaria di investimento
. Le due attività non
potevano essere esercitate dallo stesso interme-
diario, avendo così la separazione tra banche
commerciali e banche di investimento. La
ratio
di tale provvedimento era quella di evitare che il
fallimento dell’intermediario comportasse altresì
il fallimento della banca tradizionale, impedendo
di fatto che l’economia reale fosse direttamente
esposta al pericolo di eventi negativi prettamente
finanziari. Per via della sua successiva abroga-
zione (avvenuta ad opera della presidenza Clinton
nel 1999, ma alimentata dal pensiero sviluppatosi
negli anni della presidenza Reagan), nella crisi
del 2007 è accaduto proprio questo: l’insolvenza
nel mercato dei mutui ha scatenato una crisi di
liquidità che si è trasmessa immediatamente al-
l’attività bancaria tradizionale, in quanto quest’ul-
tima è in stretta commistione all’attività di inve-
stimento, in questo caso immobiliare.
N
ELL’ALLUVIONENORMATIVAche
è seguita (ed è ancora in corso) alla
crisi scoppiata nel 2007-2008 non si è
ancora provveduto (anche se il dibat-
tito è in corso – vedi rapporto Liikanen) alla
reintroduzione di una norma che separi più net-
tamente l’attività bancaria propriamente detta
dall’attività “finanziaria”. Per ora si sta parlando
solo di segregazione delle attività dedicate all’una
o all’altra attività, ma ho l’impressione che non
stia funzionando granché e che si stiano prepa-
rando le premesse per nuove bolle speculative
che, prima o poi, sono destinate a scoppiare (vedi
volume dei derivati in costante crescita!).
La “Banca” è sì impresa, ma impresa particolare
(possiamo definirla impresa sociale?). Come ogni
impresa, anche la banca deve avere un capitale
che, come tutti i fattori della produzione, va reso
efficiente, ma è il “perché” che fa la differenza.
L’obiettivo non può e non deve essere il “massi-
mo valore per l’azionista” o la “massima
remunerazione del capitale”. Quella è la conse-
guenza o, meglio ancora, (se è vero che il capitale
è uno dei fattori della produzione dell’ “impresa-
banca”) un costo necessario di cui tener conto in
sede di pianificazione. E paradossalmente, come
costo, andrebbe minimizzato non massimizzato!
Il capitale di una banca, infatti, è uno strumento
di garanzia, funzionale all’esercizio del credito,
che, insieme alla conservazione del risparmio del
pubblico, è il vero “perché” di una banca.
Ed è proprio dal richiamo al “risparmio come bene
pubblico” che trae origine l’impostazione italiana
– antagonista all’approccio anglosassone che ha
portato ad una colpevole deregolamentazione –
che parte dalla premessa che il risparmio non pos-
sa essere lasciato alla indiscriminata gestione di
operatori planetari (spesso spregiudicati) impe-
gnati a realizzare profitti di breve termine e a van-
taggio dei soli azionisti (o del top management).
Infatti Bankitalia controlla con molta attenzione
e tenacia le banche italiane nell’esercizio del cre-
dito. Mentre non altrettanto attento è il controllo
sulle banche planetarie e su tutte le attività di
“investment banking” e su quelle di “shadow
banking”. Sono queste le attività che mettono a
rischio il risparmio e trasferiscono o sulla gente
comune o sul contribuente il rischio delle attività
speculative. E’ normale che nei recenti controlli
della BCE l’attivo percepito e valutato a rischio
sia soltanto il credito o addirittura un titolo di Sta-
to di un paese dell’Eurozona? Come è possibile
che grandi banche d’affari, con RWA (sostanzial-
mente crediti e titoli di Stato) che valgono solo il
20-30%dei loro immensi bilanci e con ampie posi-
zioni in derivati e titoli valutati con il metodo
mark
to model
siano meno rischiose rispetto a banche
commerciali con RWA che pesano il 50-60% (o
forse più) su bilanci infinitamente più piccoli?
M
A NON POSSIAMO LASCIARE
sempre e solo ai Regolatori il com-
pito di far funzionare le cose (e ma-
gari di pretendere di cambiare ilmon-
do con delle regole!). C’è la responsabilità sociale
di ogni cittadino che va costruita e alimentata. Come
ha dimostratoElinorOstrom(Nobel per l’economia
nel 2009), nel funzionamento reale di configurazioni
di regole è centrale l’azione delle Persone.
In questo quadro è necessario accrescere l’edu-
cazione finanziaria dei cittadini in modo che sia-
no in grado di fare scelte consapevoli. Ciascuno
di noi deve sapere che se ci propongono un’ini-
ziativa finanziaria con prospettive di rendimento
non coerenti con le medie di mercato, significa
che non ci stanno dicendo che stiamo imbarcan-
do un rischio (perché il maggior rendimento del
denaro è sempre il premio ad un maggior rischio).
Dobbiamo lavorare perché le persone siano
accorte e consapevoli, perché è naturale che cia-
scuno di noi, inconsciamente, possa finire in
questo meccanismo di “finanziarizzazione”.
Mi spiego meglio con un esempio.
Acquistiamo fondi comuni e poi la sera, guar-
dando la TV vediamo le proteste in Grecia e pen-
siamo, con solidale partecipazione, che siano sot-
to tiro della “Speculazione”. Poi, al mattino suc-
cessivo, guardiamo il buon andamento del nostro
titolo e siamo soddisfatti. Non ci sfiora, neppure
per un attimo, il sospetto che quell’andamento
positivo potrebbe essere anche conseguenza del
fatto che il nostro gestore ha investito, magari al
ribasso e allo scoperto, su titoli greci.
E’ indubbio che le banche hanno fatto disastri,
ma non le banche che hanno fatto il mestiere
ortodosso, bensì quelle che, con l’intento di
soddisfare l’insaziabile cupidigia umana e sfrut-
tando gli spazi lasciati vuoti da una legislazione
eccessivamente liberista, hanno dimenticato che
il risparmio è un bene comune.
È
innegabile che gli scandali che hanno
riempito i giornali sono reali così come
non c’è dubbio che ci sia stata una ca-
duta dell’intransigenza morale e auste-
rità di comportamenti che dovrebbero essere la
base del mestiere di ogni banchiere. Ma questo
non può autorizzare a fare di ogni erba un fascio
dimenticando che per ogni albero che cade e fa
fracasso, c’è la foresta che cresce in silenzio.
Questo non può giustificare il pensiero che delle
banche si possa fare a meno. E noi Commerciali-
sti lo sappiamo bene e dovremmo farci carico di
aiutare i Cittadini e gli imprenditori a compren-
derlo. In attesa degli interventi delle Istituzioni
che, comunque, senza le coerenti azioni dei Cit-
tadini, da sole nulla possono, ognuno di noi può
e deve assumersi la responsabilità di essere at-
tento e preparato e guardare bene le “etichette
di ciò che comperiamo” in banca, almeno tanto
quanto lo siamo al supermercato quando faccia-
mo la spesa o dal concessionario quando
comperiamo l’automobile.
Riflessioni sull'attività bancaria
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