Il Commercialista Veneto n.227 (SET/OTT2015) - page 7

NUMERO 227 - SETTEMBRE / OTTOBRE 2015
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IL COMMERCIALISTA VENETO
I
N ITALIA, COME DEL RESTO in molte altre
parti del mondo, la situazione lavorativa è sempre
più complessa. Non parliamo soltanto della ormai
persistente crisi economica, della paura di perdere
il lavoro - per chi un’occupazione ancora ce l’ha - o
della disoccupazione ai massimi storici (in particolare
per quanto riguarda i giovani e la componente
femminile
1
).
Poniamo invece l’attenzione in questa sede al rapporto
tra vita lavorativa e vita personale che tende a diventare
sempre più conflittuale.
La difficoltà di gestire insieme vita professionale e vita
privata è sempre più una minaccia per il benessere dei
lavoratori. Questo vale in particolare per i lavoratori
dipendenti ma anche per i liberi professionisti (e, perché
no, per gli imprenditori) i quali, se pur con unamaggiore
autonomia organizzativa, sono spesso vittime di
“situazioni non concilianti”
Ciò comporta ovviamente delle ripercussioni non
soltanto sullo stesso lavoratore e sulla propria famiglia
ma anche per l’azienda, o il cliente, per cui si lavora.
Un lavoratore soddisfatto e sereno sul posto di lavoro
riesce a svolgere la propria attività in maniera più
produttiva, andando incontro così al meglio delle
esigenze lavorative, senza ripercussioni negative sul
proprio benessere e sul rapporto con la propria famiglia.
Valorizzando e prestando particolare attenzione al
capitale umano in azienda aumentano di conseguenza la
produttività, la responsabilizzazione delle risorse, la
fidelizzazione dei dipendenti. Diminuiscono per contro
il tasso di assenteismo, il
turnover
e i conseguenti costi
derivanti dalla sostituzione dei dipendenti.
Al fine di portare l’azienda a svolgere un percorso che
la aiuti a rendere più facilmente gestibile la conciliazione
vita-lavoro esistono in Italia alcune “certificazioni
familiari aziendali”.
Si tratta di veri e propri processi di Audit che mirano
a certificare aziende virtuose in termini di attenzione
al benessere delle risorse umane.
A partire dal
Family Friendly Index
americano,
passando poi per il marchio
Berufundfamilie
tedesco,
oggi troviamo in Italia due marchi che rappresentano i
principali processi di certificazione familiare.
La Provincia Autonoma di Trento ha scelto di
sviluppare il percorso
Family Audit
2
.
Dal 2008 ad oggi vi hanno aderito 81 organizzazioni su
propria richiesta di adesione ordinaria, mentre ulteriori
43 aziende italiane sono state certificate a seguito della
partecipazione ad una sperimentazione nazionale avviata
mediante un avviso pubblico del 2012, in collaborazione
con la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Attualmente il numero di dipendenti coinvolti in Italia è
di circa 41.000 unità.Altre 52 organizzazioni sul territorio
italianohanno appena iniziato il percorsodi certificazione,
avendo aderito aduna seconda sperimentazione nazionale
mediante avviso pubblicato nel maggio 2015.
Per capire l’importanza che un tale strumento sta
dimostrando di poter avere sull’organizzazione
aziendale, sulla vita delle persone che lavorano e, più
in generale, sulla società tutta si evidenzia che il
Family
Audit
è stato presentato nel marzo 2015, come unico
progetto italiano, durante la 59° Sessione della
Commissione ONU sullo Stato delle Donne, svoltasi
a NewYork presso le Nazioni Unite. La Commissione
in questione è la principale sede politica, a livello
mondiale, in cui i Paesi membri valutano i progressi,
identificano le sfide e formulano concrete politiche
CRISTINACALZAVARA
Ordine di Venezia
Le certificazioni aziendali-familiari
Strumenti manageriali e di consulenza per certificare
le aziende attente al benessere della persona
LAVORO
per promuovere l’emancipazione femminile e
l’uguaglianza di genere
3
.
La Regione Veneto ha invece deciso di intraprendere
un percorso diverso, ma avente la stessa finalità:
valorizzare aziende virtuose che pongono particolare
attenzione al proprio capitale umano.
Il Veneto nel 2011 ha acquisito la licenza d’uso del
marchio europeo
Audit FamigliaeLavoro
4
da parte
della “Berufundfamilie GmbH” di Francoforte,
sperimentandolo dapprima in alcune organizzazioni
del trevigiano e poi intervenendo attraverso bandi
regionali che finanziano l’adozione di questo percorso
in aziende ed enti presenti in tutte le province venete
5
.
Da circa 18 aziende attualmente certificate si prevede
di arrivare a breve, grazie ai finanziamenti concessi a
fronte di progetti di Audit presentati da molte
organizzazioni venete, almeno a 70 aziende certificate.
Questi processi rappresentano uno strumento
manageriale messo a disposizione delle organizzazioni
per elaborare piani che rientrano nel concetto di
welfare
aziendale
, termine di recente entrato in modo
prepotente nel linguaggio economico italiano
.
Inoltre possiamo certamente parlare di azioni che
rientrano in un più ampio piano di Responsabilità
Sociale d’Impresa.
Ricordiamo che ai sensi della Direttiva Europea 2014/
95/UE a partire dal 1° gennaio 2017 le imprese di
interesse pubblico di grandi dimensioni, con un numero
di dipendenti occupati in media durante l’esercizio
pari a 500, avranno l’obbligo di elaborare, all’interno
delle relazione sulla gestione allegata al bilancio, una
dichiarazione di carattere non finanziario contenente
almeno
” le “
informazioni ambientali, sociali, attinenti
al personale..…”
che riporti la “
descrizione delle
politiche applicate dall’impresa in merito ai predetti
aspetti…”.
Si può pertanto immaginare che
l’applicazione di questi strumenti, anche in aziende di
minori dimensioni, possa diventare nel tempo una realtà
consolidata che risponderà sempre più alle esigenze di
rendicontazione a livello europeo.
Si tratta di processi che possono essere intrapresi da
qualsiasi tipo di organizzazione privata o pubblica, di
piccole, medie o grandi dimensioni, profit o no profit,
ove ci sia almeno un dipendente (anche se gli stessi
concetti si possono indubbiamente applicare a società
con soli soci o a professionisti e collaboratori esterni
non subordinati). Entrambi gli strumenti di cui si tratta
si svolgono attraverso un ben definito programma di
attività - diverso tra i due modelli nei tempi e nelle fasi
previste, ma tecnicamente molto simile.
Il percorso prevede la partecipazione ad alcuni
workshop
da parte di un gruppo di lavoro costituito
internamente all’azienda il quale, tramite il supporto di un
Consulente certificato iscritto in appositi registri, dovrà
arrivare nell’arco di qualche mese ad elaborare un piano
d’azione che l’organizzazione si impegnerà ad
intraprendere, apartiredalla consegnadel certificato, per la
durata di un triennio. E’ importante notare che tale
certificatopuòesserespesofindalmomentodellaconsegna,
ovvero durante il periodo in cui l’azienda si prodiga per
mettere in pratica le azioni contenute nel piano.
Questo marchio diventa perciò già spendibile sul
mercato anche come elemento di visibilità positiva
all’esterno, oltre che di impegno nei confronti della
propria popolazione lavorativa.
Ma quali sono gli ambiti da trattare, da parte del gruppo
di lavoro insieme al Consulente, per arrivare ad un
piano d’azione da sottoporre al Consiglio preposto,
per ottenerne l’approvazione ed il conseguente
ottenimento della certificazione? Si tratta di indagare
diversi temi legati ovviamente al mondo del lavoro e
dell’organizzazione aziendale: orario di lavoro, luogo
di lavoro, processi aziendali, competenza manageriale,
sviluppo del personale, retribuzione e
benefits
,
information technology,
ecc
.
Per ognuno di questi temi si andrà a fare un primo
punto della situazione per capire da quale livello parte
l’azienda (ci sono già azioni positive regolamentate?
Esistono già interventi volti a favorire la conciliazione
vita-lavoro ma non sono formalizzati? Ci sono reparti
che usufruiscono di determinate opportunità ed altri
no? Perché? In qualemisura può essere cambiata questa
situazione?). In sostanza da un’analisi della situazione
esistente si passano a trattare le eventuali azioni
integrative/migliorative da apportare per arrivare a
raggiungere gli obiettivi che, sempre tenendo conto
delle esigenze produttive ed economiche
dell’organizzazione interessata, possono migliorare la
situazione lavorativa in azienda.
E’ evidente perciò che il Consulente, appositamente
formato, servirà proprio da “moderatore” tra le esigenze
aziendali e quelle dei lavoratori, evidenziando aspetti
positivi e negativi dell’una e dell’altra azione,
illustrando interventi già realizzati in realtà simili e
facendo da
trade union
tra l’organizzazione e l’ufficio
addetto alla gestione delle rispettive certificazioni.
Il processo Trentino si caratterizza per la presenza di
un’altra importante figura, rappresentata dal
Valutatore, anch’esso iscritto nello specifico registro,
che interviene al fine di verificare la fattibilità del piano
elaborato dall’azienda prima dell’ottenimento della
certificazione. Una volta l’anno visita inoltre l’azienda
per monitorare l’avanzamento del piano ed apportare
eventuali modifiche od integrazioni rispetto alle azioni
intraprese nel periodo intercorso.
Entrambe queste figure, Consulente e Valutatore,
potrebbero rappresentare un’ottima possibilità di
carriera in caso di nuova apertura dei relativi registri,
facilitata dalle competenze acquisite dal commercialista
nella sua quotidiana attività di consulenza e assistenza
alle aziende, utili ad individuare le azioni maggiormente
interessanti anche dal punto di vista economico,
aziendale e fiscale applicabili alla società da certificare.
Anche senza l’iscrizione ai registri va però considerata
la possibilità, per chi come il commercialista conosce
bene le dinamiche aziendali, di supportare le aziende
clienti in un processo di riorganizzazione che può essere
portato avanti sia nel caso in cui una propria azienda
cliente decida di realizzare uno dei percorsi di
certificazione citati, sia che l’azienda, a prescindere
dall’Audit, decida di adottare una strategia aziendale
rientrante nel già citato concetto di
welfare aziendale
e
di
Responsabilità Sociale d’Impresa
.
In entrambi i casi potrebbe davvero trattarsi di una
nuova opportunità per il colleghi i quali, passando per
un auspicabile piano di formazione
ad hoc
che vada ad
integrare le competenze acquisite in merito a temi non
ancora molto trattati nei percorsi di studio economici,
potrebbero proporsi sul mercato con una
professionalità nuova e più completa.
1
L’occupazione femminile in Italia rimane ancora un grosso problema da risolvere, con il nostro Paese penultimo soltanto dopo Malta come tasso di occupazione femminile,
fanalino di coda quindi in Europa. Non ne vogliamo però qui fare una questione esclusivamente di genere perché le politiche di conciliazione riguardano tutti, indipendentemente
dal sesso e dallo stato civile.
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Informazioni e riferimenti:
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Audit BerufundFamilie nella versione originale tedesca
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Per informazioni e riferimenti:
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