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NUMERO 214 - LUGLIO / AGOSTO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
(
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) Così E.F. Ricci,
Il nuovo arbitrato societario
, cit., 523 ss.; S. Chiarloni,
Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo
, cit., 124 ss.; F.
Corsini, op. loc. citt., 1285. Contra Trib. Milano, 6 maggio 2003, in Giustizia a Milano, 2003, 54 ss..
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) Magistralmente esemplificata da M. Bove, op. cit., secondo il quale «la dicotomia diritti disponibili/diritti indisponibili non va confusa con la distinzione tra norme derogabili
e norme inderogabili. La sussistenza di un diritto indisponibile pone problemi diversi rispetto a quelli relativi alla vigenza di una norma inderogabile. La norma inderogabile non
può essere messa fuori gioco da un accordo privato, perché l’ordinamento vuole che essa trovi la sua concretizzazione, ma non è escluso che dal verificarsi di detta
concretizzazione derivi la nascita di un diritto disponibile (come, ad esempio, la norma che disciplina il riparto degli utili tra i soci è inderogabile, ma il diritto agli utili
concretamente nato è disponibile)». In argomento v. anche G.F. Ricci,
Dalla «transigibilità» alla «disponibilità» del diritto. I nuovi orizzonti dell’arbitrato
, in Riv. arb., 2006,
267 ss.; F. Ungaretti Dell’Immagine,
Note su indisponibilità dei diritti, inderogabilità della normativa ed impugnazione delle delibere assembleari
, in Riv. arb., 2009, 329 ss.;
F. De Santis,
Inderogabilità della norma, disponibilità del diritto ed arbitrabilità delle controversie societarie
, in Giur. Merito, 2008, 2254 ss.; P. Licci, L’ambito di applicazione,
in Osservatorio sulla mediazione civile e commerciale, a cura di G. Scaccia e R. Tiscini, in Notarilia, 2011, 58 ss..
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) Così un recentissimo arresto del Trib Milano, 10 maggio 2013, in www.giurisprudenzadelleimprese.it «Non va confusa la inderogabilità delle norme, quali - per altro con alcuni
significativi spazi di discrezionalità - quelle sul bilancio, con la indisponibilità dei diritti che ne nascono: la inderogabilità significa che l’ordinamento esige la applicazione di determinate
discipline, eliminando spazi di autonomia privata, la quale può solo aderire o meno ad uno schema processuale prefissato. La indisponibilità significa che il privato non può con il proprio
consenso o dissenso determinare la applicazione di un diritto, come avviene ad esempio in materia di filiazione. In questo senso se inderogabile è la norma, il diritto che ne nasce può essere
disponibile, come sono inderogabili, a titolo di esempio, le norme di tutela dell’acquisto del consumatore, senza che ciò significhi che il suo acquisto sia un atto indisponibile, anzi la
inderogabilità è posta proprio a tutela del suo atto volontario di acquisto. In materia societaria vi sono poi materie inderogabili e indisponibili – ad esempio la società a oggetto illecito
che non può essere stipulata a pena di nullità – ma così non è per il bilancio, laddove il socio è chiamato a dare, o negare, il proprio consenso al progetto predisposto dagli amministratori».
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) Il quale sembra imporre agli arbitri di applicare norme inderogabili proprio qualora la lite sia disciplinata da tali norme. (
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) Sostenere la compromettibilità della lite unicamente
qualora le fattispecie deferite non implichino la violazione di norme poste a presidio di interessi collettivi (tanto di soci quanto di terzi) non pare soluzione di piena soddisfazione, in
particolare avuto riguardo al fatto che praticamente ogni vicenda societaria vede il coinvolgimento di interessi ultra individuali.
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37
) V. in argomento I. Capelli,
Profili sostanziali dell’arbitrato societario
, in Av.Vv., (a cura di P. Benazzo, M Cera, S. Patriarca),
Il diritto delle società oggi. Innovazioni e
persistenze
, Studi in onore di G. Zanarone, Torino, 2011, 149-210.
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38
) In questo senso Trib. Belluno, 8 maggio 2008, in Giur. merito, 2008, 9, 2252, con nota di De Santis e, in dottrina, A. Zoppini,
I “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”
nel nuovo arbitrato societario
, in Riv. soc., 2004, 1174 ss..
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39
) Oltre a recepire anche qualche ipotesi precedentemente ricondotta allo schema dell’inesistenza. Cfr. sul punto C. Ferri,
Le impugnazioni di delibere assembleari. Profili
processuali
, in Riv. trim. dir. proc. civ., suppl. fascicolo I, 2005, 55.
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40
) Cfr. art. 2377, comma 6, c.c. «L’impugnazione o la domanda di risarcimento del danno sono proposte nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione, ovvero, se questa è soggetta
ad iscrizione nel Registro delle Imprese, entro novanta giorni dall’iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso l’ufficio del Registro delle Imprese, entro novanta giorni dalla data di questo».
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41
) Ovvero dai soci assenti, dissenzienti od astenuti (quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiunta-
mente, l’uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o escludere questo
requisito), dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale.
(
42
) Cfr. art. 2377, comma 8, c.c. «L’annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto».
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43
) V. art. 2379, comma 1, c.c..
(
44
) Ovvero entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel Registro delle Imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea,
se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito.
(
45
) Cfr. 2379 ter c.c.: «Nei casi previsti dall’articolo 2379 l’impugnativa dell’aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445 o della emissione di
obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall’iscrizione della deliberazione nel Registro delle Imprese o, nel caso di mancata
convocazione, novanta giorni dall’approvazione del bilancio dell’esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita. Nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio l’invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma dell’articolo 2444 sia stata iscritta
nel Registro delle Imprese l‘attestazione che l’aumento è stato anche parzialmente eseguito; l’invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445
o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita».
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46
) Cfr. art. 2379 bis c.c.: «L’impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo
assenso allo svolgimento dell’assemblea. L’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea
successiva. La deliberazione ha effetto dalla data in cui è stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione».
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riguardanti patti parasociali e cessioni di quote fra soci e fra soci e terzi non
debbano considerarsi oggetto di arbitrato societario (
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). Ciò non toglie
che, astrattamente, possano divenire arbitrabili anche tali controversie,
tuttavia, in questi casi, la disciplina applicabile non potrà derivare dal D.Lgs.
n. 5/2003. Fissato detto riferimento al «
rapporto sociale
», deve tentare di
chiarirsi la definizione di «
diritti disponibili
». Superata l’associazione tra
indisponibilità dei diritti e inderogabilità della norma (
33
)(
34
) (la quale sconta
altresì una contraddizione con il disposto dell’art. 36 D.Lgs. 5/2003) (
35
),
deve evidenziarsi come la giurisprudenza maggioritaria rimanga ancorata
alla tesi in forza della quale al fine di stabilire quali siano le controversie
arbitrabili debba aversi riguardo ai cd. “interessi coinvolti”.
Qualora quest’ultimi siano riferibili al singolo socio la lite risulterà piena-
mente compromettibile, diversamente qualora detti interessi riferiscano alla
collettività dei soci o dei terzi, la lite dovrà essere promossa attraverso il
ricorso alla giudicante ordinario. Tale tesi è stata fissata da un’importantis-
sima sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, 23 febbraio 2005, n. 3772 la
quale ha stabilito che: «Le controversie in materia societaria possono, in
linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle
che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione
di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. A tal fine,
per altro, l’area della indisponibiltà deve ritenersi circoscritta a quegli interes-
si protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione
dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme
dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio d’esercizio».
Tuttavia tale impostazione restrittiva, sebbene autorevolmente sostenuta,
mi pare decisamente svilente rispetto alle possibilità offerte dall’articolato
normativo in materia di arbitrato societario ed, in particolare, rispetto alle
finalità sottese alla legge delega. Quest’ultima, come già anticipato, ma
giova ribadirlo, aveva chiaramente previsto che gli statuti delle società
potessero contenere clausole compromissorie «
anche in deroga agli arti-
coli 806 e 808 codice di procedura civile
», in questo modo superando il
binomio arbitrato
versus
diritti disponibili.
Ritenere escluso il ricorso alla competenza arbitrale unicamente in ragione
del coinvolgimento di interessi superindividuali mi pare una lettura chiara-
mente contraria alle intenzioni del Legislatore Delegante e, di fatto, una
sentenza di condanna per l’efficacia del complesso di norme dedicate al-
l’arbitrato dal D.Lgs. 5/2003 (
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). Non vi è chi non veda, infatti, come la
controversia sociale sia terreno sul quale di intersecano, fisiologicamente,
interessi soggettivi ed interessi collettivi che travalicano quelli dei singoli
soci (
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). Ciò posto il concetto di disponibilità - oltre ad essere naturalmente
influenzato tanto da indici intrinseci alla singola fattispecie (quale è, ad
esempio, l’assoluta personalità del diritto), quanto da elementi estrinseci
alla medesima (come la presenza del pubblico ministero o l’impossibilità di
rinunciare o transigere la lite) - mi sembra debba essere qualificato attraver-
so un approccio maggiormente sostanzialista, attraverso cioè una
contestualizzazione del medesimo nel complesso normativo di riferimento. In
altre parole la disponibilità andrà valutata non in rapporto alla qualifica (perso-
nale o collettiva) degli interessi in gioco, ma unicamente in base alla natura dei
diritti sottesi alla controversia nel contesto di riferimento, ovvero se i medesimi
risultano, una volta contestualizzati, legittimamente cedibili e rinunciabili dai
soggetti coinvolti. Dovrà pertanto aversi riguardo all’effettiva sussistenza di
un reale divieto per le parti coinvolte di rinunciare (in tutto od in parte) al diritto
sotteso alla lite. In altre parole, qualora il diritto sottostante alla controversia
non sia nella piena titolarità del soggetto agente oppure emerga, anche da
un’analisi degli effetti di diverse norme dell’ordinamento, una limitazione alla
libera disponibilità del diritto
de quo
, dovrà ritenersi che la controversia in
parola non possa essere risolta tramite «
arbitrato societario
» (
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).
LEIMPUGNATIVEDELLEDELIBEREASSEMBLEARI
Come anticipato, la propugnata interpretazione del requisito dei «
diritti
disponibili relativi al rapporto sociale
», al fine di una legittima
compromettibilità in arbitri, presuppone un’analisi della disciplina sostan-
ziale di riferimento.
E’ fatto noto che le modifiche apportate dalla riforma del 2003 agli artt. 2377
ss. c.c. abbiano introdotto una rivisitazione degli schemi classici alle cate-
gorie del diritto civile della nullità e della annullabilità. Quest’ultima, inver-
tendo i comuni principi civilistici, è divenuta categoria generale delle inva-
lidità delle delibere assembleari, eccepibile ogni qual volta si riscontri una
violazione della legge o dello statuto (
39
). La medesima è caratterizzata da (i)
un termine di decadenza molto stretto (
40
); (ii) una legittimazione qualificata
(
41
); nonché (iii) da una generica possibilità di sostituzione della delibera
impugnata (
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). A ciò aggiungasi come, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2378
c.c., il giudicante investito dell’impugnazione possa tentare una concilia-
zione tra le parti. La nullità, rispetto alla tradizionale impostazione civilistica,
diverge in modo ancor più vistoso. La medesima infatti conosce, con la
sola eccezione dell’invalidità delle «
deliberazioni che modificano l’og-
getto sociale prevedendo attività illecite o impossibili
» (
43
), (i) un termine
prescrizionale di anni tre (
44
) (od il minor termine previsto in ipotesi di
aumento di capitale, riduzione ex
art
.
2445 c.c. od emissione di prestito
obbligazionario) (
45
), (ii) una sanatoria attraverso interventi mirati (
46
) e (iii) la
Applicabilità
dell'arbitrato societario