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NUMERO 217 - GENNAIO / FEBBRAIO 2014
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IL COMMERCIALISTA VENETO
SOCIETÀ
GIULIANO PAVAN
Avvocato inTreviso
I PATTI PARASOCIALI
SEGUE A PAGINA 18
S
TILANDO UNA SORTADI INDICE di que-
sta nostra conversazione, intenderei svolgere
il tema che mi è stato assegnato parlandovi:
- di clausole di gradimento;
- di clausole di prelazione;
- del tema dei divieti di vendere le partecipazioni;
- di opzioni di vendita e di acquisto;
- delle cosiddette clausole di trascinamento;
- e, se avanza tempo, anche delle clausole di sblocco
delle situazioni di stallo decisionali
2
.
Tutto questo vorrei illustrarlo non senza avervi sotto-
posto alcune mie brevissime considerazioni prelimi-
nari che, in realtà, traggono spunto anche da ciò che,
prima e meglio di me, ci ha raccontato il prof. De Poli.
I
O NON SONO UN AMANTE dei patti
parasociali. Io tendenzialmente sono un
sociali-
sta
e non un
parasocialista
.Amio modo di vede-
re, quindi, tutto ciò che può essere ricondotto
allo Statuto della società va tolto dal parasociale e,
appunto, ricondotto allo Statuto. Mi inducono in que-
sto senso alcune annotazioni, anche banali se volete,
che cerco di raccontarvi.
La prima è di tipo
strutturale
.
Esiste una definizione di patti parasociali, che non è
moderna, ma risale all’anno 1942 e venne fornita da
uno dei giuristi più illustri del tempo (il prof. Oppo),
il quale descriveva i patti parasociali come patti priva-
ti tra soci tendenti all’adeguamento ed al superamento
delle clausole statutarie. Ame le conseguenze che deri-
vano da tale definizione fanno molta paura.
E’ vero, infatti, ciò che dice il prof. De Poli circa il
fatto che la bontà dei patti parasociali può, talvolta,
essere quella di mantenere in un alveo di riservatezza
taluni accordi tra i soci. Però, è del pari vero che,
raggiunto un accordo parasociale che possa potenzial-
mente non essere coerente con lo Statuto e gli accordi
sociali, nel momento in cui qualcosa andasse storto,
sicuramente nascerebbe, dal punto di vista degli attriti
tra soci e della soluzione degli stessi, un problema non
agevolmente superabile.
Una seconda considerazione è quella che segue.
Ha ragione il prof. De Poli quando sostiene che, tutto
sommato, una definizione di patto parasociale non è
necessaria; ma è altrettanto vero che la normazione di
tipo casistico scelta dal nostro legislatore lascia al-
quanto perplessi e dà adito a numerosi dubbi (cosa
succede rispetto ad una S.r.l. non capogruppo? Che
cosa succede rispetto ad una società diversa dalla so-
cietà per azioni non capogruppo? Ragionevolmente i
patti sono validi, ma sono sottoposti o no ai limiti
dell’art. 2341 c.c.? Possono durare 10 anni o 20 anni?).
Un ulteriore tema cui ha fatto cenno il prof. De Poli è
quello portato dalla sentenza del Tribunale di Milano
che a me, per la verità, piace (cfr. Trib. Milano,
20.1.2009, in
Società
, 2009, 9, 1129).
E’ pacifico, infatti, che tutto ciò che è portato nello
Statuto, essendo opponibile ai terzi, tendenzialmente
crea un vincolo di carattere reale.
Nel mentre, tutto ciò che è parasociale ha una valenza
obbligatoria a carattere contrattuale: se viene violato
tale vincolo contrattuale, nessuno può essere coartato
ad eseguirlo. Vi potrà essere una richiesta di danni, si
potrà chiedere una penale, però di fatto quel patto
rischia di rimanere
lettera morta
.
I principali patti parasociali concernenti il trasferimento
delle partecipazioni sociali
1
Esistono forse un paio di decisioni, peraltro di autore-
voli giudici di merito, che hanno consentito l’esecu-
zione in forma specifica di sindacati di voto. Certa-
mente ne parlerà il dott. Francini. Tuttavia, come giu-
stamente osserva il prof. De Poli, si tratta di una ron-
dine (al massimo due) che non fa primavera.
Anche questo, quindi, è un elemento a mio modo di
vedere
di rischio
che sconsiglia e che lascia dubbia la
utilizzabilità dei patti parasociali.
Da ultimo, prima di passare al compito
che mi è stato affidato, pongo l’atten-
zione sul testo dell’art. 2341 c.c., nella
parte in cui stabilisce che i patti
parasociali tali sono se servono a stabi-
lizzare gli assetti proprietari della ge-
stione.
Non è chiaro, invece, cosa accada se un
sindacato di blocco non sia indirizzato
a stabilizzare l’assetto proprietario, ma
– per esempio – a vendere meglio sul
mercato le partecipazioni sociali.
La Consob sostiene che, in tal caso, non
si è in presenza di un patto parasociale.
La stessa Consob precisa, per esem-
pio, che quegli accordi cosiddetti di
lock-
up
(ossia quegli accordi attraverso i
quali, in relazione ad una quotazione,
un soggetto si blocca e favorisce altri ad andare sul
mercato) non rientrerebbero nei sindacati di blocco
oggi normati dall’art. 2341 c.c..
A prescindere da ogni più approfondita considerazio-
ne sul punto, ribadisco quindi i miei dubbi sui patti
parasociali e sui rischi di interpretazione ed esecuzio-
ne che essi pongono. Talché, tutto quello che può
essere inserito nello Statuto sarei propenso, appunto,
ad inserirlo nello Statuto; ciò che, invece, non posso
fare statutariamente, lo regolerò in un patto parasociale.
Per queste ragioni, cercherò di mettere in evidenza
come, tutto sommato (almeno per quanto riguarda i
limiti alla circolazione delle partecipazioni; diverso,
forse, è il problema dei sindacati di voto), molte cose
si possano normare nello Statuto, con maggior tran-
quillità per tutti.
Clausole di gradimento
Tutti loro sanno che le clausole di gradimento sono
quelle clausole con le quali si pone un limite all’ingres-
so di un nuovo socio in società.
Il nuovo socio, che tale potenzialmente può diventare
in ragione di una compravendita di una partecipazione
da parte di un già socio, deve essere gradito ad un
organismo sociale (al Consiglio di amministrazione,
all’assemblea, …) o, addirittura, ad un terzo.
Tradizionalmente le clausole di gradimento si distin-
guono tra clausole di gradimento
motivato
oppure clau-
sole di gradimento
mero
; laddove il gradimento moti-
vato deve esprimere una causa ragionevole, una ragio-
ne obiettiva per la quale i soci negano l’ingresso di un
nuovo socio, mentre per gradimento mero si intende la
situazione opposta, in cui il diniego all’ingresso nella
compagine sociale non necessita di alcuna giustifica-
zione. Il tema del gradimento mero, a mio modo di
vedere, merita brevissimamente di essere riassunto.
In epoca molto risalente (sto parlando di una trentina
di anni fa, almeno), nessuno dubitava della liceità delle
clausole di gradimento mero, perché sostanzialmente
si riteneva che esse tendessero ad introdurre legittima-
mente un elemento di personalizzazione nella pro-
prietà delle società di capitali.
Noi tutti sappiamo che, nelle società di persone, la
cessione di una partecipazione – salvo una deroga
statutaria – richiede il consenso degli altri soci (in so-
stanza, vige il principio unanimistico).
Tutto questo normalmente, salve le prelazioni, non
succede nelle società di capitali. Soprattutto nelle so-
cietà per azioni, rispetto alle quali tuttavia si riteneva
lecito che i soci, nel momento in cui stilavano lo Statu-
to, si accordassero tra loro che l’ingresso di un nuovo
socio postulava il consenso degli altri soci; così da
personalizzare una società che – seppur nata come
società di capitali e con una
vocazione
al mercato –
tendenzialmente doveva rimanere, nelle intenzioni dei
soci, a carattere personale.
Tale indirizzo muta a partire, all’incirca, dagli anni
’70, quando la nostra giurisprudenza – facendo leva
sulla vocazione al mercato delle società di capitali e
sulla naturale tendenza alla circolazione delle azioni –
inizia a censurare le clausole di gradimento, dichiaran-
done la nullità.
Interviene il nostro legislatore nel 1985, il quale risol-
ve il problema stabilendo che le clausole di gradimen-
to, nelle società per azioni, sono valide ma
inefficaci
.
Ci sono mille discussioni sul significato da attribuire
ad
inefficaci
però, di fatto, dal 1985 in poi, le clausole
di gradimento mero, per quanto riguarda le società per
azioni, sono clausole che non sono tecnicamente nulle
però, in sostanza, sono inefficaci: di fatto, quindi, tut-
to quanto il tema del gradimento scompare dalla mate-
ria delle società per azioni. Per la verità, c’è qualcuno
che si ingegna di trovare una soluzione: si registrano
delle opinioni, che hanno ottenuto anche dei consensi,
sul cosiddetto gradimento alla francese.
Tale nozione stava ad indicare che, pur essendo le
clausole di gradimento inefficaci, questa inefficacia non
1
Intervento dell’avv. Giuliano Pavan al Convegno del 13.12.2103 organizzato dalla Camera Civile Avvocati di Treviso, dall'Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili di Treviso, da Unindustria Treviso. Si tratta della trascrizione di un intervento orale. L'intervento può essere considerato complementare al lavoro del collega Francini
sui Patti parasociali pubblicato come inserto da
Il Commercialista Veneto
nel numero 216.
2
Le clausole di sblocco, in verità, non sono state trattate, per questioni di tempo, nel corso dell’intervento orale. Le stesse, come è noto, sono volte a risolvere quelle situazioni
di stallo decisionale che si verificano, ad esempio, nel caso in cui una particolare decisone necessiti, per accordo o per Statuto, di un certo
quorum
in C.d.A., ma incontri il dissenso
di parte dell’organo gestorio e, quindi, non possa essere assunta.In tali situazioni, onde risolvere lo stallo, le clausole di sblocco prevedono che una delle parti litiganti esca dalla
compagine sociale con dei meccanismi che possono essere i più vari (ad esempio, una gara d’asta).