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NUMERO 216 - NOVEMBRE / DICEMBRE 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
soggetto passivo…”.
La posizione assunta dal fisco appare debole e
difficilmente sostenibile anche alla luce della sent.
della Corte Costituzionale n. 200/76 che ha stabi-
lito che le presunzioni “…per poter essere consi-
derate in armonia con il principio della capacità
contributiva sancita dall’art. 53 Costituzione, deb-
bono essere confortate da elementi concretamen-
te positivi che le giustifichino razionalmente…”.
Conferma questo orientamento la sent. n. 109/
2007 della Corte Costituzionale nonché l’unani-
me e costante orientamento della Suprema Corte
circa l’onere della prova posto ad esclusivo cari-
co dell’Amministrazione Finanziaria.
Recuperi basati sulla genericità
Premesso che nessun costo può essere inserito
in contabilità in mancanza di:
- formale e regolare documentazione
- determinazione in modo oggettivo dell’ammon-
tare richiesto
normalmente gli uffici non contestano l’esisten-
za del costo in termini di sussistenza, ammontare
ed effettiva sopportazione, elementi che concor-
rono a determinare il principio di inerenza, ma
negano la deducibilità per “….sommaria indica-
zione delle prestazioni rese…”, inserendo nel
contesto legislativo un nuovo elemento costi-
tuito dalla “genericità”.
Siffatta tesi, per stessa ammissione del fiscomutua-
ta dal sistema IVA, appare di difficile applicazione
soprattutto in presenza di determinazioni forfettarie
della quantità e qualità del servizio prestato.
Benchè si giudichino tali contestazioni inconsi-
stenti essendo palesemente prive di qualsivoglia
valenza fattuale e giuridica, si consiglia di predi-
sporre dei contratti o comunque idonea docu-
mentazione che possa fornire un adeguato crite-
rio oggettivo di quantificazione.
Ciò anche al fine di evitare eventuali contesta-
zioni ricollegabili alla sproporzione tra il compen-
so pattuito e la prestazione stabilita.
Pur confermando che la presenza di probante
documentazione a supporto del costo appare
estranea al principio di inerenza, non esistendo
alcuna norma del T.U. delle imposte dirette che
prevede o impone l’espletamento di tale formali-
tà, è consigliabile predisporla per evitare la cen-
sura che l’operazione sia simulata al solo fine di
creare un costo privo di substrato economico.
Esistenza del costo
Spesso gli uffici commettono l’errore di confon-
dere il principio di inerenza con il concetto di
esistenza di un costo
” pur essendo tale istituto
disciplinato dall’art. 1 D. Lgs. n. 74/2000.
La differenza è sostanziale considerato che la
esistenza di un costo è collegata con la realtà
dell’operazione effettuata, mentre il nesso og-
gettivo di inerenza trova conferma nel collega-
mento tra la prestazione fornita e l’attività effetti-
vamente svolta dalla azienda.
Tale verifica richiede lo sviluppo di ulteriori e
coerenti riscontri probatori, sul presupposto che
il concetto di inerenza fa riferimento ad una que-
stione di natura giuridica mentre l’esistenza di
un costo si pone esclusivamente come questio-
ne di fatto.
Ai fini IVA
Il concetto di inerenza è estraneo alla normativa
IVA come attesta e conferma l’art. 3, comma 1
D.P.R. n. 633/72 che definisce come servizi impo-
nibili tutte le prestazioni di servizi verso
corrispettivo dipendenti in genere da obbliga-
zioni di fare, di non fare e di permettere quale ne
sia la fonte. Ne discende che la certezza del costo
che costituisce un servizio oggettivamente rile-
vato in contabilità attraverso la causale del pa-
gamento della prestazione rappresenta il
corrispettivo imponibile.
Gli uffici tentano quindi di mescolare la normati-
va IVAcon le imposte dirette, dimenticando che i
presupposti di legge sono diversi come dimostra
la sostanziale diversa dizione usata dal legislato-
re nell’ambito dei due tributi.
L’automatico recupero anche ai fini IVA di costi
giudicati indeducibili per carenza del principio di
inerenza appare illegittimo e contrario alla vigen-
te normativa non trovando alcun fondamento
giuridico. Una corretta applicazione del principio
di inerenza richiede una logica, autorevole e so-
stenibile applicazione del principio dell’
id quod
plerumque accidit
attraverso un rapporto logi-
co-sistematico tra il costo sostenuto ed il corri-
spondente ricavo, fase difficilmente utilizzata
dagli uffici, pur costituendo primario elemento di
verifica, ai fini di una corretta e legittima valuta-
zione della deducibilità di un costo senza cadere
nell’arbitrio, dovendo l’Amministrazione Finan-
ziaria agire con imparziabilità, diligenza e pruden-
za secondo il dettato costituzionale.
Irrogazione sanzioni
Secondo il mio sommesso parere in presenza di
tali recuperi esiste la possibilità di richiedere la
disapplicazione delle sanzioni. Sull’argomento la
Suprema Corte con la sent. n. 4685 del 23/3/2012
ha confermato che “…la Cassazione ribadisce il
proprio orientamento in merito all’inapplicabilità
delle sanzioni rispetto alla violazione di una nor-
ma tributaria di cui sia incerto
il contenuto, l’og-
getto e i destinatari
. In taluni precedenti, la Cor-
te ha evidenziato che, ai fini dell’applicazione del
principio, rileva l’”incertezza normativa oggetti-
va tributaria”, ossia una situazione giuridica ca-
ratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé e
accertata dal giudice, d’individuare con sicurez-
za ed univocamente, al termine di un procedi-
mento metodicamente corretto, la norma giuridi-
ca sotto la quale ricondurre la disciplina di un
caso di specie. A tal fine, sono stati individuati
i fatti indice di “incertezza normativa oggetti-
va”, quali
la difficoltà del contribuente di iden-
tificare le disposizioni normative applicabili o
di determinazione del significato della formu-
la legislativa, lamancanza di informazioni am-
ministrative o la loro contraddittorietà, la for-
mazione di orientamenti giurisprudenziali con-
trastanti
…”.
Conclusioni
Il legislatore ha previsto ineludibili garanzie sia
procedimentali che processuali vincolanti per
tutte le parti, finalizzate a garantire
l’inviolabile
diritto alla difesa
(art. 24 Costituzione),
l’impar-
zialità dell’Agenzia delle Entrate
(art. 97 Costi-
tuzione) ed un
giusto processo
(art. 101 Costitu-
zione). In tale contesto il procedimento
contenzioso si articola e sviluppa attraverso i
seguenti punti fondamentali:
1) obbligatoria motivazione dell’atto;
2) onere della prova a totale carico dell’Ammini-
strazione Finanziaria;
3) qualsiasi pretesa erariale trova fondamento
esclusivamente nella legge;
4) divieto di sindacato sulle scelte operate dalla
società;
5) rispetto del principio di “capacità contributi-
va”.
Qualunque violazione dei suesposti principi com-
porta l’annullamento del provvedimento.
Con riferimento ai primi tre punti, considerato
che vige l’obbligo di una adeguata motivazione
inscindibilmente collegata con la produzione di
idonee prove, un generico rilievo basato esclusi-
vamente sull’art. 109 non è sufficiente a spostare
l’onere della prova a carico del contribuente né
ad affermare l’esistenza di una pretesa erariale
compiuta.
Sul quarto punto costante giurisprudenza della
Suprema Corte ha ripetutamente negato agli uffi-
ci il potere di intervenire sulle scelte operate nel-
l’esercizio dell’attività aziendale con l’unica ec-
cezione delle ipotesi antielusive (Cass. n. 24957
del 10/12/2010).
L
’ESERCIZIODELL’INIZIATIVAeco-
nomica privata è tutelato dall’art. 41
della Costituzione (Cass. n. 8484
dell’8/4/2009).
Si cita infine il dettato costituzionale
secondo cui, come confermato dalla Corte Costi-
tuzionale (ord. n. 394 del 28/11/2008), il principio
della “capacità contributiva” “esige” che esista
sempre un “…
oggettivo e ragionevole collega-
mento del tributo a un effettivo indice di ric-
chezza
…”.
L’art. 53 della Costituzione rappresenta il fonda-
mento ed il limite dell’attività impositiva, non po-
tendo esistere una imposizione che non sia giu-
stificata ragionevolmente. Il giudice delle leggi
infatti ha precisato che per capacità economica
si deve intendere una idoneità effettiva desumibile
da una corretta esistenza del presupposto eco-
nomico (Corte Cost. sent. n. 117 del 7/7/1986 e
ord. n. 465 del 3/12/1987) dato che, in caso con-
trario l’imposizione avrebbe una base fittizia (Cor-
te Cost. sent. n. 26/1980).
Alla luce delle suesposte
considerazioni si può
ragionevolmente sostenere che la dizione lette-
rale utilizzata dal legislatore evidenzia che sono i
costi che devono seguire i correlativi ricavi, come
confermato dal Ministero che, con risoluzione n.
14/E del 5/3/1998, ha chiarito che “…una volta
stabilito l’esercizio di competenza dei ricavi,
di-
vengono automaticamente deducibili in quello
stesso esercizio tutti i costi relativi ad esso
correlati
…”. Il principio di correlazione costi-
ricavi costituisce dunque un fondamentale aspet-
to giuridico-contabile inviolabile, che vincola
l’Amministrazione Finanziaria, costituendo prin-
cipio generale sia civilistico che fiscale imposto
dalla legge, non potendosi spezzare il collega-
mento funzionale causa-effetto, essenziale ai fini
di una corretta determinazione dell’imponibile.
Nell’ambito della garantita certezza del diritto, si
può ragionevolmente considerare escluso che la
deducibilità di un costo possa essere lasciata al
libero arbitrio ed alla discrezionalità di un funzio-
nario, essendo quest’ultimo vincolato ad una
concreta e realistica applicazione della vigente
normativa, unica fonte di diritto.
Pertanto è fatto obbligo all’ufficio di individuare
gli aspetti specifici dell’operazione effettuata che
appaiono sospetti ed antieconomici dimostran-
do la strumentalità dell’operazione ovvero l’abu-
so del negozio utilizzato al solo fine di ridurre
l’onere fiscale.
Costi e principio di inerenza
SEGUE DA PAGINA 27