Page 11 - CV_219

Basic HTML Version

NUMERO 219 - MAGGIO / GIUGNO 2014
11
IL COMMERCIALISTA VENETO
dall’impresa, in altre parole, quanto si paga per
acquistare un euro di fatturato dell’impresa.
– il
Price/Book Value
che mette in rappor-
to il prezzo del titolo con la quota di patrimonio
netto ascrivibile alla singola azione.
Un’accurata analisi fondamentale deve fare affi-
damento anche sulla conoscenza di alcuni dati
estrapolabili dal bilancio della società, come i
margini di redditività, l’indebitamento a lungo
termine, i dividendi e gli indicatori di efficienza.
1.3.
L’analisi tecnica
Mentre l’analisi fondamentale si fonda su un ap-
proccio che può essere definito di tipo scientifi-
co-economico, l’analisi tecnica si fonda maggior-
mente su quelle che potrebbero essere considera-
te le componenti di natura psicologica caratteriz-
zanti l’andamento del mercato azionario. Infatti,
ciò che non viene colto con l’applicazione del-
l’analisi fondamentale che predilige metodi stati-
stici, contabili ed econometrici, viene colto dal-
l’analisi tecnica. Quest’ultima cerca, infatti, di de-
scrivere quelle che sono le tendenze nei prezzi dei
titoli quotati. Naturalmente si può comprendere
come tale analisi venga maggiormente applicata
dagli analisti finanziari che si raffrontano con la
valutazione dei titoli azionari delle società quotate
nei mercati regolamentati.
L’analisi tecnica non si preoccupa del perché il
prezzo di un titolo cambia nel tempo, ma del come
cambia. In particolare, mira a individuare i caratteri
costanti delle sue oscillazioni, chiamate
trend
o
tendenze di mercato.
Dopo aver riassunto i concetti chiave correlati
alla valutazione teorica di un titolo azionario, nel
capitolo successivo verrà introdotta la discipli-
na relativa alla valutazione empirica del valore
attribuito alle azioni.
CapitoloII
METODI DI VALUTAZIONE
DEI TITOLI AZIONARI A CONFRONTO
2.1.
Il “dividend-discount model”
La difficoltà di definire il valore di mercato di una
qualsivoglia azienda venne affrontata nella pri-
ma metà del Novecento per la prima volta dallo
studioso americanoWilliams giungendo alla con-
clusione che il valore di un’azienda dovesse es-
sere calcolato sulla base dei dividendi attesi in
futuro. All’epoca, la configurazione di tale ipote-
si che si sviluppava in maniera sistematica attra-
verso una serie di formule concatenate tra loro,
come vedremo in seguito, risultava avere un im-
patto estremamente rivoluzionario
5
.
Con l’approfondimento della materia da parte di
altri due economisti americani, Gordon e Shapiro
6
,
nella seconda metà del Novecento la stessa teo-
ria venne in seguito implementata e tradotta in
un vero e proprio modello noto come il “Gordon
growth model” ovvero altrimenti detto
dividend-discount model”
7
.
Come si avrà modo di capire, diversi sono gli
aspetti che generano divergenze di opinioni in
merito alla stima del valore di un’azienda e con-
seguentemente di quello delle azioni che ne rap-
presentano il suo patrimonio, attraverso un mo-
dello che si basa sull’attualizzazione dei suoi di-
videndi. Nella valutazione dei titoli, infatti, sem-
bra controversa la scelta dei
cash flow
ai quali ci
si deve riferire per ottenere la stima del prezzo.
Da un lato, si potrebbe considerare il valore at-
tuale di tutti i dividendi futuri, ammesso che ven-
gano pagati dalla società. Dall’altro invece, il va-
lore attuale della somma dei dividendi percepiti
fino al momento di alienazione del titolo e del
relativo prezzo di vendita, in ipotesi di completa
liquidabilità dell’investimento. In realtà il dilem-
ma si risolve nell’ammissione di correttezza di
entrambe le vie. Questo accade perché i risultati
si equivalgono, dato che il guadagno in conto
capitale registrato con la vendita del titolo, è
ricavabile algebricamente dalla stima dei dividendi
attesi in futuro.
Supponiamo, a titolo di esempio, che il succeder-
si delle operazioni di compravendita di un titolo
si esaurisca nell’orizzonte temporale di un anno.
In questo caso si potrebbe esprimere il prezzo di
un’azione nel seguente modo:
P 0 = Div 1 + P 1
1 + r 1 + r
Si sommano quindi il dividendo pagato alla fine
dell’anno 1 e il prezzo di cessione al termine dello
stesso anno, entrambi attualizzati ad un tasso (r)
che rispecchi adeguatamente il livello di rischio-
sità dell’investimento. Si può considerare poi che
P1
venga determinato allo stesso modo, som-
mando i valori attualizzati al tempo 1 del dividen-
do dell’anno 2 e del prezzo di vendita sempre al
termine dello stesso anno, e che anche P2 venga
calcolato analogamente. Se si perpetua questo
procedimento all’infinito, potremmo, con le ade-
guate sostituzioni dei termini all’interno della for-
mula di partenza, approdare ad una formula che
eguaglia il prezzo dell’azione (P0) al valore attua-
le di tutti i suoi dividendi futuri.
Si è appena introdotto il principio su cui si fonda
il “
dividend-discount model
”, che, come si evince
anche dal termine, si basa sul valore attuale dei
dividendi attesi per determinare il prezzo di
un’azione.
Il modello è applicabile anche se il livello dei suc-
cessivi pagamenti agli azionisti risulta essere di-
verso a seconda delle differenti situazioni
aziendali. Per poter semplificare le dinamiche che
il flusso dei dividendi potrebbe assumere in fu-
turo si possono delineare alcuni schemi tipici di
crescita: la necessità di distinguere varie ipotesi
caratterizzate da differenti tassi di crescita, infat-
ti, scaturisce proprio dalla difficoltà stimatoria
dei dividendi futuri e, soprattutto, del tasso di
incremento assunto dagli stessi.
* Un primo caso è quello che prevede la
distribuzione da parte di una società di dividendi
di ammontare costante nel tempo. La crescita che
viene ipotizzata, quindi, è nulla e il valore di
un’azione risulta essere pari a quello di una ren-
dita perpetua.
P 0 = Div 1 + Div 2 + ... = Div
1 + r
(1 + r)² r
Div1, Div2
e
Div
sono intercambiabili poiché l’am-
montare del dividendo percepito è inteso essere
sempre uguale. Il fattore al denominatore r rap-
presenta il costo del capitale di rischio dell’im-
presa.
* Se invece si suppone che il flusso dei pa-
gamenti registri una crescita costante, i dividen-
di cresceranno ad un tasso invariabile. Conside-
rando che Div è il dividendo pagato al termine
del primo anno, r il tasso di costo del capitale e g
la stima del tasso di crescita dell’azienda, si ot-
terrà che il prezzo del titolo viene calcolato con la
stesso meccanismo con cui si ricava il valore at-
tuale di una rendita a rate crescenti.
In presenza di tale formula si potrebbe introdurre
il concetto di “
dividend-growth model
”, trattan-
dosi di una crescita costante dei dividendi. Tale
modello però, sembra dar vita ad un’eccessiva
semplificazione della dinamica dei flussi di cassa
registrati dalle imprese, poiché ipotizza un incre-
mento dell’attività aziendale con ritmi di svilup-
po che crescono di un tasso g sempre costante
negli anni. Sembra rappresentare maggiormente
la realtà, invece, un modello che prevede l’espan-
dersi di un’azienda con una crescita dei suoi di-
videndi diversificata nel tempo.
Uno dei limiti della formula di Gordon infatti con-
siste nell’ipotizzare un unico tasso di crescita
“g”. Più frequentemente nella realtà delle impre-
se si osservano periodi a crescita differenziata:
* Più elevata in una prima fase (es. sfrutta-
mento degli aspetti innovativi di una nuova ini-
ziativa);
* Più contenuta (ed agganciata ad una me-
dia del sistema economico) in periodi più lunghi.
Da qui l’esigenza di una formula capace di co-
gliere questi due momenti della crescita. Una
possibile alternativa di crescita infatti prevede
che il livello dei cash flow subisca un incremento
differenziale. Solitamente le aziende durante la
loro vita registrano fasi di crescita eterogenee in
seguito alle scelte che compiono. Ad esempio,
può accadere che dopo il lancio di un nuovo
prodotto o in seguito al successo di una campa-
gna pubblicitaria, si determini nel breve termine
una crescita più accentuata rispetto a quella che
si può osservare nel lungo termine. In tali casi si
dovranno considerare distintamente i singoli
periodi all’interno dei quali si riscontra un anda-
mento di crescita più regolare, individuando i re-
lativi tassi (g1, g2).
Con la formula sopra esposta potremo ottenere
la valutazione di un titolo azionario attraverso il
valore attualizzato (al tasso r) della somma di due
componenti: i dividendi pagati in una prima fase
fino all’ anno T, i quali crescono di un tasso g1 e
i dividendi distribuiti dopo il periodo T, che se-
guono una dinamica di sviluppo descritta dal tas-
so g2 (pari ad una rendita a rate crescenti).
Affinché tali modelli possano fornire risultati
veritieri alla definizione del valore di un’impresa,
P 0 = Div + Div(1 + g) + Div(1 + g)² + … = Div
1 + r (1 + r)² (1 + r)³ r – g
P 1 = Div 2 + P 2
1 + r 1 + r
P 2 = Div 3 + P 3
1 + r 1 + r
P 0 = Div 1 + Div 2 + Div 3 + P 3
1 + r (1 + r)² (1 + r)³ (1 + r)³
’
P0 =
Ȉ
Div
t
t=1
(1 + r)
^t
T
P 0 =
Ȉ
Div(1 + g1)^ t + Div T + 1
t=1
(1 + r)^t (r – g2)(1 + r)^T
SEGUE DA PAGINA 10
5
The Theory of Investment Value
. Harvard University Press 1938; 1997 reprint, Fraser Publishing., Sir John Burr Williams
6
Gordon, M.J and Eli Shapiro (1956)
Capital Equipment Analysis: The Required Rate of Profit
, Management Science, 3,(1) (October 1956) 102-110. Reprinted in Management
of Corporate Capital, Glencoe, Ill.: Free Press of, 1959.
7
Gordon, Myron J. (1962).
The Investment, Financing, and Valuation of the Corporation
. Homewood, IL: R. D. Irwin.
SEGUE A PAGINA 12
La valutazione dei titoli azionari