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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
sulla società, anche se non siano titolari della maggioranza assoluta del capitale
sociale. Si pensi, nelle s.r.l., alla possibilità di attribuire ad un solo socio, ex art.
2468, comma 3, c.c., il potere di designare e revocare l’organo amministrativo, o,
nelle s.p.a., alla possibilità di creare azioni senza voto fino al 50% del capitale,
garantendo in tal modo al titolare del 51% delle azioni con diritto di voto (pari al
25,5% del capitale sociale) il controllo della società. In sostanza, è convincimento
diffuso che tarando lo statuto sulle esigenze di un determinato gruppo di controllo
e sottraendo ai restanti soci ogni effettivo potere di ingerenza, sia possibile supera-
re, rendendolo irrilevante, ogni eventuale conflitto tra soci. In realtà, tale convinzio-
ne si rivela spesso infondata, in quanto i soci che non condividono le scelte gestionali
altrui sono spesso indotti a porre in essere azioni di disturbo, che non di rado
sfociano in veri e propri conflitti. La “dittatura” di un determinato gruppo di
controllo, dunque, anche se ottenuta con legittime regole statutarie, non consente di
per sé di evitare l’insorgere di dissidi tra soci potenzialmente dannosi.
Quando si verificano tali situazioni è talvolta preferibile decretare lo scioglimento
della società, nella consapevolezza che proseguire l’esercizio in comune di un’atti-
vità economica in assenza di un autentico spirito di collaborazione tra soci non è di
utilità per nessuno. Una simile scelta, però, è di regola subordinata al volere del
medesimo gruppo di controllo che si è posto in conflitto con i restanti soci, il quale,
ragionevolmente, non avrà alcuna intenzione di porre fine alla società per il solo fatto
che le sue scelte non siano condivise. E’ proprio per evitare l’insorgere di queste
possibili situazioni di conflitto che la riforma ha consentito ai soci di predeterminare
nello statuto delle cause di scioglimento convenzionali: in tal modo non sarà necessa-
ria alcuna condivisione della volontà di porre fine alla società all’insorgere della causa
di scioglimento, in quanto la medesima opererà di diritto, una volta accertata dall’or-
gano interno competente o dal tribunale ex art. 2485, comma 2, c.c.
Il potere dirimente di possibili dissidi tra soci delle clausole di scioglimento convenzio-
nali è duplice: preventivo, inducendo i soci dominanti a non abusare del loro potere, e
risolutivo, decretando lo scioglimento di un rapporto in crisi. Le possibili applicazioni
pratiche sono notevoli, soprattutto se si considera che le cause di scioglimento conven-
zionali possono consistere anche in legittimi comportamenti delle maggioranze.
Un’ipotesi potrebbe essere quella di una società nella quale i soci abbiano condiviso
in sede di costituzione un piano di graduale rafforzamento patrimoniale, piano che
poi non viene attuato per rifiuto delle maggioranza di deliberare aumenti di capitale.
Una simile situazione di crisi potrebbe essere risolta a monte introducendo nello
statuto una clausola che preveda lo scioglimento della società qualora per tre volte
consecutive non si riesca a deliberare un aumento di capitale proposto dalle mino-
ranze ex artt. 2367 o 2479, comma 1, c.c.. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella
del mancato raggiungimento degli obiettivi economici che i soci si erano prefissati in
sede di costituzione. Una simile circostanza potrebbe essere senz’altro dedotta come
causa di scioglimento convenzionale, rendendo con ciò irrilevante l’eventuale volontà
della maggioranza di continuare la società in assenza dei risultati sperati. La relativa
clausola di scioglimento potrebbe essere legata al mancato raggiungimento di un
determinato fatturato, o al venire meno di una certa proporzione tra capitale di rischio
e indebitamento, o alla mancata adesione dei soci a una richiesta di “finanziamento”,
e così via. Enumerare tutte le possibili cause di scioglimento della società idonee a
tutelare le aspettative dei singoli soci nell’affare è, ovviamente, impossibile. Quello
che è certo è che con tale strumento si limitano decisamente le possibili liti generate
dalla continuazione di una società che non soddisfi le aspettative dei soci.
Quando i soci decidono di inserire nello statuto delle cause di scioglimento conven-
zionali devono anche determinare chi ha il potere di accertarle. Tale determinazione
è obbligatoriamente prevista dall’art. 2484, ultimo comma, c.c. e senza di essa la
causa di scioglimento statutaria non può operare.
La possibilità di predeterminare l’organo competente ad accertare una causa di
scioglimento è a sua volta utile in funzione preventiva di possibili conflitti tra soci
e amministratori. Si pensi all’ipotesi di statuti che non consentano alla maggioranza
dei soci di avere il controllo sull’organo gestorio (si tratta delle ipotesi in cui siano
previste: maggioranze qualificate per la designazione delle cariche sociali; il voto di
lista; i diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c.; le azioni a voto limitato; ecc.).
In tale ipotesi, sarà possibile attribuire ai soci titolari della maggioranza dei diritti di
voto ma non in grado di rimuovere gli amministratori il potere di accertare una causa
di scioglimento legata a determinati comportamenti degli amministratori (positivi
od omissivi), eliminando alla radice ogni possibile ulteriore conflitto.
Così, ad esempio, si potrebbe prevedere una causa di scioglimento consistente nel
disinteresse da parte degli amministratori nel compiere determinate operazioni
(mancato impiego di riserve in nuovi investimenti, ovvero, eccesso di
immobilizzazioni finanziarie rispetto al patrimonio netto) e demandare all’assem-
blea dei soci, con maggioranza semplice, il potere di accertarla. Si noti bene che tale
ipotesi è decisamente diversa rispetto a quella che subordina il compimento di
determinati atti di amministrazione all’autorizzazione dei soci o, solo per le s.r.l.,
attribuisce direttamente a questi ultimi il potere di deciderli. Nella prima, infatti,
non vi è alcuna ingerenza dei soci nell’amministrazione della società, ma solo la
possibilità per i medesimi di far cessare la prosecuzione dell’attività economica
intrapresa se non vengono compiuti determinati atti di amministrazione.
2.b) Rinuncia a dettare una disciplina statutaria della liquidazione
In caso di assenza di qualsiasi disciplina statutaria sulla liquidazione, al verificarsi
di una causa di scioglimento:
- il sistema di
governance
previsto dallo statuto, se diverso da quello tradizionale
(dunque: la coamministrazione, il dualistico e il monistico), viene meno;
- le regole legali o statutarie per la nomina dell’organo gestorio, comprese le maggio-
ranze deliberative ridotte previste per le s.p.a. dall’art. 2369, comma 4, c.c., non
sono più applicabili, in quanto sostituite
ex lege
con quelle previste per le modifi-
che dello statuto, rendendosi anche applicabile, in caso di stallo, il rimedio della
nomina giudiziale ex art. 2487, comma 2, c.c.
Tali modifiche alle regole che governano la società sono senz’altro in grado di
influenzare gli equilibri raggiunti in sede di costituzione, posto che chi aveva il
controllo amministrativo della società potrebbe improvvisamente esserne privato.
Ci si riferisce alle ipotesi:
- del socio di s.r.l. cui sia stato attribuito il diritto particolare di designare uno o più
amministratori ex art. 2468, comma 3, c.c.;
- della presenza di azioni senza voto nella delibera di nomina degli amministratori
ma con diritto di voto nelle altre
delibere;
- della emissione di strumenti fi-
nanziari aventi diritto di voto sulla
nomina degli amministratori;
- della presenza di clausole che im-
pongono il voto di lista.
La scelta di non disciplinare
statutariamente la fase di liquida-
zione risulta dunque idonea a mo-
dificare l’assetto degli equilibri che
erano garantiti durante la fase ope-
rativa. Tale scelta potrebbe pertan-
to essere effettuata in maniera con-
sapevole allo scopo di evitare dis-
sidi durante lo scioglimento della
società, ove l’interesse del socio non
è più quello di ricavare un utile dal
proprio investimento, delegando ad altri la gestione dell’affare, ma diviene quello di
realizzare ai massimi valori possibili lo smobilizzo della propria partecipazione.
Un esempio potrebbe meglio chiarire il concetto.
Una società la cui compagine sociale sia suddivisa in due gruppi di soci, uno di
maggioranza avente il 51% dei voti e uno di minoranza avente il restante 49%,
potrebbe aver adottato un statuto che attribuisce alla maggioranza assoluta le deci-
sioni “ordinarie” e ad una maggioranza qualificata quelle “straordinarie”.
Simili scelte sono assai frequenti nella pratica, ove i soci di minoranza sono disposti
a lasciare la gestione dell’affare ai soci di maggioranza, ma intendono avere un loro
peso nelle decisioni di maggior rilevanza strategica, quali trasformazioni, fusioni,
scissioni, aumenti di capitale, emissione di obbligazioni, ecc. In detta società, se
nulla dispone lo statuto in ordine alla liquidazione, al verificarsi di una causa di
scioglimento si azzerano i poteri della maggioranza assoluta, rendendo necessaria la
condivisione con la minoranza delle decisioni sulla liquidazione e sulla designazione
dei liquidatori, pena l’intervento del tribunale in surroga degli organi sociali.
2.c) Adozione di una specifica disciplina statutaria sulla liquidazione
Per gli stessi motivi di cui sopra, cioè per realizzare uno statuto della società che
muti durante la fase di scioglimento rispetto a quello vigente durante la fase opera-
tiva, è possibile dettare una disciplina statutaria assolutamente personalizzata
sotto tutti i punti di vista. È dunque possibile prevedere nello statuto che le decisioni
sulla liquidazione siano adottate con maggioranze rafforzate o semplificate rispetto a
quelle ordinariamente richieste per la suamodifica; individuare un sistema di
governance
predeterminato (liquidatore unico o collegio composto da un certo numero di membri,
che in caso di parità prevalga il presidente, ecc.); limitare i poteri dell’organo gestorio
devolvendo ai soci le decisioni in ordine al compimento di determinati atti; vietare il
ricorso all’esercizio provvisorio; e così via.
In sostanza è possibile adottare uno statuto che incentivi o disincentivi il ricorso
alla liquidazione da parte della maggioranza ordinaria, il che, se abbinato alla
predeterminazione di determinate cause di scioglimento, realizza sicuramente uno
strumento idoneo a superare situazioni di conflitto tra soci.
2.d) Attribuzione ai soci del potere di decidere atti gestori
La messa in liquidazione della società consegue spesso al verificarsi di una situazio-
ne di crisi economico/finanziaria. In tale frangente non è raro che sorgano dissidi tra
soci, legati per lo più alle delusioni economiche o alle diverse valutazioni che
ognuno di loro compie sulle cause e responsabilità che hanno decretato l’insuccesso
dell’iniziativa economica intrapresa.
A quel punto è probabile che i soci non siano in grado di individuare una persona
che goda della fiducia comune alla quale affidare le scelte strategiche in ordine al
compimento degli atti di conservazione del valore dell’azienda sociale e del suo
avviamento, in attesa di liquidare il patrimonio sociale (affitto dell’intera azienda;
affitto di singoli rami; prosecuzione della gestione diretta; compimento di nuove
operazioni, comprese quelle finanziarie).
Anche perché la riforma ha abrogato il divieto per le società in liquidazione di
compiere nuove operazioni, per cui le possibili scelte strategiche sono illimitate.
In una simile situazione potrebbe essere opportuno, in funzione risolutiva della
situazione di potenziale stallo che si determinerebbe nell’incapacità di individuare
un liquidatore cui attribuire pieni poteri, riservare ai soci il diritto di decidere
direttamente atti gestori vincolanti per l’organo liquidatorio.
Come ricordato in precedenza, una tale opzione non è percorribile nelle società
normalmente operanti, in quanto nelle s.p.a. è ormai vietato attribuire ai soci poteri
gestori diretti, mentre nelle s.r.l. ciò è possibile, ma deve ritenersi che gli ammini-
stratori non siano vincolati ad eseguire le decisioni dei soci, stante la previsione
della loro responsabilità solidale ex art. 2476, comma 7, c.c..
Ciò non accade nella fase di liquidazione, ove è ampiamente consentito ai soci di
assumere direttamente decisioni di amministrazione vincolanti per l’organo gestorio,
non solo quelle strategiche ma anche le meno rilevanti (i soci potrebbero arrivare a
riservasi il potere di autorizzare ogni singolo atto di alienazione dei beni sociali).
Ecco, dunque, che l’eventuale scelta di limitare statutariamente nella fase di liquida-
zione i poteri dell’organo gestorio in maniera assai più stringente rispetto a quanto
non sia fatto per la fase operativa, potrebbe essere una scelta idonea a risolvere un
possibile conflitto tra soci in ordine all’esercizio provvisorio dell’impresa, soprat-
tutto se la maggioranza decisionale viene tarata in relazione alle esigenze di tutela
delle minoranze e ai loro diritti di vedere liquidate le partecipazioni al meglio.
La disciplina statutaria
della fase di scioglimento
SEGUE DA PAGINA 5
VAI, FILIPPO!
Congratulazioni al nostro Filippo Carlin,
redattore de 'Il Commercialista Veneto' per
l’Ordine di Rovigo, chiamato a comporre il
nuovo comitato di redazione di 'PRESS', ri-
vista on line del Consiglio Nazionale.
Siamo sicuri che le sue idee ed il suo entu-
siastico contributo sapranno portare nuova
vitalità alla rivista, magari nell’ambito di
un dialogo più intenso con il nostro Territo-
rio Triveneto.