Il Commercialista Veneto n.228 (NOV/DIC 2015) - page 8

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NUMERO 227 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2015
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE DA PAGINA 7
Lo
status
di indipendenza è condizione necessaria ma non sufficiente alla
non configurabilità della S.O.
Più in dettaglio, l’indipendenza “giuridica” deve essere rapportata ai poteri
legalmente e contrattualmente riconosciuti all’impresa estera e, per l’effetto,
alle obbligazioni assunte dall’agente. Sul punto, il commentario OCSE, al
par. 38, precisa che un agente indipendente è responsabile verso il proprio
preponente per il raggiungimento di determinati risultati, ma non deve rendere
conto circa le modalità di svolgimento della propria attività
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. Ciò implica
l’assunto che un agente non può considerarsi indipendente se è
condizionato da istruzioni dettagliate o da un ampio controllo.
Allo stesso modo, un’ingerenza del preponente, in termini di obblighi di
informazione o di autorizzazione ad ispezioni, può fare presupporre la
dipendenza dell’agente, laddove vengano superati i normali obblighi di
informativa circa le vendite.
Va da sé che un rapporto di dipendenza sarebbe di per sé insito nei poteri
tra l’impresa estera – datore di lavoro - e il proprio lavoratore dipendente.
Per potere garantire l’indipendenza dell’intermediario è, inoltre, necessario
che questi sia indipendente dal punto di vista “economico”, assumendo
per ciò diretta rilevanza il soggetto su cui grava il rischio imprenditoriale.
Nell’economia di questo scenario, la previsione di una remunerazione
prefissata o la garanzia, da parte del preponente, della copertura delle
eventuali perdite sofferte dall’intermediario sono elementi che mal si
conciliano con l’indipendenza dell’agente. Più in generale, la condivisione
dei rischi d’impresa denota l’assenza di autonomia dell’agente.
Quanto al numero dei preponenti, va detto che il Commentario OCSE (par.
5, par. 38.6 Comm.) osserva che, in generale, maggiore è il numero dei
preponenti, maggiori sono le possibilità di sostenere l’indipendenza
economica dell’agente.
Prosegue il Commentario OCSE sostenendo che tale fattore, pur costituendo
un significativo indizio circa l’indipendenza economica dell’agente, da solo
sarebbe non determinante, dovendosi anche analizzare le caratteristiche
dell’attività svolta dall’agente e i conseguenti rischi assunti.
Circa il carattere ordinario dell’attività si vuole intendere che è necessario
– per la disamina della condizione - individuare le attività che rientrano nel
quadro normale di svolgimento dell’attività dell’agente. In sostanza, una
persona non costituisce S.O. dell’impresa per conto della quale svolge la sua
attività soltanto se essa opera nel quadro normale delle proprie attività, allorchè
svolge attività per l’impresa. Non è, comunque, chiaro se l’ambito dell’ordinaria
attività dell’intermediario vada valutato nella prospettiva (soggettiva) delle
caratteristiche della propria attività, ovvero in quella (oggettiva) dell’attività
normalmente svolta dagli intermediari appartenenti al medesimo settore
economico. Sul punto, il CommentarioOCSE sembrerebbe privilegiare – anche
se in maniera non netta – la prima soluzione.
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In ogni caso, eventuali atti compiuti al di fuori dell’attività ordinaria in
maniera occasionale e non abituale non dovrebbero integrare da soli
l’esistenza di una stabile organizzazione “personale”.
- L’agente indipendente
In analogia a quanto previsto dal Modello OCSE all’art. 6, si propone ora la
rilettura in senso “positivo” del comma 7 dell’art. 162 del TUIR segnalando
che è esclusa la configurabilità di una stabile organizzazione “personale”
qualora:
* l’intermediario sia indipendente;
* agisca nell’ambito della sua normale attività.
Si tratta di due condizioni che debbono realizzarsi congiuntamente.
Con riferimento al requisito dell’indipendenza può aggiungersi qualche
considerazione ulteriore riguardo il rischio, riassumendo quanto fin qui
esposto circa lo
status
indipendente affermando che esso è di norma assente
in presenza di circostanze quali:
- un controllo invasivo esercitato da parte della committente;
- l’assenza di rischio imprenditoriale a carico dell’agente;
- un incisivo obbligo di informativa a favore della committente;
- il carattere monomandatario dell’agente.
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Il distributore quale stabile organizzazione personale
E facciamo ora un accenno alle strutture commerciali tipiche delle imprese
di grandi dimensioni collocate su mercati di diversi Paesi. Nei gruppi
multinazionali è prassi stipulare contratti di distribuzione con entità
commerciali estere, in base ai quali il distributore si obbliga a rivendere su
un dato territorio i prodotti forniti dalla prima.
Il contratto di distribuzione regola di norma le condizioni quali: il prezzo di
acquisto dei prodotti, l’esclusiva a favore del distributore, i quantitativi
minimi, l’obbligo di redigere previsioni periodiche di vendita, l’obbligo di
reporting, ecc.
La relazione che di solito si instaura fra le parti è quella propria di due
soggetti indipendenti, ciascuno centro autonomo di imputazione del rischio
economico imprenditoriale connesso all’attività svolta.
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In casi particolari tuttavia il distributore può configurare una stabile
organizzazione personale, in un dato Stato, di un soggetto residente in un
altro Paese. Ci si riferisce in particolar modo al caso del “
limited function /
risk distributor
”, assimilato, da un punto di vista funzionale, ad un
commissionario, ad eccezione della circostanza ch’essomantiene la titolarità
dei beni trasferiti.
Risulta tuttavia funzionale per le finalità del presente lavoro analizzare più
da vicino la struttura “a commissionario”, definita - da un commentatore
statunitense - una creatura del
civil law
europeo. Un commissionario è un
soggetto che vende in nome proprio, ma per conto del proprio preponente,
non essendo tenuto a rivelare al cliente finale il proprio committente. Un
commissionario svolge le seguenti attività connesse alla vendita:
identificazione di potenziali clienti, introduzione sul mercato di nuovi
prodotti, mantenimento dei rapporti con la clientela e prestazione di un
(seppur limitato) servizio di assistenza. Le vendite dei beni sono definite
con i clienti sulla base delle indicazioni fornite dal committente. La
remunerazione del commissionario è solitamente basata su una commissione
calcolata sulle vendite nette.
Come emerge anche dalla giurisprudenza internazionale, la dinamica
evolutiva dei Gruppi multinazionali di imprese è orientata verso un processo
di alleggerimento progressivo delle strutture poste “a valle” della catena
commerciale, nel caso specifico di entità collocate su mercati esteri rispetto
allo stato di residenza alla casa madre. Tale processo è guidato dalla ricerca
di ottimizzazione fiscale, nel tentativo di minimizzare la tassazione nel Paese
di realizzazione delle vendite (entità distributrice finale) e dunque Paese
della fonte per far convogliare la maggior parte di materia imponibile nel
Paese di residenza della madre, che di norma avrà avuto cura di scegliere fra
quelli a più “interessante” fiscalità.
Di conseguenza, le norme fin qui delineate sono state spesso aggirate dalle
impresemultinazionali proprio facendo ricorso alla figura del commissionario.
Attraverso una tale struttura un’impresa è in grado di vendere sui mercati
esteri senza tecnicamente disporre di una stabile organizzazione a cui tali
vendite possano essere fiscalmente attribuite e senza essere tassata nel
Paese estero per le vendite effettuate. Dal momento che la persona che
conclude i contratti di vendita dei beni (il commissionario, appunto) non ne
è il proprietario non può essere tassato sulla vendita ma solo sulla
remunerazione che ne riceve (di solito una provvigione).
Un’impresa
multinazionale che adotta la struttura a commissionario riesce a
disapplicare l’art. 5 (5) delModello di convenzioneOCSE sulla base della
circostanza che il contratto concluso dalla persona che agisce come
commissionario non vincola giuridicamente la committente estera
. In
effetti l’attuale art. 5 (5) esplicitamente fa riferimento alla formale conclusione
del contratto a nome dell’impresa estera.
Per tale ragione la struttura a commissionario è stata la maggior
preoccupazione delleAmministrazioni Finanziarie di molti Paesi, ancor più
nei Paesi di
civil law
, ove le Supreme Corti hanno in questi ultimi anni
rigettato le motivazioni delle rispettive AF (Zimmer, 2010 Francia e Dell,
2011 Norvegia). Di qui l’esigenza di acquisire nuovi strumenti normativi
per circoscrivere le fattispecie, per afferrarne in sostanza l’inafferrabile
essenza, prevenire artificiosi occultamenti di stabili organizzazioni e
combattere le pratiche elusive sopra delineate.
A tale compito si è dedicato l’OCSE che, nel corso degli ultimi anni, ha
affrontato un ambizioso progetto di contrasto all’evasione fiscale
internazionale, di cui ci rende conto con il rapporto
Action Plan on Base
Erosion and Profit Shifting
(BEPS), tutt’ora in fase di perfezionamento.
I due fenomeni (erosione delle basi imponibili (Base Erosion) e
concentrazione di immensi capitali (Profit Shifting) in Stati paradisiaci)
rischiano, in effetti, di mettere in crisi la stabilità del sistema tributario,
l’equità e la stessa competizione leale tra imprese.
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Comm. OCSE, par. 38: Il fatto che una persona sia indipendente dall’impresa rappresentata dipende dall’estensione degli obblighi che questa persona ha con l’impresa. Quando
le attività commerciali che la persona compie per l’impresa sono soggette ad istruzioni dettagliate o ad un controllo generale, detta persona non può considerarsi indipendente.
Un altro importante criterio consiste nel determinare se il rischio imprenditoriale scaturisce dalla persona o dall’impresa rappresentata.
15
Sigfried Mayr e Benedetto Santacroce,
La stabile organizzazione delle imprese industriali e commerciali
, Manuale IPSOA, op.cit.
16
Piergiorgio Valente e Luigi Vinciguerra,
La stabile organizzazione occulta
, IPSOA 2013, pag. 153
17
Si veda il testo
Stabile Organizzazione Occulta
di P.Valente e L. Vinciguerra – ed. IPSOA, Cap. IV S.O. occulta e Distributore, pag. 145.
L'essenza della stabile organizzazione "personale"
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