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NUMERO 214 - LUGLIO / AGOSTO 2013
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FINANZA PUBBLICA
ELISA NADALINI
Praticante Ordine di Udine
IL COMMERCIALISTA VENETO
IL FISCAL COMPACT
Italia,
mission impossible
?
SEGUE A PAGINA 18
I
n seguito alle crisi che hanno
riguardato i
titoli di Stato emessi da alcuni paesi dell’Unione
economica e monetaria, in particolare Grecia,
Portogallo e Irlanda, manifestatesi a partire dal-
la fine del 2009, le autorità europee hanno deciso di
intervenire rafforzando i vincoli imposti alle politiche
fiscali degli Stati membri. Nel 2012 è stato firmato da
25 paesi dell’Unione Europea il “
Trattato sulla stabi-
lità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unio-
ne europea
”, noto come
Fiscal Compact
, che ha modi-
ficato in senso restrittivo le regole fiscali fino ad allora
vigenti.
Ma cos’è il
Fiscal Compact
? Chi coinvolge? Cosa com-
porterà? L’Italia sarà in grado di vincere questa sfida?
E se ci riuscirà….a quale prezzo? Tentiamo alcune
risposte.
Il
Fiscal Compact
, o patto di bilancio europeo, può
essere definito come quel “pacchetto” che, racchiu-
dendo regole volte a potenziare la sorveglianza sui
conti pubblici degli Stati, porta ad un coordinamento
delle politiche economiche e amigliorare la
governance
dell’Eurozona. E’ entrato in vigore il 1 gennaio 2013 e
introduce una serie di provvedimenti di austerità in 25
dei 27 Paesi dell’Unione:
Rigore e Austerity
sono
dunque le parole d’ordine se si vuole continuare a far
parte dell’Unione Europea.
Il trattato introduce anzitutto l’obbligo di inserire nel-
le Costituzioni nazionali o in legislazioni equivalenti,
il principio del pareggio di bilancio e prevede sanzioni
semiautomatiche contro ogni violazione del criterio
dell’avanzo.
L’Italia ha già provveduto, con la Legge Costituziona-
le n.1 del 20 aprile 2012 che ha modificato gli articoli
81, 117 e 119 della Costituzione, a ratificare questa
parte fondamentale del Trattato.
In coerenza con il Trattato europeo, la norma defini-
sce l’equilibrio di bilancio come un saldo strutturale
pari all’obiettivo di medio termine fissato nei docu-
menti di programmazione finanziaria e di bilancio,
ovvero del percorso di avvicinamento a tale obiettivo.
Attualmente l’obiettivo di medio termine per l’Italia è
il pareggio di bilancio in termini strutturali.
Il patto di bilancio europeo introduce poi due limiti
diabolici”
per un Paese come l’Italia:
1)
il deficit strutturale, cioè l’ammontare
della spesa pubblica non coperta da entrate, dovrà
rientrare entro la soglia dello 0,5
per cento del
PIL valutato a prezzi di mercato;
2)
il rapporto debito pubblico/PIL dovrà rag-
giungere quota 60
per cento nell’arco di vent’an-
ni al ritmo di un ventesimo l’anno per la parte
eccedente.
Il Trattato, che contempla una deroga al verificarsi di
eventi eccezionali, stabilisce che debbano essere pre-
visti dei meccanismi di correzione automatici che en-
trino in funzione qualora si verifichino scostamenti
dagli obiettivi prefissati.
L’equilibrio da rispettare per quanto riguarda il deficit
strutturale del Paese (al di fuori degli elementi eccezio-
nali e del pagamento degli interessi sul debito) non
potrà superare lo 0,5 per cento del PIL valutato a
prezzi di mercato, ad eccezione dei Paesi più “virtuo-
si”, ossia gli Stati che hanno un debito al di sotto del
tetto del 60 per cento del PIL, per i quali il margine di
tolleranza raddoppia e sale all’1 per cento.
Se questi limiti non saranno rispettati scatterà la cor-
rezione automatica, definita dagli Stati sulla base delle
raccomandazioni della Commissione dell’Unione Eu-
ropea. I governi che hanno accettato queste regole han-
no un anno di tempo a partire dall’entrata in vigore del
trattato per mettere in atto le nuove norme sul pareg-
gio e per chi non introdurrà tale obbligo nella legisla-
zione nazionale, la Corte di giustizia Ue - le cui deci-
sioni sono vincolanti - potrà imporre sanzioni fino a
un massimo dello 0,1 per cento del PIL.
Guardando al
Fiscal Compact
di primo acchito, quella
sul debito sembrerebbe la regola più severa mentre
l’imposizione del pareggio di bilancio sembra appa-
rentemente essere accettata senza troppe criticità dai
Paesi aderenti. In realtà, se guardiamo un po’ oltre la
contingenza attuale, la regola sul debito è in genere
meno severa di quella del pareggio di bilancio. Infatti,
se il bilancio è in pareggio, non si genera nuovo debito.
Ciò significa che il valore del debito non cambia e ogni
variazione del PIL nominale si tradurrà in una varia-
zione del rapporto debito/PIL. Ma per comprendere
meglio quale delle due regole d’oro sia più stringente, è
necessario riprendere alcuni concetti fondamentali di
macroeconomia.
Il Prodotto Interno Lordo
è l’indicatore economico
che misura la ricchezza prodotta in un Paese, ossia la
sua crescita reale ed esprime il valore complessivo dei
beni e servizi finali prodotti all’interno di una nazione
in un certo arco di tempo, solitamente un anno, e può
essere calcolato in termini reali ed in termini nominali.
Solitamente viene preso maggiormente in considera-
zione il valore reale del PIL, ossia quello calcolato a
prezzi costanti, in modo da eliminare l’effetto
distorsivo dell’aumento dei prezzi, che lo farebbe au-
mentare solo nominalmente per via dell’inflazione.
Il PIL non prende in considerazione la produzione di
beni intermedi destinati ai consumi industriali, ossia di
quei prodotti scambiati tra le imprese, poiché il valore
di questi ultimi è già incorporato nel valore dei beni
finali. Il calcolo del PIL è effettuato esclusivamente
sulla produzione del Paese, con esclusione di quanto è
prodotto all’estero da aziende nazionali, ma conside-
rando quanto prodotto nel Paese da aziende straniere.
Escludendo dal PIL il valore del contributo produttivo
dei lavoratori stranieri o di quello delle imprese la cui
proprietà appartiene a cittadini non della nazione ed
includendo simmetricamente il valore della produzio-
ne che cittadini ed imprese del Paese effettuano al-
l’estero, si ottiene invece il Prodotto Nazionale Lordo
o Reddito Nazionale Lordo. La Cina per esempio ha
un elevato PIL, ma un Prodotto Nazionale Lordo mol-
to inferiore proprio ad indicare che la Cina è da anni un
PIL (in miliardi di euro) 
ANNO FRANCIA 
ITALIA 
GIAPPONE 
USA 
GERMANIA 
1999 1.530,25 1.134,00 
4.910,90
10.710,70 
2.119,18 
2000 1.586,56 1.198,00 
4.736,00 
11.938,70 
2.007,88 
2001 1.615,69 1.256,00 
4.316,80 
12.734,50 
2.112,65 
2002 1.630,69 1.302,00 
4.001,70 
10.989,20 
1.910,31 
2003 1.645,36 1.342,00 
3.694,20 
9.420,90 
1.929,18 
2004 1.687,23 1.398,00 
3.624,90 
9.034,30 
2.011,17 
2005 1.718,05 1.436,00 
3.609,80 
10.667,60 
2.337,75 
2006 1.760,43 1.493,00 
3.226,20 
9.825,20 
2.200,89 
2007 1.800,66 1.554,00 
3.146,60 
9.056,00 
2.279,23 
2008 1.799,21 1.575,00 
3.956,50 
9.433,00 
2.597,01 
2009 1.742,58 1.520,00 
3.529,70 
8.902,30 
2.301,75 
2010 1.772,64 1.552,00 
4.445,20 
9.773,30 
2.457,34 
2011 1.808,57 1.578,00 
4.716,00 
10.261,70 
2.778,42 
2012 1.808,82 1.566,00 
4.159,90 
10.300,20 
2.825,65 
Fonte: Bloomberg 
Debito in % del PIL 2011
1 Giappone 
229,77 
2 Grecia 
160,81 
3 Saint Kitts and Nevis 
153,41 
4 Jamaica 
138,98 
5 Libano 
136,22 
6 Eritrea 
133,82 
7 Italia 
120,11 
8 Barbados 
117,25 
9 Portogallo 
106,79 
10 Irlanda 
104,95 
Fonte: Fondo Monetario Internazionale 
polo di attrazione di imprese mondiali che la insediano
con le proprie produzioni per sfruttare il basso costo
della manodopera.
Dividendo il PIL reale per la popolazione si ottiene il
reddito pro-capite, ossia il valore medio della ricchez-
za prodotta da ogni singolo individuo. Rapportando
invece il PIL nominale con il PIL reale si ha il deflatore
del PIL che è un indicatore dell’inflazione e segnala il
cambiamento dei prezzi relativi al totale della produ-
zione nazionale. Per calcolare l’ammontare del deficit
delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL
viene usato l’indicatore chiamato rapporto deficit/PIL,
che indica la stabilità finanziaria del Paese.
Altro indicatore fondamentale è il rapporto debito