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NUMERO 217 - GENNAIO / FEBBRAIO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
Non può, del resto, condividersi la sentenza impugnata, là dove la
stessa ha ritenuto corretto il ricorso al criterio di determinazione del-
l’avviamento previsto dall’art 2, comma 4 del D.P.R. 31 luglio 1996, n.
460. Come i ricorrenti hanno esattamente rilevato, il criterio stabilito
può trovare impiego soltanto ai fini dell’accertamento con adesione.
E pur volendosi riconoscere la possibilità di utilizzazione di tale criterio
anche al di fuori del campo di applicazione della norma, l’Ufficio avrebbe
dovuto, comunque, dare
ragione, con elementi riferiti al caso concreto,
della validità dello stesso criterio, al fine di pervenire ad una determina-
zione del valore dell’avviamento conforme ai reali valori di mercato
”.
Non va dimenticato che, con Circolare 24 febbraio 1993, n. 28,
il Ministero
delle Finanze ha ricordato agli Uffici che per determinare l’avviamento,
negli accessi presso la sede dell’azienda trasferita, è utile una puntuale
individuazione in ordine:
– all’ubicazione dei locali di vendita;
– allo stato fisico e giuridico del possesso dei locali, nonché della
scadenza dell’eventuale contratto di locazione;
– al numero delle vetrine e dei locali adibiti ad esposizione;
– al numero degli ingressi di cui fruisce la clientela;
– al tipo di clientela;
– al numero degli addetti all’attività;
– alle attrezzature, agli arredi, nonché al loro stato di conservazione e
manutenzione;
– a quant’altro possa essere ritenuto utile ai fini della valutazione
dell’azienda.
È quindi convinzione di chi scrive, che l’eventuale applicazione di formule
mutuate dall’abrogato art. 2 del D.P.R. 460/1996 possa al più costituire un
mero elemento indiziario senza alcuna valenza di prova auto consistente,
elemento che potrà assurgere a presunzione qualificata in quanto grave,
precisa e concordante, di un corrispettivo effettivamente percepito per
l’avviamento diverso e più alto rispetto a quello dichiarato, solo se
supportata da altri e concreti elementi acquisiti dall’Ufficio che, ben si
intende, devono essere
veritieri
e
reali
. Il tutto in un contesto nel quale
gravano sull’Ufficio gli oneri di motivazione e
prova dell’accertamento
tributario, in assenza dei quali l’avviso di rettifica e liquidazione (per l’im-
posta di registro) e quello di accertamento (ai fini delle imposte sui redditi)
risultano affetti da nullità. Occorre infatti tener presente che l’avviso di
rettifica e liquidazione, concernente l’imposta di registro, deve contenere
l’indicazione del valore attribuito a ciascuno dei beni o diritti in esso de-
scritti e degli elementi in base ai quali è stato determinato (D.P.R. 26 aprile
1986, n. 131, art. 52, comma 2). Inoltre, ai sensi del successivo comma 2 bis,
la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che lo hanno determinato; l’accertamento è nullo se non sono
osservate le predette disposizioni.
A
NALOGAMENTE,AI FINI DELLE IMPOSTE sui redditi, l’art.
42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, stabilisce, a pena di
nullità, che l’avviso di accertamento “deve essere motivato in
relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo
hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui
ai precedenti articoli che sono state applicate con la specifica indicazione
dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o
sintetici”.
Inoltre, ai fini della tassazione, occorre distinguere tra imposta di registro e
imposte sui redditi.
Per l’
imposta di registro
rileva il
valore venale
del bene alla data dell’atto
(D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 43, comma 1, lettera a) e art. 51, comma 2);
si parla anche di “valore venale in comune commercio” o di “valore di
mercato”.
Ai fini delle
imposte sui redditi
, invece, è rilevante il
corrispettivo conse-
guito
(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 86, comma 2) ovvero il prezzo di
cessione pattuito tra le parti.
Numerose sentenze della Corte di Cassazione (23608/2011 – 5070/2011 –
21055/2005 – 14581/2001) hanno stabilito che i principi relativi alla determi-
nazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda
dell’imposta che si deve applicare, sicché quando si discute di
imposta di
registro
si ha riguardo al
valore di mercato
di un bene, mentre quando si
discute di una
plusvalenza
realizzata nell’ambito di un’impresa occorre
verificare la differenza tra il
prezzo
di acquisto e quello
di cessione
(vale a
dire il prezzo/corrispettivo); è vero tuttavia che (prosegue la Suprema Cor-
te) nella fase di accertamento di una plusvalenza patrimoniale, realizzata a
seguito di cessione di azienda, l’Amministrazione Finanziaria è legittimata
a procedere in via presuntiva sulla base dell’accertamento di valore effet-
tuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, restando a carico del
contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prez-
zo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva in sede di
applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto
venduto ad un prezzo inferiore. In sostanza (prosegue la Cassazione) il
valore di mercato accertato per l’imposta di registro può supportare, come
dato presuntivo e salvo prova contraria, l’accertamento di una plusvalenza
patrimoniale da cessione, ma
i due valori non debbono necessariamente
coincidere, potendo tra l’altro essere smentiti da
risultanze contabili
o da
altri elementi
. In tal senso Corte di Cassazione, sentenza 21 febbraio 2007,
n. 4057.
Con ordinanza 28 giugno 2013, n. 16334 la Suprema Corte ha rilevato che
“....la stessa sezione tributaria ha peraltro reiteratamente ribadito che sus-
siste una
presunzione semplice
,
superabile dalla prova contraria even-
tualmente offerta dal contribuente
, di conformità tra il valore di mercato
definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro ed il prezzo incas-
sato per la vendita, sul quale calcolare la plusvalenza imponibile ai fini
dell’imposta sui redditi”.
R
ITORNANDOAL COMPORTAMENTO adottato dall’Ammini-
strazione Finanziaria, va rilevato che, solitamente, l’Ufficio,
rideterminato il valore dell’avviamento attraverso il rigido meto-
do matematico più volte citato, provvede a notificare l’avviso di
rettifica e liquidazione alle parti stante la solidarietà del pagamento dell’im-
posta di registro (prevista dall’art. 57, comma 1 del D.P.R. 131/1986).
Considerata l’aliquota abbastanza contenuta dell’imposta di registro, talvol-
ta, l’acquirente provvede a definire l’avviso beneficiando della riduzione
delle sanzioni nella misura di un sesto, togliendosi in tal modo ogni pensiero
circa il relativo contenzioso con il fisco.
A parere di chi scrive, la definizione dell’avviso di rettifica e di liqui-
dazione da parte dell’acquirente ai fini dell’
imposta di registro
, non
dovrebbe comportare un automatico accertamento ai fini delle
impo-
ste dirette
in capo al cedente stante i diversi presupposti che regola-
no le due imposte:
valore venale
per l’imposta di registro e
corrispettivo/
prezzo pattuito
per le imposte dirette. Ciò nonostante questo è quanto
succede e quindi, mentre sarebbe preferibile l’opposizione anche da parte
dell’acquirente, è vivamente consigliabile che il cedente contesti immedia-
tamente il maggior avviamento rideterminato dall’Amministrazione Finan-
ziaria ai fini dell’imposta di registro perché un eventuale successivo accer-
tamento ai fini delle imposte dirette sarebbe ben più gravoso.
Tuttavia, il cedente, ancorché non abbia fatto opposizione al precedente
avviso di rettifica e liquidazione per l’imposta di registro, potrà comunque
contestare - con buone probabilità di successo - l’avviso di accertamento
notificatogli ai fini delle imposte sui redditi a condizione che dimostri,
anche con l’esibizione delle scritture contabili, che il
corrispettivo/prezzo
pattuito
è stato quello indicato nell’atto di compravendita.
Considerata la grave crisi economica e finanziaria, riteniamo che non ci sia
rilevante differenza tra il corrispettivo/prezzo pattuito e il valore di mercato
in quanto le richieste di acquisto di aziende sono pressoché inesistenti per
i motivi già indicati in precedenza. Infatti, nella quasi totalità dei casi, il
valore di mercato è rappresentato dal prezzo offerto dall’acquirente, sog-
getto ormai raro.
Infine, l’aspetto che meriterebbe di essere maggiormente approfondito è
quello riguardante l’individuazione dell’elemento di partenza per la deter-
minazione del valore dell’avviamento. L’Amministrazione Finanziaria si basa
esclusivamente sul valore del reddito d’impresa dichiarato ai fini delle im-
poste dirette, mentre è parere di chi scrive che la stima debba porre le sue
basi partendo dall’utile dichiarato
al netto dello stipendio direzionale
te-
nendo inoltre conto anche di tutte le circostanze interne ed esterne al-
l’azienda, da valutare attentamente con riferimento ad ogni singola specifi-
ca situazione.
Conclusivamente, appare auspicabile che gli Uffici, in tema di
quantificazione del bene avviamento ai fini della tassazione, provvedano
ad eseguire meno “accertamenti a tavolino” e più controlli sul campo, te-
nendo in considerazione, come già ricordato, lo “stipendio direzionale” del
titolare e dei soci che prestano la propria attività a favore dell’azienda nel
caso in cui, a tale titolo, non sia stato dedotto alcun costo nella formazione
del bilancio.
Con i tempi che corrono, per le imprese di modeste dimensioni, è già
un successo quando l’imprenditore riesce a cedere l’azienda realiz-
zando merci e beni strumentali; in questi casi, nella trattativa, rimane
poco spazio per pretendere dall’acquirente anche un corrispettivo a
titolo di avviamento.
La determinazione dell'avviamento
SEGUE DA PAGINA 8