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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
autonomo, diverse da quelle considerate generanti redditi di impresa. Stabilire la
propria residenza fiscale non sempre è scontato, soprattutto nel caso in cui quella
fisica sia stata presa in un Paese estero: per evitare la doppia imposizione è dunque
necessario determinare con certezza la residenza fiscale del contribuente. A far luce
sui casi più controversi si sono avute diverse sentenze; ricordiamo la sentenza della
Commissione tributaria di Modena n. 985/1998 sul caso del celebre tenore italiano
L. P., passando per la sentenza n. 87/1/12 della Commissione Tributaria Regionale
della Liguria la quale stabiliva che per determinare la residenza fiscale di un indivi-
duo è necessario far riferimento ai suoi legami personali prima che agli interessi
economici, pur ribadendo la necessità di effettuare un esame cumulativo di tutti gli
elementi. Il caso in esame riguardava un soggetto iscritto all’AIRE formalmente
residente nel Principato di Monaco ma i cui interessi economici sono localizzati
prevalentemente nel territorio italiano.
Sono sostanzialmente tre le fonti giuridiche
che devono trovare accordo
interpretativo sulla residenza fiscale: il diritto interno, quello convenzionale e l’AIRE.
Il diritto interno (art. 2, co. 2 del TUIR), nel determinare la residenza fiscale di un
individuo che ha trasferito la propria residenza all’estero prende in considerazione
l’iscrizione all’AIRE, il domicilio e la residenza e ritiene che la sola iscrizione
all’AIRE non basti per escludere la residenza fiscale in Patria.
Il diritto convenzionale ispirandosi all’art. 4 del modello OCSE, applica una serie di
regole cosiddette “
tie breaker rules
”, compreso il possesso di un’abitazione per-
manente, e il domicilio quale centro di affari e interessi.
Ci sono poi le norme Comunitarie, nei casi in cui queste possono essere applicabili. In
questi casi intervengono le direttive del Consiglio 83/182/Cee e 83/183/Cee volte a
favorire la libera circolazione dei privati, residenti comunitari, all’interno della allora
Comunità, eliminando gli scogli fiscali che esistevano precedentemente. Queste forni-
scono una definizione della residenza normale di un individuo: il luogo dove si permane
per almeno 185 giorni all’anno, in considerazione dei legami personali e professionali.
Viene però citato anche il caso in cui “una persona i cui legami professionali siano
situati in un luogo diverso da quello dei suoi legami personali e che pertanto sia
indotta a soggiornare alternativamente in luoghi diversi situati in duo o più Stati
membri”, in questo caso “si presume che la residenza normale sia quella del luogo
dei legami personali, purché tale persona vi ritorni regolarmente. Questa condizio-
ne non è richiesta allorché la persona effettua un soggiorno in uno Stato membro per
l’esecuzione di una missione di durata determinata. La frequenza di un’università o
di una scuola non implica il trasferimento della residenza normale”.
Il caso più recente però riguarda la sentenza n. 371/2012 (ud 25 maggio 2012) della
Commissione tributaria provinciale di Latina, la quale affronta la problematica e le
conseguenze, da un punto di vista fiscale, del trasferimento di residenza all’estero.
Il contribuente in questione è un noto cantante italiano che, da qualche anno, ha
trasferito la residenza nel Regno Unito, a Manchester, e che aveva subito un accer-
tamento IRPEF, IRAP e IVA per l’anno 2007.
In particolare, l’Amministrazione considerava fittizio tale trasferimento e recuperava
a tassazione, secondo il principio della
worldwide income taxation
, tutti i redditi del
residente, ovunque prodotti nel mondo.Quest’ultimo, dopo aver ribadito
innanzitutto l’effettività del proprio trasferimento, sosteneva altresì che all’Am-
ministrazione Finanziaria era precluso, limitatamente agli imponibili rappresentan-
ti dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio, ogni
accertamento tributario per l’anno in questione avendo egli presentato, nelle date
30.04.2010, 10.05.2010 e 14.07.2010, dichiarazioni riservate delle attività emerse
ex art. 13 bis del D.L. n. 78 del 2009 (cd. Scudo fiscale-ter).
La Direzione Provinciale di Latina dell’Agenzia delle Entrate, con prov. prot. n.
2011/7017, comunicava l’inidoneità delle dichiarazioni riservate a produrre gli ef-
fetti preclusivi, c.d. estintivi, previsti dalla relativa disciplina, dal momento che,
alla data di presentazione delle stesse, risultavano già pendenti e note al contribuen-
te attività istruttorie finalizzate al controllo sostanziale della sua posizione fiscale.
Al contribuente, infatti, era già stato notificato un questionario a cui lo stesso,
tramite il proprio commercialista, aveva già fornito risposta con consegna di docu-
mentazione. Si tratta, di un particolare potere dell’Amministrazione Finanziaria,
che è stato recentemente rafforzato a seguito dell’entrata in vigore, nel 2006, del
cosiddetto decreto Bersani-Visco, con lo scopo di incrementare il patrimonio cono-
scitivo del Fisco. Il ricorrente eccepiva inoltre l’incompetenza, in capo alla Direzio-
ne regionale delle entrate del Lazio, a svolgere funzioni operative di accertamento,
ispezione e verifica. Nella sentenza viene, invece, riconosciuto il potere di effettua-
re indagini da parte della Direzione regionale delle entrate, sulla base del D. Lgs. n.
300/1999, con il quale sono state trasferite all’Agenzia tutte le funzioni, i poteri e
le competenze concernenti le entrate tributarie già spettanti al dipartimento delle
entrate. Relativamente a questo punto, il Collegio osservava che il ricorrente aveva
basato la sua difesa, principalmente, sulla asserita residenza in Manchester (U.K.),
per cui in Italia non aveva alcun obbligo fiscale, in base alla preclusione di ogni
accertamento tributario e contributivo stabilito dall’art. 14 del D.L. n. 350/2011,
convertito in L. n. 409/2001, richiamato dall’art. 13 bis, co. 5, D.L. n. 78/2009,
convertito in L. n. 102/2009.
Detta preclusione presuppone, oltre alla residenza all’estero del contribuente,
l’effettività della detenzione fuori del territorio dello Stato delle attività finanziarie
o patrimoniali indicate nella dichiarazione riservata fino al 31 dicembre 2008, non-
ché la circostanza che al contribuente stesso non sia stata già contestata la violazio-
ne degli obblighi dichiarativi della detenzione o della movimentazione delle attività
patrimoniali e finanziarie all’estero, e non siano iniziati accessi, ispezioni o verifi-
che o altre attività di accertamento fiscale.
Nella fattispecie oggetto della controversia, al contribuente viene contestata la
carenza di prova della sua residenza all’estero e l’inizio di attività di accertamento
fiscale a suo carico al momento delle dichiarazioni riservate. Circa il primo punto,
l’Ufficio ha ritenuto che il contribuente abbia sempre mantenuto la residenza in
Italia, con conseguente disconoscimento, nei confronti dello stesso, dei relativi
effetti premiali. Il contribuente sosteneva, con documentazione, di essersi trasferi-
to a Manchester (U.K.) il 10 febbraio 2006, ove ha acquistato un’abitazione,
stipulato un mutuo il cui pagamento avviene sul conto corrente acceso presso una
banca estera. Egli, ai fini del sistema impositivo inglese, risultava “poco residente”.
Nel nostro ordinamento manca una nozione di “non residente”, che dovrà, quindi,
essere desunta mediante un’interpretazione contraria della nozione di residenza, in
termini positivi, dall’art. 2, co. 2, TUIR. Il ricorrente non si è trasferito in uno dei
Paesi a regime fiscale privilegiato (c.d. paradisi fiscali), ma si è trasferito aManchester
(U.K.), per cui è onere dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare il carattere
soltanto formale e fittizio del trasferimento di residenza.
A ciò si aggiunga che, talvolta, potrebbe essere attraente il regime fiscale delle
persone fisiche residenti nel Regno Unito, ma domiciliate all’estero (
resident/non
domiciled – regime
), che possono optare per il regime della
source – based taxation
;
in tal modo, non sono tassati nel Regno Unito i redditi prodotti al di fuori di tale
Stato, ma viene meno la deducibilità degli oneri a carattere personale (
personal
income tax allowances
). Il ricorrente sostiene che la competenza per il controllo
della propria posizione fiscale sarebbe riconducibile all’ufficio di Roma dell’Agen-
zia delle Entrate, poiché il reddito più elevato prodotto in Italia tra il 2006 e il 2008
è costituito dalle royalties corrisposte dalla SIAE, con sede legale in Roma. Ai fini
di individuare il luogo in cui è effettivamente svolta l’attività economica, la norma
attribuisce, infatti, rilievo al luogo di svolgimento dell’atto o delle attività che
rappresentano la fonte dei redditi.
L’Ufficio contesta l’assunto difensivo, poiché la normativa richiamata dal con-
tribuente è applicabile ai soggetti effettivamente residenti all’estero ai fini fi-
scali, ma esso ha accertato che il trasferimento del contribuente all’estero è da
ritenersi fittizio e posto in essere al solo scopo di sottrarsi al pagamento delle
imposte per i redditi ovunque prodotti. Il Collegio rileva, che la cancellazione
dall’Anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’AIRE non sono
sufficienti a determinare l’esclusione della residenza fiscale nel territorio dello
Stato. Le risultanze anagrafiche hanno, infatti, solo valore presuntivo (Cass., n.
4829/1979). Diversa funzione ha l’iscrizione nell’AIRE. Detta iscrizione non
ha un’autonoma rilevanza sostanziale; per quanto è pur sempre possibile di-
mostrare che il contribuente è fiscalmente residente, in quanto non ha mai
perduto la residenza civilistica (Cass., n. 13803/2001; n. 10179/2003; n. 14434/
2010; C.T. Reg. Bari n. 132/2009).
Da una verifica di fatto, particolarmente complessa
, effettuata dall’Ufficio,
essendo possibile provare la residenza con ogni mezzo (C.T.P. Torino, Sez. XVIII,
n. 40/2009), il Collegio reputa che il ricorrente debba ritenersi fiscalmente residente
in Italia. La D.R.E., con un’indagine a largo raggio, anche a livello Europeo, ha
acquisito elementi di certezza obiettiva della permanenza stabile in Italia del contri-
buente e, precipuamente, nel domicilio di origine o ultimo a Latina, sede principale
dei suoi affari e interessi desumibile dalla concentrazione degli stessi, correlata al
suo comportamento, ai suoi rapporti morali, sociali e familiari e non solo economi-
ci. L’Ufficio ha dimostrato la sua residenza in Italia e, specificatamente, nel luogo di
produzione del reddito, per un periodo superiore a 183 giorni, quasi 250; la senten-
za n. 14434/2010, della Suprema Corte conferma la correttezza di tale impostazione.
Secondo la difesa del ricorrente, le dichiarazioni di terzi non proverebbero nulla,
perché la residenza abituale sarebbe a Manchester (U.K.), come testimonierebbero
le foto della festa di Capodanno versate in atti. Il Collegio osserva che il fatto di aver
trascorso, con amici, un Capodanno è assolutamente ininfluente ai fini
dell’individuazione della residenza. Non vi è, poi, doppia imposizione perché nel
Regno Unito egli ha dichiarato solo i redditi ivi percepiti, mentre non ha dichiarato
gli altri redditi, essendo un “poco residente”. Il Collegio successivamente ha esami-
nato le cause ostative di natura tributaria, relative a: “Inizio altre attività di accerta-
mento tributario di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza”, ricono-
scendole, nella fattispecie, pienamente esistenti ed operanti. Il concetto di “altre
attività” è certamente ampio e ricomprende una vasta tipologia di atti, come confer-
mato dalla circolare n. 85/E del 2001, emanata dall’Agenzia delle Entrate, la quale
ha, infatti, precisato che la locuzione “altre attività” include gli “inviti”, “le richie-
ste” e i “questionari”.
Nella stessa circolare è stato anche chiarito che l’effetto preclusivo alle operazioni
di emersione si verifica unicamente se gli inviti, le richieste e i questionari siano stati
notificati al contribuente, il quale solo in questo modo può prendere “formale
conoscenza” dell’attività ispettiva a proprio carico. Anche se il ricorrente contesta
l’esistenza di tale formale conoscenza del questionario, il fatto che lo stesso sia
stato notificato a Latina e che lo stesso, tramite il commercialista, abbia ad esso
risposto, conferma l’effettività del domicilio. Non ha, quindi, pregio l’eccezione del
ricorrente che la notifica di detto questionario dovesse essere eseguita a Manchester
(U.K.), luogo in cui egli aveva, asseritamente, spostato la propria residenza. Il
contribuente deduceva l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto
asseriva che la propria residenza fiscale si trovava nel Regno Unito, sia ai fini della
convenzione conclusa con tale Stato, sia ai sensi dell’art. 2, co. 2, TUIR, anche
interpretato in conformità all’ordinamento comunitario.
L’impianto difensivo, ad avviso del Collegio, non risulta confermato dalla docu-
mentazione in atti e, pertanto, non è accoglibile.
Ed, invero, il prospetto elaborato dall’Ufficio circa la presenza in Italia ed all’estero
del contribuente per gli anni 2006, 2007, 2008 è illuminante nella sua precisione;
risulta, infatti, che il ricorrente sia stato all’estero 56 giorni nel 2006, a fronte di
almeno 233 giorni trascorsi in Italia .
SEGUE DA PAGINA 16
Residenza fiscale e norme antielusive