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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
per presunzione assoluta residente in Italia.
Analogamente, il contribuente che pur essendosi cancellato dall’anagrafe della po-
polazione residente risulti aver mantenuto la propria dimora abituale o la sede
principale dei propri affari e interessi in Italia (ad esempio in seguito al rientro in
Italia) si considera ugualmente residente nel territorio dello Stato.
Dal punto di vista fiscale, l’iscrizione all’AIRE attesta e conferma la non residenza
in Italia, ma a differenza dell’iscrizione (che rappresenta una presunzione legale
inoppugnabile) nelle anagrafi dei residenti nello Stato, quella nell’anagrafe dei resi-
denti all’estero è pur sempre suscettibile di prova contraria: sia nel caso di simula-
zione, sia nel caso in cui il soggetto emigrato riassuma la residenza di fatto in Italia
prolungata per la maggior parte del periodo d’imposta.
Quindi, affinché un soggetto possa essere riconosciuto fiscalmente residente in Italia,
sarà sufficiente dimostrare la sussistenza in Italia anche soltanto del domicilio civilistico.
Interpretazione questa confermata, del resto, anche dalla pacifica giurisprudenza
della Corte di Cassazione, secondo la quale la semplice cancellazione dall’anagrafe
della popolazione residente per trasferire la residenza all’estero può non essere suf-
ficiente a far perdere lo
status
di residente sotto il profilo fiscale, qualora il soggetto
mantenga nel territorio nazionale i propri interessi (famiglia, proprietà, ecc.).
Gli Uffici Finanziari, dunque, nella propria attività accertativa, potranno comun-
que fornire la prova della fittizietà del trasferimento all’estero dimostrando la
sussistenza anche soltanto di uno di questi elementi. Uno dei principali elementi di
prova idonei a smentire la effettività del trasferimento di residenza all’estero e a
dimostrare quindi la sua simulazione, consiste nella produzione di documenti da cui
risulta la locazione di appartamenti all’estero. Secondo tale tipo di “difesa” il fatto
di avere un appartamento in locazione all’estero sarebbe condizione sufficiente a
far ritenere di avere all’estero una stabile abitazione e quindi anche la residenza
fiscale. Ma una tale conclusione confonde il concetto di residenza civilistica con
quello (più ampio) di residenza fiscale (che comprende anche il concetto di domici-
lio) e non è certamente in linea con le decisioni della Corte di Cassazione e della
maggior parte delle Commissioni Tributarie, che si sono pronunciate sull’argomen-
to in senso del tutto contrario. La stipula di un contratto di locazione, quindi, può,
al più, dimostrare la non residenza civilistica in Italia, ma mai l’assenza di domicilio
nel relativo territorio.
A tal riguardo, nella sentenza della Corte di Cassazione n. 4705/1989, si evince
come la semplice cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, per tra-
sferire la residenza all’estero, può non essere sufficiente a far perdere lo
status
di
residente sotto il profilo fiscale, qualora il soggetto mantenga nel territorio naziona-
le i propri interessi (famiglia, proprietà, ecc.). Nello stesso senso si esprime anche
la Circolare n. 304/E, secondo cui
la semplice cancellazione dall’anagrafe della
popolazione residente e la contestuale iscrizione in quella degli italiani residenti
all’estero (AIRE) non costituisce elemento determinate per escludere il domicilio o
la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di
prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici
. Pertanto, l’aver
stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l’aver fissato la propria residenza nel
territorio sono considerazioni sufficienti per integrare il concetto di residenza fisca-
le, indipendentemente dal mero requisito formale dell’iscrizione.
L’Amministrazione Finanziaria, chiamata a pronunciarsi
sul caso di un sog-
getto iscritto all’AIRE ed esercente attività di lavoro autonomo all’estero, si era già
uniformata a tale interpretazione, sostenendo che la residenza fiscale in Italia si
concretizza qualora la famiglia dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia
durante il periodo di attività all’estero o, comunque, nel caso in cui emergano atti o
fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato abbia qui mantenuto il
centro dei propri affari ed interessi (Cass., n. 13801/2001, 10179/2002, 14434/
2010 e n. 5382/2012).
L’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente è disciplinata dalla legge n.
1228 del 1954, e dal relativo Regolamento di attuazione 30 maggio 1989, n. 223.
Presupposto per l’iscrizione, ai sensi degli articoli 1 e 3 del Regolamento, è l’aver
stabilito nel Comune la propria dimora abituale o – per le persone senza fissa
dimora – l’aver stabilito nel Comune il proprio domicilio. Non cessano quindi di
appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in
altri Comuni o all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per motivi di
limitata durata. Con riguardo al secondo presupposto, la residenza, essa equivale
alla dimora abituale. La giurisprudenza civilistica ha sancito che la residenza è
determinata dalla abituale, volontaria dimora di una persona in un determinato
luogo, per cui risulta di fondamentale importanza il fatto oggettivo della stabile
permanenza in quel luogo.
In altri termini, la volontà si presume fino a prova contraria e ci si affida, in sede
probatoria, ad indici estrinseci, vale a dire al comportamento del soggetto, alle sue
abitudini di vita, ecc. Quindi la giurisprudenza civilistica ha considerato il domici-
lio, il luogo in cui un soggetto mantiene il centro dei propri interessi, intesi non solo
sotto il profilo economico e patrimoniale, ma anche morale e familiare, con riferi-
mento, tra l’altro , al consorzio di vita coniugale.
In particolare, viene evidenziato che questo concetto, pur presentando una situa-
zione di fatto costituita dall’avere una persona stabilito in un determinato luogo la
sede principale dei propri affari e interessi, consiste principalmente in una situa-
zione giuridica, caratterizzata “dalla volontà della persona di stabilire in quel luogo
la sede generale delle sue relazioni di natura morale e sociale, nonché dei propri
interessi economici”. La giurisprudenza tributaria ha mostrato di aderire alla conce-
zione allargata di domicilio consolidatasi in materia civilistica, onde l’ampio risalto
attribuito anche a elementi di chiara natura non patrimoniale.
In particolare, una pronuncia della CTR di Bologna ha riconosciuto l’esistenza della
sede principale degli affari e interessi nel territorio dello Stato e, quindi, la residenza
fiscale a un noto tenore, cittadino italiano, anagraficamente residente a Montecarlo,
sulla base di un insieme di circostanze: il possesso di numerose unità immobiliari
prevalentemente ubicate nel Comune di origine, l’effettuazione di rimesse di denaro
in Italia, il mantenimento di consistenti rapporti bancari con istituti creditizi locali,
l’essere in Italia il luogo natio delle figlie e l’avervi stabilito il suo nucleo familiare, ecc.
Più specificatamente, “la mole degli interessi mantenuti nel nostro Paese” in cui si
antepone la disponibilità nello Stato di un locale di modeste dimensioni, unita alla
mancata dimostrazione che il “suo domicilio fosse altrove”, apparirebbe tale “da far
ragionevolmente concludere” che il contribuente abbia mantenuto in Italia “il domici-
lio in tutti gli anni oggetto della controversia in questione”.
La stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o svol-
gere altra attività fuori dal comune di residenza, sempreché conservi in esso l’abita-
zione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni
familiari e sociali.
Per quanto riguarda l’elemento della volontà, la Cassazione ha esaminato anche il
caso di un soggetto che era stato costretto a vivere per un prolungato periodo di
tempo in Italia per motivi di salute e quindi senza aver scelto volontariamente la
residenza italiana. Il Supremo Collegio – ribadendo l’essenzialità del requisito della
volontà – ha escluso che tale volontà debba risultare da una manifestazione esplici-
ta del soggetto, concludendo che essa può essere presunta anche dalla protratta
permanenza del soggetto nel territorio dello Stato.
La residenza non viene meno
per una più o meno prolungata assenza, specie se
occasionata da motivi contingenti (villeggiatura, viaggi, studio, lavoro, ecc.),
sempreché la persona vi conservi l’abitazione, vi ritorni quando possibile o vi
mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.
Sicuramente, il fatto che i figli, o la moglie, risiedano in Italia è un indizio “impor-
tante” per poter affermare che un dato soggetto abbia in Italia il proprio centro di
interessi affettivi. Non si deve confondere il concetto di domicilio fiscale, corri-
spondente appunto al Comune di residenza anagrafica, con quello di residenza
fiscale. Il domicilio fiscale, infatti, rileva esclusivamente al fine di stabilire la sede
degli adempimenti operativi del contribuente (presentazione della dichiarazione,
ecc.) ed è cosa ben diversa dalla residenza fiscale, che l’Amministrazione Finanzia-
ria individua nel territorio italiano e non in una specifica città.
Il riferimento della residenza fiscale, dunque, è al territorio italiano, non al Comune.
L’art. 2 del TUIR infatti non corrisponde esattamente agli artt. 43 e seguenti del c.c.
Se è vero che il legislatore fiscale ha recepito le nozioni civilistiche di residenza e
domicilio, è anche vero, comunque, che ne ha modificato l’ambito di applicazione,
riferito non più, come fa l’art. 43 del c.c., al Comune, ma all’intero territorio dello
Stato. Va sottolineato, che tale interpretazione è stata già seguita dall’Amministra-
zione Finanziaria, che, nel caso di un soggetto iscritto all’AIRE ed esercente attività
di lavoro autonomo all’estero, ha affermato che la residenza fiscale in Italia si
concretizza qualora la famiglia dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia
o comunque nel caso in cui emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il
soggetto interessato ha qui mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi (vedi Ris.
14.10.1988 n. 8/1329).
Occorre pertanto effettuare una valutazione d’insieme dei rapporti che il soggetto
mantiene in Italia. Valutazione che, indipendentemente dalla presenza fisica e dalla
sola attività lavorativa, esplicata anche prevalentemente all’estero, permetta di
stabilire che la sede principale degli affari ed interessi si trova, in realtà, nel territo-
rio dello Stato italiano: perché, magari, in Italia, il soggetto dispone di una abitazio-
ne, mantiene una famiglia, accredita i propri proventi, dovunque conseguiti, possie-
de beni, anche mobiliari, partecipa a riunioni d’affari, riveste delle cariche sociali,
ecc. ecc. (vedi anche Circolare n. 304/E del 1997 e Circolare 9/E del 2001).
L’Ufficio, poi, potrà rafforzare la propria “ricostruzione” evidenziando le prove
che dimostrano che un soggetto ha operato o avuto il proprio centro di interessi in
Italia anche in periodi diversi da quelli oggetto di accertamento.
Come affermato anche dalla giurisprudenza di merito, infatti, (vedi per tutte CTP
di Perugia n. 628 del 2000), ai fini della dimostrazione della effettiva sussistenza
della residenza fiscale in Italia in un determinato periodo di imposta, possono
essere presi in considerazione anche i rapporti intrattenuti in periodi pregressi o
successivi al periodo in esame.
E questo anche alla luce del principio “di sistema” ricavabile dall’’art. 1142 del c.c.
(presunzione di possesso intermedio). La portata letterale dell’articolo 2, D.P.R.
597/1973 consentiva, di ritenere che il periodo di permanenza nel territorio per
oltre sei mesi poteva anche non essere continuativo. Oggi, invece, è la dimora
abituale che deve essere stabilita in Italia per la maggior parte del periodo d’impo-
sta. Riguardo alle concrete modalità di calcolo dei giorni di presenza si rinvia a
quanto affermato dalla Circolare n. 201/1996.
Detta circolare ha recepito il criterio della “presenza fisica”, come codificato nel
commentario all’articolo 15 del Modello OCSE di convenzione del 1992. Ciò che
bisogna sottolineare è dunque il valore presuntivo della ricostruzione effettuabile
dall’Ufficio: i singoli elementi di fatto, presi uno ad uno, possono anche risultare
privi di idonea valenza probatoria. Ma certamente la “prospettiva” cambierà se tali
elementi vengono analizzati complessivamente, come singoli tasselli di una situa-
zione di insieme.
Per l’Amministrazione Finanziaria la caccia
ai cittadini italiani fittiziamente
emigrati all’estero costituisce obiettivo rilevante al fine di perseguire, nel concreto,
Residenza fiscale e norme antielusive
SEGUE DA PAGINA 14
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