Il Commercialista Veneto n.228 (NOV/DIC 2015) - page 10

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NUMERO 228 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2015
IL COMMERCIALISTA VENETO
provenienza del denaro, dei beni e delle utilità
movimentate, il trasferimento degli stessi quale
inscindibile conseguenza della procedura di
collaborazione volontaria non appare idoneo a
integrare il delitto di autoriciclaggio: dovrà infatti
evidenziarsi la carenza di un elemento costitutivo della
fattispecie, ovvero l’idoneità della condotta ad
“ostacolare concretamente l’identificazione della
provenienza delittuosa”.
Tale elemento costituisce l’autentico nucleo di disvalore
del delitto di autoriciclaggio
4
, in quanto la sostituzione,
il trasferimento e l’impiego delle disponibilità illecite
sono penalmente rilevanti solo se costituiscono un
ostacolo concreto all’identificazione della provenienza
delittuosa dei beni. Attraverso la connotazione in
termini di modalità di concreto ostacolo,
l’individuazione delle condotte punibili viene
circoscritta a quei comportamenti che, seppur non
necessariamente artificiosi in sé (e dunque non
riportabili all’archetipo degli artifici e raggiri),
esprimano un contenuto decettivo, capace cioè di
rendere obiettivamente difficoltosa la identificazione
della provenienza delittuosa del bene.
Si noti peraltro che il reato di autoriciclaggio si discosta
dalle previgenti ipotesi di cui agli artt. 648 bis e 648 ter
c.p. per l’introduzione dell’avverbio «concretamente»
riferito all’ostacolo all’identificazione della origine
delittuosa dei beni. Sarà in particolare interessante
verificare se e come la giurisprudenza saprà valorizzare
tale locuzione quale criterionormativodistintivo, parendo
indubbio che, nel delineare la nuova fattispecie di cui
all’art. 648 ter.1, il legislatore abbia sentito l’esigenza di
dare un connotato di disvalore ancor più pregnante alla
condotta di autoriciclaggio, assegnando una carica di
rilevante offensività alle modalità esecutive attraverso le
quali essa si estrinseca, e imponendo all’interprete
un’esegesi rigorosa del termine
ostacolare
, volta a
riconoscergli
la pienezza del suo valore semantico
5
.
Le suddette riflessioni appaiono costituire sostegno
all’inconfigurabilità della fattispecie in esame nei casi
in cui la relazione accompagnatoria alla richiesta di
accesso alla
voluntary disclosure
contenga una
completa e analitica esposizione della origine criminosa
dei proventi, condotta ontologicamente antitetica a
quei comportamenti autenticamente frappositivi
richiesti dal legislatore per la integrazione del delitto.
In definitiva, pare potersi concludere che, anche qualora
i beni siano il prezzo o il profitto di un delitto doloso
per cui non è esclusa la punibilità ex art. 5 quinquies
,
il
contribuente non potrà essere chiamato a rispondere
di autoriciclaggio, poiché il fatto stesso che egli espliciti
l’origine delle somme oggetto di riemersione - pur anche
ove manchi un’espressa qualificazione delittuosa della
condotta ma siano indicati compiutamente tutti i
passaggi fattuali ricostruttivi - risulta incompatibile
con la sussistenza di qualsiasi comportamento che
possa avere modalità tali da dissimulare o ostacolare
l’identificazione della loro genesi criminosa.
Considerazioni opposte devono invece trarsi per il
caso in cui il collaborante nasconda o mascheri la
provenienza delittuosa dei beni oggetto di
voluntary
disclosure
, ad esempio sottacendo nella relazione
passaggi ricostruttivi rilevanti ai fini della procedura
di voluntary: si assisterebbe infatti in tal caso a un
utilizzo strumentale della procedura, in ipotesi idoneo
a configurare, unitamente alla relativa movimentazione
e trasferimento del denaro, ipotesi di autoriciclaggio
6
.
Il suddetto reato, peraltro, nel caso si attui anche
attraverso l’esposizione di dati mendaci, si porrebbe
in rapporto di concorso formale con la specifica
incriminazione, prevista dalla legge 186/2014, di
“esibizione di atti falsi e comunicazioni di dati non
rispondenti al vero”.
La completezza e la genuinità della documentazione e
delle informazioni che l’istante è obbligato a fornire
all’Amministrazione Finanziaria e che,
conseguentemente, devono superare il vaglio di
intermediari e professionisti, vengono infatti assicurate
dalla previsione di una sanzione penale
ad hoc
, contenuta
nel nuovo art. 5 septies, comma 1, del D.L. n. 167/90,
che punisce il collaborante volontario che nell’ambito
della procedura di pacificazione fiscale, alternativamente,
esibisca o trasmetta atti o documenti falsi, in tutto o in
parte, ovvero fornisca dati e notizie non rispondenti al
vero. Rientrano nell’ambito di operatività della
disposizione in rassegna gli atti e i documenti allegati
all’istanza di cui all’art. 5 quater, cioè l’atto che dà
impulso alla procedura di collaborazione volontaria,
nonché gli atti e i documenti prodotti nelle more della
medesima procedura, tanto nell’ipotesi di falsità
ideologica quanto di falsità materiale.
Parte della dottrina ha evidenziato come i
comportamenti contemplati dalla norma evocherebbero
forme esclusivamente commissive di realizzazione della
condotta; con la conseguenza che resterebbero escluse
dalla disposizione le condotte che, ancorché idonee ad
alterare l’esito della procedura, si concretizzino in
contegni omissivi
7
.
Ne consegue che, abbracciando detta impostazione, la
mera omissione di informazioni potrebbe non condurre
all’integrazione del reato di cui all’art. 5 septies;
tuttavia, laddove la stessa risulti espressione della
sostanziale infedeltà e incompletezza dei dati
rappresentati dal contribuente, nonché si traduca
nell’occultamento dell’origine delittuosa dei proventi,
l’esecuzione di operazioni di trasferimento o
investimento correlate a
voluntary disclosure
potrà
comunque costituire una condotta di autoriciclaggio,
punibile ogniqualvolta il delitto presupposto sia
diverso da quelli “coperti” dalla legge 186/2014.
Qualora al contrario l’ostacolo all’accertamento sia
supportato dall’esibizione di documenti o notizie false,
risulterà configurabile un concorso formale tra i
suddetti reati
8
.
3.Autoriciclaggio e
voluntary disclosure
: il rapporto
con la fattispecie di intestazione fittizia di beni
Da ultimo, l’analisi dell’interazione tra
voluntary
disclosur
e e autoriciclaggio rende opportune alcune
precisazioni in merito a un’altra fattispecie, ovvero il
delitto di fittizia intestazione di beni di cui all’art. 12
quinquies D.L. 306/1992, conv. L. 356/1992, ai sensi del
quale “salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o
disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere
le misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando,
ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di
cui agli articoli 648, 648 bis e 648 ter del codice penale, è
punito con la reclusione da due a sei anni”.
La terza finalità della condotta contemplata dalla norma,
cioè l’intestazione fittizia compiuta allo scopo di
consentire ad altri la commissione dei delitti di cui agli
artt. 648, 648 bis e ter c.p., fa sorgere questioni circa i
rapporti tra questa ipotesi delittuosa – non rientrante
tra i delitti per cui opera la causa di non punibilità di
cui alla L. 186/2014 – ed il reato di autoriciclaggio, per
il quale la
voluntary disclosure
garantisce l’impunità
qualora oggetto materiale del reato siano i proventi dei
delitti tributari coperti dalla collaborazione stessa.
Nella correlazione fra queste due fattispecie è
evidenziabile che la condotta di “attribuzione fittizia di
titolarità” punita alla stregua dell’art. 12 quinquies appare
una
species
(contraddistinta dall’artificiosità
dell’intestazione) della più generale condotta ex art. 648
ter.1 di “trasferimento” di beni con modalità tali da
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa.
In realtà l’art. 12 quinquies, ove la condotta di
intestazione fittizia fosse stata su beni derivanti da
precedenti reati e posta in essere dall’autore del delitto
presupposto (o suoi concorrenti), rappresentava già –
nell’applicazione giurisprudenziale pratica– una figura
di autoriciclaggio
ante-litteram
. Giova infatti
evidenziare come la Corte di Cassazione a Sezioni
Unite
9
, già prima dell’entrata in vigore della nuova
fattispecie di cui all’art. 648 ter.1, avesse chiarito che
i fatti di autoriciclaggio e autoreimpiego fossero punibili,
sussistendone i presupposti, ai sensi dell’art. 12
quinquies D.L. 306/1992.
Dopo l’introduzione della nuova fattispecie ex art.
648 ter.1, il tema più generale che si pone dunque è
quello della perdurante applicabilità, alle condotte di
intestazione fittizia di beni poste in essere dopo il
gennaio 2015 dall’autore del delitto principale da cui
essi derivano, anche dell’ipotesi di cui all’art. 12
quinquies D.L. 306/1992: il tema appare risolvibile
alla luce della espressa clausola di riserva che apre
l’art. 12 quinquies a favore di più gravi reati, nel cui
novero entra ora anche l’autoriciclaggio ex art. 648 ter.
1, che dunque prevale. La questione circa l’attuale
operatività dell’art. 12 quinquies apre altresì ulteriori
tematiche interpretative per il tema che qui interessa,
ovvero l’atteggiarsi delle fattispecie delittuose in
relazione a movimentazioni e trasferimenti connessi
alla procedura di collaborazione volontaria.
Dubbi ermeneutici potrebbero configurarsi per l’ipotesi in
cuil’oggettomaterialedellacondottadiintestazionefittizia
sia costituito dai proventi di un delitto tributario, coperto
dalla causa di non punibilità prevista dalla L. 186/2014.
Come prima illustrato, analoga sorte di esclusione della
punibilitàspetteràancheall’ipotesidiautoriciclaggiorelativa
ai flussi generati da tale reato tributario.
A questa stregua parrebbe risultare del tutto impropria
una “riemergente” applicabilità – per quel medesimo
fatto coperto dalla clausola di non punibilità in veste
di art. 648 ter.1 c.p.– della fattispecie di cui all’art. 12
quinquies.
Supporto interpretativo a tale conclusione pare
individuarsi anche nella richiamata clausola di riserva
che apre l’art. 12 quinquies: il “fatto” risulterebbe
infatti comunque costituire il più grave reato di cui
all’art. 648 ter.1, e la sua mancata punibilità a seguito
della corretta procedura di
voluntary disclosure
non
pare intaccare il rapporto assorbente fra norme così
regolato, rendendo –nei casi di sovrapposizione–
impraticabile anche solo in via residuale l’intestazione
fittizia ex art. 12 quinquies D.L. 306/1992.
4
A. D'Avirro, M. Giglioli,
Autoriciclaggio e reati tributari
, in Dir. pen. proc., 2015, II, p. 140.
5
Cfr. sul punto F. Mucciarelli,
Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio
, in
Diritto penale contemporaneo, 2015, 10.
6
Nella medesima direzione sembra essersi orientata anche la giurisprudenza formatasi in seguito all’entrata in vigore del c.d. scudo fiscale, che ha affrontato il tema tra
quest’ultimo e il reato di riciclaggio; la Suprema Corte ha infatti chiarito che proprio il ricorso a tale procedimento ben potesse integrare una forma di riciclaggio, assumendo
rilevanza penale le operazioni di smobilizzo dai depositi esteri – ancorché avvenute con modalità tracciabili, di per sé apparentemente legittime e non occulte – in quanto
accompagnate dalla volontà di ostacolare l’accertamento della provenienza delittuosa delle disponibilità finanziarie (Cfr. Cass. Pen., sez. II. n. 35763/2010). Un analogo
parallelismo non può invece essere ricercato per dirimere la questione sopra descritta, circa la possibilità di attribuire rilievo decisivo, ai fini dell’esclusione della rilevanza penale,
al contenuto della relazione di accompagnamento alla richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria: la disciplina dello scudo fiscale infatti non prevedeva
l’obbligo per il contribuente di dimostrare l’origine delle disponibilità dichiarate in sede di emersione.
7
I. Bricchetti,
L’emersione del nero avviene solamente pagando il dovuto
, in Guida al Diritto, 2015, 4, 40.
8
Si segnala peraltro come non può nemmeno essere a priori esclusa la configurabilità di un ulteriore delitto, e cioè della truffa ai danni dello Stato. Come chiarito infatti dalla
giurisprudenza in relazione allo scudo fiscale, “la previsione del reato di false attestazioni nella dichiarazione finalizzata al rimpatrio del denaro delle attività detenute, alla data
indicata dalla legge, fuori dal territorio dello Stato, non esclude l’applicazione della norma incriminatrice della truffa aggravata in danno dello Stato, ove la condotta si arricchisca
in concreto di artifici diretti ad ottenere i consistenti vantaggi fiscali e le altre agevolazioni previste dalla legge, con l’induzione in errore dell’Amministrazione Finanziaria circa
il momento temporale in cui le somme di denaro detenute all’estero sono pervenute nella disponibilità dell’autore del fatto e circa la provenienza di dette somme“. Cfr. Cass.
pen., sez. II, 19.06.213, n. 34986.
9
Cass. Sez. Un., 27 febbraio 2014, n. 25191.
Autoriciclaggio e
voluntary disclosure
SEGUE DA PAGINA 9
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