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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
DIRITTO DELLE SOCIETÀ
PAOLO TALICE
Notaio inTreviso
La disciplina statutaria della fase
di scioglimento come possibile opzione
per prevenire o superare i conflitti tra soci
Introduzione
Nelle società partecipate da soci reali, da soggetti tra loro indipendenti legati esclu-
sivamente dal desiderio di intraprendere un’iniziativa economica comune, la fase di
costituzione è spesso un momento di attenta riflessione, nella quale i futuri soci
non sono solo chiamati a definire le loro quote di partecipazione nell’affare ma
anche ad adottare uno statuto che rappresenti la giusta sintesi dei loro interessi.
E’ dunque frequente trovare statuti che disciplinano con attenzione la vita della
società, adottando sistemi di
governance
personalizzati e modulando i diritti am-
ministrativi e patrimoniali nelle forme ritenute più opportune, prevenendo in tal
modo situazioni di stallo o di conflitto.
L’attenzione che viene dedicata alla formulazione delle regole volte a disciplinare la
vita della società viene, però, spesso meno quando si formulano quelle che dovran-
no essere applicate al verificarsi di una causa di scioglimento: è infatti frequente che
gli statuti non disciplinino la liquidazione, se non con parafrasi delle norme del
codice, rimettendosi sostanzialmente a ciò che decideranno i soci al momento della
nomina dei liquidatori. La fase di liquidazione è normalmente percepita come un
procedimento standardizzato, nel quale i soci sono coinvolti quasi esclusivamente
per determinare i soggetti cui affidare l’incarico di liquidatori.
Così non è. Il modello di
governance
pensato dal legislatore per le società in
liquidazione, unitario e diverso rispetto a quello della fase operativa, è in realtà
largamente personalizzabile.
L’art. 2487 c.c. prevede che, una volta verificatasi la causa di scioglimento, salvo
che lo statuto abbia già disposto in merito, debba essere convocata l’assemblea dei
soci perché deliberi, con le maggioranze previste per le modifiche dell’atto costitutivo
o dello statuto, su:
1) il numero dei liquidatori e le regole di funzionamento del collegio nel caso di
pluralità di liquidatori;
2) la nomina dei liquidatori, con indicazione di quelli cui spetta la rappresentanza
della società;
3) i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con
particolare riguardo alla cessione dell’azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche
di singoli beni o diritti, o blocchi di essi; degli atti necessari per la conservazione del
valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami,
in funzione del miglior realizzo.
La convocazione dell’assemblea è, come detto, solo eventuale, poiché la legge
consente ai soci di predeterminare nello statuto una o più delle decisioni demandate
all’assemblea di liquidazione, con la conseguenza estrema che non sarà necessario
celebrare alcuna assemblea al verificarsi dello stato di scioglimento nell’ipotesi in
cui lo statuto disponga su tutte le materie previste dall’art. 2487 c.c., compresa la
designazione di coloro che dovranno rivestire la carica di liquidatori, eventualmente
anche
per relationem.
La possibilità di decidere già in sede di costituzione la disci-
plina della liquidazione, introducendo specifiche clausole nell’atto costitutivo, è
assai utile, poiché in tal modo si possono prevenire o superare potenziali situazioni
di conflitto tra soci o di stallo della società. Le logiche con cui ci si può avvalere di
tale facoltà al fine di limitare i dissidi tra soci sono sostanzialmente tre:
1) si può dettare una disciplina della liquidazione che sia modificativa degli assetti
vigenti durante la fase operativa, sottraendo ai soci dominanti (ad esempio quelli
aventi la maggioranza semplice) alcuni poteri, di modo che questi ultimi non abbia-
no interesse a decretare lo scioglimento della società per risolvere situazioni di
conflitto, ma siano invece incentivati a superarle;
2) al contrario, si possono adottare delle regole sulla liquidazione particolarmente
equilibrate, che siano gradite a tutti i soci, in modo che gli stessi possano ricorrere
con serenità allo strumento dello scioglimento della società quando siano venuti
meno i reciproci rapporti di fiducia e di collaborazione nell’affare, nel presupposto
che non si può andare d’accordo “per contratto”;
3) è infine possibile prevedere come cause di scioglimento della società determinate
situazioni di conflitto (ad esempio la reiterata mancata adozione di delibere di
ricapitalizzazione per disaccordo tra i soci) incentivando in tal modo i soci a non
provocarle, ovvero, offrendo un rimedio automatico per superare il dissidio.
Per comprendere meglio i concetti esposti è necessario ripercorrere brevemente le
regole della liquidazione dettate dalla novella del diritto societario.
1. I principi della riforma che governano la fase di scioglimento
1
Anteriormente alla riforma del diritto societario il codice civile disciplinava in
maniera compiuta un solo tipo societario, quello della società per azioni. La società
a responsabilità limitata e la società in accomandita per azioni erano tipi derivati,
largamente disciplinati con la tecnica del rinvio. Per tutti i modelli di società di
capitali era previsto un unico sistema di “amministrazione e controllo”.
La novella ha superato decisamente tale impostazione, caratterizzando in maniera
rilevante i vari modelli di società di capitali e prevedendo per essi forme di ammini-
strazione e controllo assai differenti tra loro. Nelle società azionarie sono stati
introdotti i sistemi monistico e dualistico, accanto a quello tradizionale, mentre
nelle società a responsabilità limitata è stata ammessa anche la coamministrazione,
come se si trattasse di una società di persone. Tale forte caratterizzazione non è stata
mantenuta per le società in stato di scioglimento. Il legislatore della riforma ha, infatti,
ritenuto di disciplinare in maniera unitaria la fase di liquidazione di tutte le società di
capitali, prevedendo negli artt. 2484 e ss. del codice civile un unico possibile sistema
di
governance
ed un unico procedimento di liquidazione, tipico e necessario. Questa
rigida scelta del legislatore è solo apparente, in quanto è stata accompagnata dall’at-
tribuzione ai soci del potere di imporre ai liquidatori il rispetto di un determinato
“programma di liquidazione”, derogando, sotto questo aspetto, a quanto previsto per
le società normalmente operanti, nelle quali, al contrario, è notevolmente limitata la
possibilità per i soci di ingerirsi nella gestione dell’impresa.
I soci non sono unicamente chiamati a decidere i poteri e la composizione dell’or-
gano di liquidazione, ad essi è attribuita anche la facoltà di determinarne il funzio-
namento, in piena autonomia e, soprattutto, senza subire le regole dettate per la
società normalmente operante. Ma l’aspetto più rilevante è un altro: durante la fase
di liquidazione i soci possono esercitare dei veri e propri poteri gestori. Ai medesi-
mi, infatti, è rimessa la facoltà di determinare i criteri di liquidazione e gli atti
necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio
provvisorio, anche per singoli rami.
1.a) Le cause di scioglimento, il loro accertamento e la loro efficacia
E’ opinione diffusa che per porre in liquidazione una società sia necessario celebra-
re un’assemblea dei soci. In realtà la decisione dei soci è solo una delle possibili
cause di scioglimento della società; tutte le altre consistono in fatti (e non in atti)
che pongono in scioglimento la società per il solo loro verificarsi accertato dagli
amministratori, senza alcun coinvolgimento dei soci. Come è noto, anteriormente
alla riforma del diritto societario esisteva una notevole incertezza sul momento in
cui, verificatasi la causa di scioglimento, una società veniva posta in liquidazione.
Le incertezze erano alimentate dalla circostanza che nessuna norma disciplinava il
momento di efficacia delle delibere modificative del contratto sociale, quali quelle
che decretavano lo scioglimento anticipato, mentre la pubblicità nel registro delle
imprese di eventi oggettivi di scioglimento diversi da una decisione dei soci, quali
l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea o il conseguimento dell’oggetto
sociale, non era prevista
2
.
A ciò bisogna aggiungere che non tutte le cosiddette “cause oggettive di scioglimen-
to” sono effettivamente oggettive, considerato che alcune di esse si prestano ad
interpretazioni e valutazioni soggettive che rendono incerto il loro verificarsi. Si
pensi alla differenza tra lo scioglimento per scadenza del termine, evento certo e
non suscettibile di interpretazione, rispetto allo scioglimento per impossibilità di
funzionamento dell’assemblea, il quale presuppone una valutazione soggettiva
che, in quanto tale, non può essere univoca.
Al fine di risolvere queste incertezze, la riforma ha imposto una regola radicale:
nessuna causa di scioglimento produce effetti, nemmeno interni, fino a quando non
sia iscritta nel Registro Imprese (art. 2484, comma 3 c.c.). Tale regola è talmente
rigida che anche il decorso del termine di durata della società non produce alcuno
scioglimento fino a quando il suo accertamento non sia stato iscritto nel Registro
1
Per un approfondimento si rimanda a P. Talice,
L’Assemblea di Liquidazione
, in Società e Contratti, Bilancio e Revisione, 4/2014, Eutekne Dottrina.
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La maggioranza degli autori anteriori alla riforma riteneva che le cause di scioglimento avevano efficacia immediata, mentre la loro pubblicità nel Registro delle Imprese
assumeva rilievo solo al fine della opponibilità ai terzi. Cfr. Cavallo Borgia,
Trattato di Diritto Privato
, diretto da Rescigno, Torino, 147; Frè,
Commentario Scialoja-Branca
,
Bologna, 837.
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