Il Commercialista Veneto n.231 (MAG/GIU 2016) - page 2

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NUMERO 231 - MAGGIO / GIUGNO 2016
IL COMMERCIALISTA VENETO
LUCA CORRò
Ordine di Venezia
Ripartire da zero
SEGUE A PAGINA 3
G
lieventideltrascorsoinvernoedellaprimaveraesta-
te inducono qualche riflessione legata a quanto sta accadendo
al sistema bancario della nostra Regione con riferimento alle
vicende della Banca Popolare di Vicenza ed a Veneto Banca.
Il tema è complesso e, se non si vuole trattarlo da veloce notizia di giornale,
ha bisogno di essere ponderato e documentato per risultare utile; vediamo
allora di fare un percorso che, nel ricordare il passato, precisi i numeri della
tragedia ed, insieme, tenti delle conclusioni sia pur sintetiche e, meglio,
proponga degli auspici per porre le basi per ripartire nell’interesse del
sistema del Territorio.
Scorrendo i siti delle due banche, le storie riassunte in poche date non
fanno intuire il grande e lungo percorso di una Regione che nel volgere di
quasi un decennio (1866 e 1877) vede nascere la prima Banca Popolare del
Veneto, la Banca Popolare diVicenza, e la Banca Popolare di Montebelluna,
che, scavalcato il secolo XIX e superate le guerre mondiali, sono ancora
solo le piccole banche popolari di una regione agricola, povera, ignorante,
una terra di emigrazione.
Le vite parallele delle sorelle sono discrete e laboriose per decenni, per
oltre un secolo, ma con gli anni 80 del secolo scorso accade finalmente la
scossa della Storia. La Popolare di Montebelluna è già divenuta di Asolo
e Montebelluna e si prepara a diventare Veneto Banca nel 2000, mentre
quella Vicentina nel bel mezzo degli anni 80 inizia la sua irresistibile pro-
gressione. Nel frattempo, la Regione ed il mondo sono cambiati.
Negli anni 60 e primi 70, il Veneto è quello del dopo miracolo economico,
è quello dei contadini con la scarpa grossa e la testa fina, affamati e pieni
di desideri, che si danno da fare con quello che sanno, una cultura dei padri
e dei nonni, ed iniziano a fare quello che il tempo della campagna consente
loro per arrotondare il magro gruzzolo; allestiscono piccoli laboratori e si
mettono a fare i calzolai, i fabbri, i falegnami, i meccanici, i sarti e tessitori,
costruiscono le case per la popolazione che cresce, provano a fare i primi
negozi al dettaglio per la vendita delle cose per la casa o per gli alimenti
per una società civile che sta evolvendo verso qualcosa di nuovo, insieme al
Paese, ma forse con più impeto e capacità rispetto ad altre aree della nazione.
L’economia cresce forte in quell’Italia sobria e prudente con i pantaloni a
zampa larga e le scarpe che durano una vita, con poche auto e televisio-
ni, dove ci si trova di sera al bar od in osteria, uomini, donne e bambini
a guardare Rischiatutto in bianco e nero, tutti felici di quel poco che si
ha, che è meglio del niente che si aveva ma con tante aspettative per il
futuro. Con gli anni 70 quel micro tessuto industriale mostra l’inventiva
di un popolo che ha fame e vuole fare, che vuole per i figli un futuro da
dottore e grazie anche ad una stagione politica animata da uomini con una
visione, il tessuto di artigiani si fa fabbrica, fatta di
paroni
che comandano
e, come gli antichi veneziani, si buttano sulle rotte del mondo a vendere
il loro prodotto, un prodotto che spesso si chiama con i loro nomi ed è la
loro immagine, la loro vita.
Le banche crescono con loro e sono lì accanto a questa nuova categoria di
industriali di prima generazione, spesso ex agricoltori o figli di agricoltori,
tutti partiti senza soldi con le aziende sottocapitalizzate; ma le banche ci
sono, affidano, prestano, si fanno garantire dagli immobili, che valgono,
ed il sistema cresce, migliora la qualità della vita che cambia in meglio
con i consumi.
Però non basta, la cultura è poca e poco diffusa, salvo la grande capacità
BANCHE
tecnica, le conoscenze generali e del fare impresa rimangono ristrette,
la scuola manca o non è ancora avvertita come una priorità, mentre gli
schei
diventano una stella polare, insieme agli altri riferimenti che sono
la Chiesa ed il Partito.
Con gli anni 90 oramai il sistema è già entrato nel mito: il Nord-Est è una
grande invenzione e diventa subito un’icona nel mondo; le banche sempre
lì a crescere lautamente.
Ma accade che il sistema impone la crescita e, dal 2000, per le due nostre
banche è una girandola di acquisizioni, in Italia ed in ogni regione ed anche
all’estero. Le banche popolari si fanno
di sistema
a livello paese, scalano le
classifiche nazionali di raccolta e patrimonio, entrano nelle grandi, anche
se sono sostanzialmente fuori dal mercato. Il prezzo, il valore dell’azione,
infatti, se lo fanno da sole; ogni fine anno in sede di assemblea di appro-
vazione del bilancio, il perito, naturalmente indipendente e nominato dal
consiglio di amministrazione, alza l’asticella del valore dell’azione, e gli
azionisti si ritrovano ogni anno più ricchi, paghi, mentre le imprese conti-
nuano a chiedere soldi e le banche danno, danno; nel frattempo le scarpe
rotte sono dimenticate da decenni ed i figli sono diventati tutti dottori.
Poi la Storia cambia tutto ancora di nuovo e con il 2008 il mondo non è
davvero più quello di prima; le imprese, non tutte ma molte, si bloccano,
troppo piccole, destrutturate e sottocapitalizzate per competere nella nuo-
va era della competizione globale, l’economia vacilla, l’Europa che nel
frattempo è cresciuta ed ha imposto l’Euro, impone più strettamente nuove
regole; il conto si inizia a presentare inesorabilmente.
Cosa è successo allora quest’anno? Perché?
E’ successo che l’azione di Veneto Banca dal valore di 36 euro del 2014,
ha perso il suo valore collocandosi sotto l’euro, l’azione di Banca Popolare
di Vicenza dal valore di euro 62,5 del 2014 ha fatto la stessa fine; le due
banche, quelle che conoscevamo, sono, semplicemente,
fallite
; fortunata-
mente salvate da un fondo “amico”.
Qualche numero allora, a riprova: secondo i dati disponibili e salvo errori
per difetto, le attività ponderate per il rischio (rwa) che esprimono la
valutazione degli assets bancari in un’ottica di rischio sono schiacciate a
euro 26 miliardi per Vicenza e 24 miliardi per Veneto Banca, le perdite
dell’esercizio 2015 sono superiori al miliardo per entrambe le banche e
consumano un patrimonio con Common Equity Tier 1 - il primo indice di
misurazione del capitale sociale- che a stento superano il 6% quando le
aspettative e richieste della BCE non sono inferiori al 12%; una sostan-
ziale sottocapitalizzazione che i mancati ingressi in borsa, l’assenza di
prospettive di concentrazioni e le scarse dismissioni effettuate non hanno
alleviato aggravando una situazione di difficile liquidità con indici di
copertura molto critici. I modelli delle due banche, secondo gli analisti,
appaiono molto in ritardo sulle strategie adottate dalla concorrenza con una
macchina operativa (il personale) molto pesante con indicatori specifici
legati al cost/income ratio ben superiori al 60% del tutto inadeguate alle
scelte legate alle nuove teorie del multicanale, dei processi paperless, delle
piattaforme di business. Un quadro poi di crediti deteriorati pesante con
indici di copertura ampiamente inferiori ai valori medi nazionali già pesanti.
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