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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
Imprese. Una società costituita con termine al 31 dicembre 2014 non si scioglierà
dunque a quella data se gli amministratori non depositeranno nel Registro Imprese
l’attestazione dell’avvenuto suo decorso; fino a tale momento non si verificherà
nessuno stato di liquidazione, e ciò non per effetto di una sorta di proroga tacita ma
semplicemente perché la scadenza del termine, come l’avveramento di qualsiasi
altra causa di scioglimento, non è di per sé idonea a determinare lo scioglimento
della società in assenza della relativa pubblicità.
A quanto sopra consegue che una società originariamente convenuta fino al 31
dicembre 2014, e per la quale non venga comunicato al Registro Imprese l’accerta-
mento dello spirare del termine, può prorogare la sua durata con decisione dei soci
assunta successivamente a detto termine senza che ciò integri una revoca della
liquidazione e senza, pertanto, attivare la procedura di cui all’art. 2487 ter c.c..
L’accertamento delle cause di scioglimento previste dall’art. 2484, comma 1, c.c.,
diverse dalla decisione dei soci, spetta agli amministratori. Tali cause sono: 1) il
decorso del termine; 2) il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta
impossibilità di conseguirlo; 3) l’impossibilità di funzionamento o la continua
inattività dell’assemblea; 4) la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale; 5)
le ipotesi previste dagli articoli 2437 quater e 2473 c.c.. In tutti detti casi di sciogli-
mento, dunque, non occorre celebrare alcuna assemblea dei soci per porre in liqui-
dazione la società. Di più, un eventuale accertamento da parte dell’assemblea dei
soci del verificarsi di una delle suddette cause di scioglimento, provenendo dall’or-
gano incompetente, sarebbe nullo ed inidoneo a determinare lo scioglimento della
società, ancorché iscritto nel Registro delle Imprese.
Il principio della competenza esclusiva degli amministratori nell’accertare le cause
legali di scioglimento, diverse dalla decisione dei soci, è talmente rigido che la legge
non ammette deroghe nemmeno nel caso in cui i medesimi si rendano inadempienti
a tale obbligo. In detta ipotesi, infatti, non potranno i soci o i sindaci sostituirsi agli
amministratori inerti, ma sarà il tribunale che con decreto da iscriversi nel Registro
Imprese accerterà la causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2485, comma 2, c.c..
La competenza degli amministratori nell’accertamento del verificarsi delle cause di
liquidazione, diverse dalla decisione dei soci, si estende a tutte le ipotesi legali ma
non opera automaticamente anche per le eventuali cause convenzionali, per quelle
cause, cioè, che i soci hanno volontariamente determinato nell’atto costitutivo o
nello statuto. L’ultimo comma dell’art. 2484 c.c. dispone, infatti, che quando l’atto
costitutivo o lo statuto prevedono altre cause di scioglimento essi devono anche
determinare la competenza a deciderle od accertarle, e ad effettuare gli adempimenti
pubblicitari previsti dal comma precedente (iscrizione nel Registro Imprese con
efficacia costitutiva). La scelta del legislatore di non attribuire senz’altro agli ammi-
nistratori la competenza residuale ad accertare le cause di scioglimento convenzio-
nali è particolarmente insidiosa, poiché nell’ipotesi in cui si introduca nell’atto
costitutivo o nello statuto una causa di scioglimento convenzionale senza determi-
nare l’organo competente ad accertarla, la si rende di fatto di impossibile attuazio-
ne, posto che non sussiste alcuna possibilità di integrare legalmente tale carenza, e
senza l’iscrizione nel Registro Imprese la causa di scioglimento non può operare.
D’altra parte, la possibilità di attribuire statutariamente ad un soggetto diverso
dagli amministratori il potere di accertare una causa di scioglimento è di notevole
utilità pratica, poiché in tal modo si possono dedurre nel contratto sociale cause di
scioglimento “antistallo” legate all’impossibilità di funzionamento dell’organo
amministrativo, altrimenti inattuabili.
1.b) Le competenze dei soci
L’art. 2487 c.c. definisce le competenze dei soci in materia di liquidazione, esercitabili sia
in sede di formazione dell’atto costitutivo che successivamente. Tali competenze sono:
1) la determinazione del numero dei liquidatori e delle regole di funzionamento del
collegio nel caso di pluralità di liquidatori;
2) la nomina dei liquidatori, con indicazione di quelli cui spetta la rappresentanza
della società;
3) la determinazione dei criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; dei
poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda sociale, di
rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi; degli atti
necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio
provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del miglior realizzo.
Numerosi, dunque, sono gli aspetti rilevanti sui quali i soci sono chiamati a decide-
re; è dunque opportuno analizzarli per singoli gruppi di argomenti.
- La determinazione del numero dei liquidatori e delle regole di funziona-
mento del collegio nel caso di pluralità di liquidatori.
In primo luogo i soci devono determinare il numero dei liquidatori e le regole di
funzionamento dell’eventuale collegio.
Quello sulla determinazione delle norme di funzionamento del collegio è un potere
eccezionale che non viene riconosciuto ai soci delle società che non si trovino in
stato di scioglimento. In dette società, infatti, le regole di funzionamento dell’orga-
no gestorio pluripersonale, sia esso il consiglio di amministrazione o il consiglio di
gestione, sono predeterminate dal codice civile e non sono nella disponibilità dei
soci, se non per aspetti marginali.
I soci devono dunque preliminarmente decidere se nominare un liquidatore unico,
scelta largamente preferita nella pratica, ovvero più liquidatori. In questo secondo
caso sono chiamati a dettare anche le regole di funzionamento dell’organo: convo-
cazione, luogo delle riunioni, maggioranze decisionali, rappresentanza, ecc.
Ma cosa accade se i soci si limitano ad istituire un collegio di liquidatori senza
determinarne le regole di funzionamento? Nessuna norma di diritto positivo disci-
plina il funzionamento del collegio dei liquidatori; esiste pertanto una carenza
normativa sul punto.
La soluzione che offre l’ordinamento in questi casi è quella del ricorso all’analogia:
in tale ipotesi, dunque, trattandosi di un organo gestorio collegiale, pur se con
poteri limitati alla liquidazione della società, è possibile ritenere applicabili al me-
desimo, con riferimento a tutti i tipi di società di capitali, le regole di funzionamento
dettate dal codice civile per il consiglio di amministrazione delle società azionarie,
essendo le uniche esistenti in materia di organo gestorio collegiale.
Da più parti è stato sollevato il dubbio se sia possibile, quantomeno nel modello
della s.r.l., nominare più liquidatori senza prevedere l’istituzione di un collegio
(come letteralmente proposto dalla norma), bensì attribuendo ai medesimi poteri
congiunti o disgiunti del tipo di quelli attribuibili ai coamministratori previsti, per
la società operativa, dal secondo periodo dell’art. 2475, comma 3, c.c.
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.
Tale possibilità non appare coerente con il dato normativo e con il sistema.
In primo luogo la norma contenuta nell’art. 2487, comma 1, lett. a) c.c. è formulata
in maniera chiara: se i liquidatori sono più di uno i soci devono determinare le regole
di funzionamento del collegio. L’istituzione del collegio dei liquidatori è dunque
ritenuta essenziale dalla norma.
Esiste anche un argomento sistematico che consente di affermare l’impossibilità
della istituzione di più coliquidatori che operino in maniera non collegiale. Come già
osservato, nella fase di liquidazione della società si attua un sistema di “ammini-
strazione e controllo” basato sul dualismo liquidatori/soci che non trova riscontro
nelle società che non siano in stato di scioglimento. Detto sistema, frutto di una
precisa scelta del legislatore, consiste nel non predeterminare con norme positive i
poteri gestori attribuiti ai liquidatori, bensì nel rimetterli alla decisione dei soci. E’
stata quindi fatta una scelta radicalmente diversa rispetto a quella operata per le
società che non si trovino in stato di scioglimento, nelle quali è inibito ai soci di
assumere decisioni di amministrazione vincolanti per l’organo gestorio.
Tale scelta ha di per sé reso incompatibile con la fase di liquidazione l’istituzione di
un organo gestorio pluripersonale non collegiale.
Se, infatti, i coliquidatori fossero investiti di poteri disgiunti, si attuerebbe un
modello di gestione/controllo basato sul diritto di ogni singolo liquidatore di oppor-
si all’altrui gestione, in contrasto con quanto voluto dal legislatore. L’art. 2487,
comma 1, lett. c), c.c. attribuisce, infatti, solo ai soci la facoltà di limitare i poteri dei
liquidatori e non anche a questi ultimi reciprocamente. Senza contare, poi, che la
fase di liquidazione consiste sostanzialmente in un’unica operazione, per quanto
complessa, per cui l’opposizione a singoli atti potrebbe rendere disarmonica l’inte-
ra liquidazione. Se, al contrario, i coliquidatori fossero investiti di poteri congiunti,
gli stessi finirebbero per operare come un organo collegiale cui si imponga la regola
dell’unanimità per ogni singola decisione.
Alcuni commentatori della riforma, consapevoli delle difficoltà di principio che
impediscono di ritenere istituibile liberamente un organo di liquidazione che operi
in maniera non collegiale, hanno comunque ritenuto che ciò sia possibile nella s.r.l.,
poiché la cogestione è una delle forme di amministrazione tipiche di tale modello
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.
Detta opinione non appare condivisibile. Si ricorda che le disposizioni sulla liqui-
dazione delle società di capitali costituiscono un corpo unitario, volto ad imporre
un’unica disciplina per tutti i modelli di società capitalistiche. Non è dunque
concettualmente possibile ammettere delle deroghe per singoli tipi
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.
Neanche il disposto dell’art. 2488 c.c. (che prevede che le disposizioni sugli ammi-
nistratori si applicano, in quanto compatibili, anche durante la liquidazione), può
essere invocato per sostenere la possibilità di nominare nella s.r.l. più liquidatori
che operino non collegialmente, poiché gli “organi amministrativi” individuati in
detta disposizione non possono essere confusi con gli “organi liquidativi” di cui
all’art. 2487 c.c., anche se entrambi compiono attività gestorie.
La disposizione di cui all’art. 2488 c.c. appare, infatti, volta a chiarire che durante la
fase di liquidazione si continuano ad applicare agli organi sociali in carica (il che accade
per l’organo amministrativo fino all’accettazione dell’incarico da parte dei liquidato-
ri) le loro regole organizzative ordinarie, non anche ad applicare agli organidella liqui-
dazione lo statuto delle società normalmente operanti
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. Si può quindi
affermare che nel caso in cui i soci decidano di nominare più liquidatori questi
La disciplina statutaria
della fase di scioglimento
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SEGUE A PAGINA 5
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Anteriormente alla riforma una certa giurisprudenza ammetteva una qualche forma di liquidazione non collegiale, secondo Cass., 5 luglio 1979, n. 3859 in Dir. fall., 1979, II,
435 “Quando l’assemblea dei soci abbia affidato la liquidazione ad una pluralità di liquidatori, nulla impedisce che questi possano addivenire, tra loro, ad una ripartizione di
compiti, ferma la loro responsabilità solidale: è pertanto pienamente legittimo l’operato dei liquidatori i quali abbiano conferito al presidente del collegio dei liquidatori il potere
di agire o di resistere in giudizio a tutela dei diritti della società”.
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Cfr. Rossi,
Comm. Maffei-Alberti
, III, 2196; Santus-De Marchi,
Riv. Not
, 2004, 621.
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In tal senso Niccolini, sub art. 2488, in Niccolini –
Stagno d’Alcontres, Società di capitali. Commentario
, Napoli, 2004, III, 1774, nt. 17.
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L’interpretazione dell’art. 2488 c.c. non è univoca, in quanto la sua formulazione sembrerebbe evocare la permanenza dell’organo amministrativo durante la fase di liquidazione,
in tal senso Di Sabato,
Diritto delle società
, Milano, 2003, 497. Ritiene invece che il riferimento all’organo amministrativo durante la fase di liquidazione sia applicabile a qualunque
organo gestorio, dunque anche ai liquidatori, Niccolini,
Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azion
i, in Trattato Colombo-Portale, 7, Torino,1997, 530.
Evidenzia come la previsione dell’art. 2488 conferma la “volontà legislativa di ridurre, per quanto possibile, le soluzioni di continuità “strutturali” tra la fase ordinaria della vita della
società a quella che la conduce all’estinzione” Fimmanò,
Scioglimento e liquidazione delle società di capitali
, Milano, 2011, 175. Resta comunque incontrovertibile che il modello
di
governance
definito dal codice civile nella fase di liquidazione della società, basato sul dualismo soci/liquidatori, è incompatibile con tutti quelli previsti per le società attive.