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NUMERO 219 - MAGGIO / GIUGNO 2014
IL COMMERCIALISTA VENETO
Antipedofilia e volontariato
È
ENTRATOINVIGOREDAQUALCHEMESE il Decreto legisla-
tivo n. 39 del 4 marzo 2014 che, in attuazione di una direttiva
comunitaria, prevede alcune norme relative alla lotta contro l’abu-
so e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile: in
particolare, il testo di legge individua l’obbligatorietà, per chi lavora a
contatto con i minorenni, di produrre, al proprio datore di lavoro, il
certificato penale.
Quindi,
qualunque datore di lavoro che impiega una persona per lo
svolgimento di attività che comportino contatti diretti e regolari con
minori deve richiedere al lavoratore il certificato del casellario giudiziale.
Non voglio entrare nel merito delle specifiche tecniche e della validità o
meno di questo decreto che, comunque, ha delle nobilissime intenzioni,
quanto nella sua applicazione pratica che, come spesso accade, per
una italianissima abilità, viene distorta.
Entriamo, dapprima, nello specifico del Decreto legislativo 30/2014, che,
in attuazione di una Direttiva europea in materia di lotta contro l’abuso
e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, prescri-
ve che il
“soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per
lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organiz-
zate che comportino contatti diretti e regolari con minori deve ri-
chiedere, prima di stipulare il contratto di lavoro e quindi prima del-
l’assunzione al lavoro, il certificato del casellario giudiziale della
persona da impiegare, al fine di verificare l’esistenza di condanne
per taluno dei reati di cui agli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater,
600 quinquies e 609 undecies del codice penale, ovvero l’irrogazione
di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino con-
tatti diretti e regolari con minori”
.
Gli articoli citati riguardano, nello specifico, i reati per pornografia e
prostituzione minorile, correlati, pertanto, alla pedofilia.
Una circolare del Ministero della Giustizia, uscita nell’imminenza del-
l’entrata in vigore della norma, ha chiarito che l’obbligo non grava
“su
enti e associazioni di volontariato pur quando intendano avvalersi
dell’opera di volontari”
.
Sono pertanto da ricomprendere in questo ambito tutti i soggetti del
terzo settore (associazioni di promozione sociale, volontariato, cultura-
li, onlus, associazioni e società sportive dilettantistiche) che svolgono
attività rivolte ai minori tramite volontari o soggetti (sportivi dilettanti)
che percepiscono i compensi di cui all’art. 67, primo comma lett. m) del
TUIR (a tal proposito si vedano anche i chiarimenti forniti dal CONI, sul
proprio sito, venerdì 4 aprile ).
Da ciò ne consegue che, per la concreta attuazione del Decreto legisla-
tivo 39/2014, non decorre l’obbligo di presentazione del certificato pe-
nale da parte di chi opera nell’ambito di associazioni e società sportive
dilettantistiche (istruttori, tecnici, accompagnatori e dirigenti) con i quali
non si sia configurato un rapporto di lavoro autonomo o subordinato.
E, per l’appunto,
“… le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di
spesa, i premi e i compensi erogati nell’esercizio di attività sportive
dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dal-
l’Unione per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di
promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denomi-
nato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia
riconosciuto…”
, (art. 67, comma 1, lett. m) del TUIR, come disciplinato
dall’art. 25 della Legge 13 maggio 1999, n. 133, successivamente modi-
ficato dall’art. 37, comma 2, Legge 21 novembre 2000, n. 342, cosiddetti
“collaboratori sportivi ex “legge Pescante”) non configurano un rap-
porto di lavoro autonomo o subordinato.
FILIPPO CARLIN
Ordine di Rovigo
Alcune riflessioni critiche riguardo la c.d. Legge Antipedofilia in relazione alla sua
applicazione nei confronti delle Associazioni sportive e di volontariato
É di tutta evidenza che la norma manifesta subito una lacuna enorme:
aldilà di coloro che hanno contatti “professionali” con i minori (ovvero
insegnanti, operatori scolastici, autisti, medici, ecc.) che ne è di tutti
coloro che si occupano dei più piccoli per motivi “sociali” ?
Chi più degli allenatori e dei dirigenti delle associazioni sportive dilet-
tantistiche è a contatto con i bambini?
Chi è vecchio di sport – ed io lo sono – ricorda benissimo che, quan-
d’eravamo ragazzini, erano consuete le “voci” riguardo il tal magazziniere
o il tal dirigente che amava “girare” per gli spogliatoi quando facevamo
la doccia… noi eravamo, per l’appunto, dei piccoli, dei
bocia
, e la cosa
ci faceva solo sorridere ed era motivo di scherno.
Probabilmente no, era un reato.
Come fare, allora, per il rispetto della norma, da una parte – che a segui-
to della citata circolare risulta assolutamente monca – e, dall’altra, per
non gravare leASD di carichi amministrativi (e di costi…) che per molte
piccole realtà potrebbero essere un effettivo problema?
Le soluzioni non sono semplici.
Se da un lato, infatti, la logica ed il buon senso (il mio) mi porterebbero
a dire che la norma dovrebbe essere applicata nei confronti di tutti
coloro che, sotto diversi aspetti, si occupano di minori – anche se
volontari appartenenti ad associazioni – dall’altra capisco il grosso
onere, non solo economico, che andrebbe a gravare su enti che opera-
no su basi assolutamente spontanee.
Si potrebbe innanzitutto prevedere – anzi le ASD potrebbero, tramite il
CONI, pretendere – l’esenzione dall’imposta di bollo e dai diritti di
segreteria (circa una ventina d’euro complessivi) per chi richiede il
certificato penale
“ad uso sportivo o di volontariato”
, con la possibi-
lità che tale certificato possa essere prodotto in maniera cumulativa per
singola associazione (problemi di privacy? ndr) oppure di delegarne la
richiesta alle Federazioni sportive o agli enti di promozione sportiva al
momento del tesseramento di un dirigente o di un istruttore.
Oppure, diciamo apertamente che è una norma dai nobili principi
ispiratori, ma che risulta inapplicabile appieno, oppure che risulta
applicabile appieno solamente ad una determinata platea di operatori,
lasciando scoperto un intero settore, dove i controlli sono sicuramente
minori – parliamo infatti di attività di volontariato – ed i problemi e le
casistiche di abuso, purtroppo, con una maggiore probabilità di
accadimento.
Oppure, diciamo, con estremo dispiacere e disappunto, che una delle
tante cose fatte
“all’italiana…”
.
filippocarlin@studiocla.it