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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE
MARIANNA MAZZON *
Ordine di Treviso
Residenza fiscale e norme antielusive
sul trasferimento della stessa all'estero
SEGUE A PAGINA 15
I
L DIRITTO TRIBUTARIO INTERNAZIONALE “è il settore del diritto
tributario costituito da norme fonte interna, ma relative a fattispecie con
elementi di estraneità che generano il reddito transnazionale”.
Nell’espressione “diritto tributario internazionale” l’aggettivo internaziona-
le è adottato come qualifica ulteriore del diritto tributario (interno). Infatti,
essendo il diritto interno ordinariamente contrapposto al diritto internazionale,
allora le norme interne che regolano materie e questioni internazionali sono qualifi-
cate come “internazionali” in ragione della materia da esse disciplinata.
Nel diritto tributario, con il termine di residenza, si può intendere un genere di
appartenenza ad un determinato territorio: tale genere
si compone di diverse specie, giuridicamente rilevanti,
a seconda del più o meno legame con il territorio. L’or-
dinamento italiano contempla una differente modalità
di determinazione dell’obbligazione tributaria in ragio-
ne del fatto che, alla luce dei criteri di collegamento di
ordine spaziale enunciati nell’art. 2 del TUIR, il sog-
getto possa qualificarsi o meno residente nel territorio
dello Stato. L’art. 2 del D.P.R. n. 917 del 1986, indica,
quali residenti ai fini delle imposte sui redditi, “le per-
sone che per la maggior parte del periodo d’imposta
sono iscritti nelle anagrafi delle popolazioni residenti o
hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residen-
za ai sensi del codice civile”, ovvero, rispettivamente,
il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale
dei suoi affari ed interessi, nonché il luogo in cui la
persona ha la dimora abituale.
Ne deriva che sono residenti all’estero coloro che non
abbiano in Italia né l’iscrizione anagrafica in uno dei comuni della Repubblica, né la
dimora abituale, né la sede dei propri affari ed interessi. Inoltre, l’art. 2, co. 2 del
TUIR introduce un ulteriore criterio di carattere temporale in aggiunta a ciascuno
dei su esposti criteri alternativi, in quanto considera residenti in Italia solo le
persone fisiche che per la maggior parte dell’anno, ossia per un periodo di almeno
183 giorni (184 per gli anni bisestili), rientrano in una delle seguenti ipotesi:
– Soggetti iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del
periodo d’imposta;
– Soggetti non iscritti nelle anagrafi, che hanno nello Stato, il domicilio (inteso come
luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi)
per la maggior parte del periodo d’imposta;
– Soggetti non iscritti nelle anagrafi, che hanno nello Stato, la residenza (inteso
come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale) per la maggior parte del
periodo di imposta.
L’art. 10, co. 1 della legge n. 448 del 1998, ha provveduto ad integrare i criteri fissati
dall’art. 2 del D.P.R. n. 917 del 1986, introducendo il co. 2 bis stabilendo che ai fini
fiscali si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati
dalle anagrafi della popolazione residente e emigrati in Stati o Territori aventi un
regime fiscale privilegiato, definiti con apposito decreto ministeriale.
Se dunque un soggetto ha trasferito la propria residenza in un cosiddetto “paradiso
fiscale”, si inverte l’onere della prova: sarà comunque considerato fiscalmente resi-
dente in Italia, salvo prova contraria (questa volta però a suo carico e non a carico
dell’Amministrazione).
Certamente, in armonia con la normativa vigente
, la qualifica di residente
comporta l’imposizione in Italia anche dei redditi prodotti all’estero nell’intero
periodo d’imposta, compresa la frazione in cui la qualifica di residente non sussi-
steva. A tal proposito, la relazione ministeriale illustrativa del nuovo art. 2 spiega
che la sua parziale riformulazione è stata resa necessaria allo scopo di meglio
assolvere la funzione che consiste nell’accertare “ai fini dell’obbligo della dichiara-
zione e dell’esercizio del potere di accertamento, il presupposto dell’obbligazione
tributaria di periodo ed è perciò necessario precisare per quanta parte del periodo
deve sussistere la condizione richiesta: non soltanto la dimora ma anche la residen-
za anagrafica e il domicilio.
Ciò distingue e caratterizza l’attuale sistema di tassazione dal precedente art. 2, co.
2, D.P.R. n. 597 del 1973, a monte del quale assumevano la qualifica di residenti
“oltre alle persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, coloro che
hanno nel territorio dello Stato la sede principale dei loro affari e interessi o vi
dimorano per più di 6 mesi all’anno …”.
Il riferimento temporale relativo all’iscrizione anagrafica va verificato tenendo con-
to anche di un legame effettivo con lo Stato italiano. Questo concetto di legame
effettivo è stato ampiamente illustrato dalla circolare ministeriale n. 304/E del 2
dicembre 1997, e sussiste qualora la persona abbia mantenuto in Italia i propri
legami familiari o il centro dei propri interessi patrimoniali e sociali.
Sembra necessario non limitare l’analisi alla sola normativa tributaria interna ma
estenderla anche a quella di fonte convenzionale, che prevale sulla prima nel caso in
cui il conflitto di potestà impositiva sulle fattispecie reddituali transnazionali sorga
con un Paese legato all’Italia da un Trattato contro la doppia imposizione.
Con il trasferimento di residenza dall’Italia all’estero, l’onere dell' iscrizione all’AIRE
per il contribuente rappresenta una condizione necessaria per far valere il trasferi-
mento stesso, anche se non sufficiente, giacché essa deve pur sempre corrispondere
alla situazione effettiva. Per questa ragione sembra del tutto inappropriato parlare
di prevalenza della forma sulla sostanza in relazione al
concetto fiscale di residenza, come ha di recente fatto la
Suprema Corte.
Per quel che concerne il domicilio, ai fini civilistici si
sottolinea generalmente la composizione sulla base di
un elemento oggettivo, dato dalla concentrazione di af-
fari ed interessi in un determinato luogo, e di uno sog-
gettivo, consistente nell’intenzione di operare tale con-
centrazione, manifestata espressamente dalla persona
o desumibile dal suo stesso comportamento secondo
una comune valutazione sociale. La residenza, nel dirit-
to tributario, svolge il compito di determinare se l’ob-
bligo di contribuire alle spese pubbliche da parte di un
soggetto debba calcolarsi su base così detta territoriale
oppure su base così detta mondiale.
È noto, infatti, che per tassazione territoriale si intende
l’esercizio, da parte di uno Stato, della sovranità
impositiva solo sui redditi da chiunque prodotti nel-
l’ambito del proprio territorio, mentre per tassazione mondiale si intende l’eserci-
zio della sovranità impositiva anche sui redditi prodotti al di fuori del territorio
dello Stato da parte di coloro (i residenti) che hanno, un collegamento di natura
personale.
La nostra Costituzione, nel cristallizzare con l’art. 53 che “tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, estende
la giurisdizione statuale in materia tributaria anche nei confronti di quanti, pur privi
della cittadinanza italiana, si pongono in un rapporto di connessione con il suo
Territorio divenendo fruitori dei pubblici servizi ai quali dovranno contribuire.
Il criterio dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente è di agevole veri-
fica, essendo basato su un mero requisito formale riscontrabile mediante registri
anagrafici tenuti da ciascun comune. In tali registri sono annotate le generalità delle
persone che, in un determinato momento, vivono in tale comune. Essi sono aggior-
nati d’ufficio ogni qual volta il soggetto interessato comunichi, per altro obbligato-
riamente, un mutamento rilevante ai fini anagrafici.
Ai fini dell’iscrizione nei registri anagrafici
non rileva quindi necessariamente
la sussistenza della capacità contributiva; l’iscrizione è infatti un atto di natura
amministrativa che prescinde dalle situazioni di fatto del contribuente, cosicché
può accadere che un soggetto pur rimanendo iscritto nell’anagrafe della popolazio-
ne residente sia, in realtà, assente dall’Italia in quanto domiciliato all’estero per
l’intero periodo d’imposta. Tale soggetto, ai sensi dell’art. 2, TUIR, è comunque
considerato fiscalmente residente in Italia. Per contro la mera cancellazione dalle
liste anagrafiche con la conseguente iscrizione all’anagrafe degli italiani residenti
all’estero (AIRE), non è di per sé sufficiente a dimostrare la non residenza fiscale
italiana. Per meglio comprendere la portata del richiamo dell’art. 2 TUIR sembra
opportuno premettere alcune considerazioni sui concetti di domicilio e residenza
nella normativa civilistica. Come già accennato, ai fini dell’assunzione della qualità
di residente deve manifestarsi, nell’arco temporale minimo richiesto, almeno una
delle seguenti condizioni:
- Iscrizione anagrafica;
- Il domicilio, ossia la sede principale degli affari e interessi (art. 43, co. 1, del c.c.);
- La residenza, da intendersi, secondo la definizione datane dall’art. 43, co. 2, del
c.c., come luogo di dimora abituale della persona entro i confini nazionali.
Affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente è sufficiente però che
sussista anche uno soltanto dei requisiti previsti dalla norma. Così, ad esempio, il
soggetto che abbia stabilito la propria dimora abituale all’estero pur non avendo
provveduto a cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente è considerato
* Elaborato presentato per il Concorso per Borse di Studio indetto dall’UGDCEC di Treviso