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NUMERO 220 - LUGLIO / AGOSTO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
re illimitatamente, abbiano assunto la responsabilità
illimitata solidale verso i terzi in tutte le obbligazioni
sociali e, pertanto, il fallimento della società in acco-
mandita semplice deve essere esteso anche
all’accomandante che si è ingerito dell’amministra-
zione della società.”
I soci accomandatari possono, comunque, prestare la
loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se
l’atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni per
determinate operazioni e compiere atti di ispezione e
sorveglianza. L’interesse principale tutelato dall’art.
2320 c.c. è il principio di tipicità previsto dall’art.
2249 c.c., propria della tipologia di società.
Nel caso concreto, spesso, non è agevole individuare e
provare “l’immistione dell’accomandante”, quali atti
che determinano la perdita di responsabilità? Anche in
caso di svolgimento di attività secondo procura spe-
ciale è ravvisabile ingerenza nell’amministrazione? La
questione è definire il concetto di compimento di atti
di amministrazione.
La giurisprudenza e la prassi hanno trattato situazioni
in cui è ravvisabile l’immistione nella gestione da parte
del socio, tipicamente, limitatamente responsabile. Si
ripropongono di seguito alcuni interventi
giurisprudenziali che trattano di casi relativi ad inge-
renza dell’accomandante:
Tribunale di Padova 17/09/2013
(Delega bancaria):
L’accomandante può operare mediante delega, tale at-
tività deve essere ben specificata, in quanto la genera-
lità e l’indeterminatezza comportano di per se stesse
l’attribuzione di poteri implicanti scelte che spettano
esclusivamente all’accomandatario e che se compiuti
dall’accomandante, si traducono in un’indebita inge-
renza nell’amministrazione della società. Il
conferimento della delega bancaria si pone in contra-
sto con il divieto di ingerenza ex art. 2320 c.c., a meno
che l’accomandante non dimostri che l’attività delega-
ta o quella concretamente posta in essere, non si risol-
va in un atto gestorio vietato. Nel caso di specie,
l’accomandante era stato delegato a compiere
disgiuntamente qualsiasi operazione sul conto corren-
te, nonché pieno utilizzo dell’affidamento concesso
dalla società. In tale situazione, anche se sia stato at-
tribuito all’accomandante il potere di compiere deter-
minati affari, non è comunque compatibile, con il di-
vieto dell’art. 2320 c.c., la delega della gestione di un
settore dell’attività societaria che comporti autonome
scelte di indirizzo economico finanziario, in ogni caso,
condizionano le scelte spettanti all’accomandatario.
In detta ipotesi assume rilievo l’omogeneità degli atti
plurimi, quanto la determinatezza dell’affare, nel sen-
so di una sua specifica individuazione, al fine di verifi-
care se i poteri conferiti non implichino un’ingerenza
dell’accomandante nella gestione.
Cassazione n. 1348 del 3/06/2010
(
Concessione di
garanzie e prelievo di fondi dalle casse sociali): “Con
riguardo all’immistione dell’accomandante di s.a.s.
nella gestione sociale, prevista dall’art. 2320 c.c., e da
cui consegue l’estensione al socio del fallimento della
società ex art. 147 L.F., la Corte ha ritenuto che la
prestazione di garanzie e il prelievo di fondi dalle
casse sociali per le esigenze personali e non, non inte-
grano atti di ingerenza nell’amministrazione
”. Infatti,
la prestazione di garanzia attiene evidentemente solo
al momento esecutivo delle obbligazioni, quindi non è
un atto di gestione come, invece, sarebbe l’assunzione
dell’obbligazione. Inoltre, il prelievo di somme di de-
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Cassazione civile 01/07/2008
naro, anche indebite, dalle casse sociali non costituisce
di certo un atto di gestione della società.
Cassazione civile sez. I del 19/12/2008
(due procu-
re speciali aventi ad oggetto ampie deleghe): “Nella
s.a.s., il socio accomandante che, avvalendosi di pro-
cura conferente ampio ventaglio di poteri, compie atti
di amministrazione, interna o esterna, ovvero tratta o
conclude affari della gestione sociale, incorre, a norma
dell’art. 2320 c.c. nella decadenza della limitazione di
responsabilità, la quale, in attuazione del principio di
tipicità di cui all’art. 2249 c.c., è volta ad impedire che
sia perduto il connotato essenziale di tale società, co-
stituito dalla spettanza della sua amministrazione, ai
sensi dell’art. 2318 c.c., al socio accomandatario; ne
consegue che il fallimento della predetta società va
esteso ex art. 147 L.F. anche all’accomandante a cui
siano state conferite due procure, denominate speciali
ma talmente ampie da consentire l’effettiva sostitu-
zione dell’amministratore, nella sfera delle delibere di
competenza di questi.”
Per l’estensione del fallimento al socio accomandante si
deve rispettare il limite temporale previsto dall’art. 147
comma 2 L.F.? La questione in oggetto ha determinato
orientamenti dottrinali e giurisprudenziali differenti.
Da un lato, c’è chi sostiene la tesi di applicazione del
limite temporale: il Tribunale di Treviso, con sentenza
del 19/12/2013 ha dichiarato inammissibile il ricorso
del curatore per l’estensione del fallimento
all’accomandante di una s.a.s, ingeritosi nell’ammini-
strazione, in quanto è stato presentato decorso il ter-
mine di un anno dalla dichiarazione di fallimento. In-
fatti, con la dichiarazione di fallimento, “
regolarmen-
te portata a conoscenza dei terzi con l’iscrizione pres-
so il Registro delle Imprese, il curatore ha assunto
l’amministrazione del patrimonio ex art. 31 L.F., ed è
senz’altro cessata la responsabilità illimitata del so-
cio accomandante ingeritosi nell’amministrazione.”
Tutto ciò è legato al principio di tutela dei terzi e della
certezza delle situazione giuridiche. Quindi viene ap-
plicato il limite temporale utilizzato ed introdotto dal-
la riforma D.Lgs. 5/2006 previsto per l’ex socio.
La giurisprudenza di merito ha mostrato, in diverse
occasioni, di aderire, invece, all’orientamento favore-
vole all’assoggettabilità del socio accomandante che
abbia violato il divieto di immistione senza limiti di
tempo:
“il socio accomandante che ha violato il divie-
to di immistione, non può invocare a suo favore il
termine annuale, perchè il compimento degli atti ge-
stori di fatto non consente ai terzi di conoscere né
l’inizio né la cessazione della sua attività di socio di
fatto.(Tribunale di Padova 8/02/2006)”.
Tale tesi si
ricollega all’interpretazione, vista sopra, per le società
occulte ed irregolari.
Inoltre, il fallimento della società di persone non de-
termina lo scioglimento del vincolo sociale, poiché
l’esclusione di diritto del socio che sia dichiarato falli-
to, ex art. 2288 c.c., applicabile alle società di fatto,
tende a preservare la società
in bonis
dagli effetti
dell’insolvenza personale del socio e non opera, quin-
di, nell’ipotesi in cui il fallimento del socio sia effetto
di quello della società, in forza della responsabilità
illimitata
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.
Anche la Suprema Corte con la sentenza n. 22246 del
7/12/2012 ha stabilito che il limite temporale di cui
all’art. 147 comma 2 L.F.,
“è posto in funzione della
limitazione del rischio di fallimento dell’imprenditore,
per il tempo posteriore alla cessazione dell’attività
d’impresa, o della sua partecipazione alla società com-
merciale e non si connette né all’inizio dell’attività né
all’inizio della responsabilità del socio, ancorchè oc-
culto. Occorre, poi ricordare che la dichiarazione di
fallimento non è causa di estinzione della società, né
del rapporto sociale. L’accomandante che, ingeren-
dosi nella gestione della società, perda il beneficio
della limitazione della sua responsabilità alla quota
conferita, rimane dunque socio illimitatamente respon-
sabile della società, sino a quando non intervenga una
causa di estinzione del rapporto sociale. Solo da quel-
la data, e anzi dalla data della relativa iscrizione nel
Registro delle Imprese, decorrerebbe il termine an-
nuale di decadenza per la dichiarazione di fallimento,
ma nella specie non si allega l’esistenza di un fatto
estintivo del rapporto sociale. Non ricorrono, dun-
que, i presupposti di applicabilità del principio, invo-
cato nel ricorso, enunciato dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 319/2000, che ha sancito l’illegittimi-
tà costituzionale dell’art. 147 L.F. primo comma, nella
parte in cui prevede che il fallimento della società pro-
duce il fallimento dei soci illimitatamente responsabili,
pur dopo che sia decorso un anno dal momento in cui
costoro abbiano perso per qualsiasi causa la respon-
sabilità illimitata”.
L’applicazione o meno del limite temporale è una que-
stione rilevante in particolare se l’iniziativa del proce-
dimento sia del curatore. Spesso, l’operato della cura-
tela non è agevole, in molti casi non ha disposizione
tutta la documentazione, la contabilità risulta
frammentaria o non completa, i dati non sono aggior-
nati oppure si riesce a recuperare tutte le informazioni
diversi mesi dopo la data di dichiarazione del fallimen-
to. Può succedere, pertanto, soprattutto in procedure
complesse, che il curatore riesca ad avere gli elementi
di prova dell’immistione nella gestione del socio
accomandante, con successivo avvio del procedimen-
to di estensione, anche dopo un anno dalla data di
fallimento. Quindi l’interpretazione di “non termine”
rende possibile per il curatore richiedere l’estensione
del fallimento dell’accomandante che non ha rispetta-
to il divieto di immistione, anche dopo un anno dalla
data di fallimento della società.
L’estensione del fallimento, oltre ad essere importante
da un punto di vista di acquisizione nella procedura
del patrimonio del socio, determina conseguenze an-
che da un punto di vista penale. Il socio accomandante
che diventa illimitatamente responsabile è perseguibile
per reati fallimentari. La Cassazione, però, con sen-
tenza del 29/09/2011, ha previsto che
“la mancata
estensione della dichiarazione di fallimento non esclu-
de la responsabilità del socio accomandante che ab-
bia violato il divieto di immissione nell’attività ammi-
nistrativa quale concorrente nel delitto di bancarotta
fraudolenta ascritto all’accomandatario, essendo suf-
ficiente ai fini della lesione del bene giuridico tutelato
dalla norma penale, enunciata dall’art. 216 L.F., lo
svolgimento di attività amministrativa, anche attra-
verso i contatti con i clienti dell’impresa.”
3.1 CONCLUSIONI
Il D.Lgs. n. 5/2006 ha riformato la disciplina prece-
dentemente contenuta nell’art. 147 L.F., con
l’accoglimento di orientamenti della dottrina e della
giurisprudenza ampiamente diffusi.
In primo luogo ha specificato l’ambito del fallimento
per estensione: il fallimento della società determina il
fallimento anche dei soci illimitatamente responsabili.
Inoltre ha introdotto un nuovo comma, il secondo, per
il fallimento in estensione dell’ex socio, recependo così
quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Costitu-
zionale del 30/06/2000. Il nuovo art. 147 L.F. ripropone
l’estensione nel caso in cui, dopo la dichiarazione di
fallimento, risulti l’esistenza di altri soci illimitata-
mente responsabili.
Si possono, però, ancora riscontrare problematiche ed
orientamenti discordanti in merito all’estensione del
fallimento all’accomandante, in particolare con riferi-
mento all’applicazione del termine annuale di cui al
comma 2 dell’art. 147 L.F. ed alla definizione di
“immistione nell’amministrazione.”
Estensione del fallimento
ai soci di s.a.s.