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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
L'INTERVISTA - Ernesto Ugo Savona
Registro delle Imprese?
I registri delle imprese non hanno solo il fine di scoprire il
beneficial owner
.
Tuttavia, i dati delle imprese, resi disponibili, accessibili e fusi assieme ad
altri possono dare la risposta. Dobbiamo quindi dare l’accesso alle varie
Unità Investigative Finanziarie (UIF) ai registri delle imprese. Questa è una
cosa di cui si sta parlando in questo momento, da fare. Così le UIF possono
prendere i dati che vogliono e come vogliono. Ma è un carico: chi paga
tutto questo? Il tema di fondo è: chi ha interesse a sapere? Chi ha interesse
a conoscere il
beneficial owner
? Questo è il vecchio problema della traspa-
renza e dell’interesse a questa cosa. Il registro delle imprese non ha obiet-
tivo di trasparenza; è un interesse pubblico quello della trasparenza.
– Ma il registro delle imprese è il referente per la trasparenza delle
società. È il luogo deputato a raccogliere e archiviare tutte le informazio-
ni relative ad una società. Quindi mi chiedo ancora: perché non i registri
delle imprese?
Per due ragioni, fondamentalmente. Primo, perché se io [
i.e.
, società che
non vuole rivelare il proprio titolare effettivo] so che i dati che comunico al
registro delle imprese possono essere usati per smascherare il
“beneficial
owner”
, potrei essere tentato anche a dare dei dati un po’ fasulli o cambiati,
magari facendo ricorso a prestanome. Secondo, perché i registri delle im-
prese potrebbero non accettare di adempiere ad una richiesta da parte degli
investigatori di sapere chi è il
“beneficial owner”
, perché è una questione
di interesse pubblico. È un po’ come la storia delle dichiarazioni anti-mafia,
che allo stato attuale non servono a niente. Anche in questo caso, costrui-
remmo un’impalcatura che non serve a niente.
– La preoccupazione maggiore è questo nuovo sistema di sanzioni che
viene posto in capo agli intermediari, quindi anche ai professionisti.
No, il problema è un altro. Stiamo costruendo un’impalcatura di obblighi
regolativi senza occuparci di quali sono i risultati di questa impalcatura. Il
rischio è che costi molto di più l’impalcatura che i risultati che ottiene.
Non è questo il procedimento più adeguato. Stiamo creando obblighi su
obblighi, come una serie di strati di un palazzo a più piani, dove le fonda-
menta sono ancora molto fragili. Dopodiché si creano normative che ag-
gravano il rituale. E in fondo, coloro che riciclano, che vogliono riciclare
veramente, hanno ancora molte scappatoie esistenti in questo panorama.
Perché sì, devi fare un po’ più di fatica ad inventarti un prestanome oppure
altre cose di questo genere ma... La vicenda delle dichiarazioni antimafia,
che crea obblighi pazzeschi nelle prefetture ma che non valgono a niente
per l’identificazione delle imprese “inquinate”, la dice lunga: crei un obbli-
go, continui a rilasciare migliaia e migliaia di certificazioni antimafia, e poi
alla fine con quelle dichiarazioni non prendi nessuno. Li prendi investigan-
do sulle persone, andando nei cantieri e altre cose di questo tipo.
– Questa impalcatura – che fra il resto crea una serie di incombenze
anche di natura burocratica a tutti gli intermediari, che poi è il motivo per
cui “detestano” questa normativa! – ha una base, un fondamento di logica
e una sua valenza, ma sta diventando ormai un “elefante” che non si
riesce più a gestire.
Infatti, quando iper-regoli un settore di questo tipo ma non riesci più a
migliorare l’
outcome
o l’impatto, il risultato finale è che la gente ti dice:-
“Ma a che serve?”
. E chi vuole riciclare trova ancora, comunque, situazio-
ni in cui il suo obiettivo è ancora possibile.
E allora, qual è la soluzione? Non regolare? No, è regolare in modo efficien-
te e anche flessibile: usando modelli di analisi di rischio. Secondo me, la
valutazione di rischio è l’unica cosa che oggi permette di spostare dal
piano della regolazione rigida e inadeguata al piano della regolazione fles-
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sibile ma più efficace. Una cosa è regolare le banche in Sicilia, un’altra cosa
è regolare la banche in Scandinavia. Le regole del GAFI sono uguali dap-
pertutto. Va bene, ma poi le condizioni operative sono completamente di-
verse una dall’altra; e per questo richiedono modalità d’intervento diverse.
–Certo, perché anche gli operatori soggetti alla normativa anti-riciclaggio
sono diversi tra loro. E anche all’interno di una stessa categoria, come ad
esempio quella dei commercialisti, ci sono professionisti che hanno a che
fare con imprese che possono essere soggette o essere (più facilmente)
coinvolte in attività illecite quali la corruzione, il finanziamento illecito
dei partiti, l’evasione fiscale, la criminalità organizzata, ecc. e ci sono
invece professionisti che queste cose non le vedono, magari perché loca-
lizzati in aree geografiche marginali o perché operano in settori econo-
mici non toccati da questi fenomeni. E quindi anche in questo senso l’ap-
plicazione della norma dovrebbe essere tarata sul singolo e calata nel
contesto economico, sociale e culturale in cui opera.
Sì, sì, sì.
–Un’ultimadomanda, professorSavona.Come funzioneràoperativamente
l’analisi del rischio?
Dovremmo iniziare un progetto di ricerca sui modelli di analisi di rischio. Il
problema da considerare è: di quale rischio parliamo, in quali settori, in
quali aree. Spostando l’attenzione su analisi e valutazione di rischio, abbia-
mo modelli molto più flessibili da poter adattare alle situazioni. Quindi,
anziché iper-regolare tutto in modo uguale, andiamo a considerare situa-
zioni diverse di rischio e a queste adattiamo gli interventi regolativi, che
saranno dunque meno costosi all’inizio, più tarati sulla realtà e pertanto
potenzialmente più efficaci. A quel punto dovremmo avere una
regolamentazione più flessibile e modelli di analisi di rischio più precisi.
Tra l’altro, l’applicazione della normativa antiriciclaggio attraverso il meto-
do dell’analisi del rischio permette anche un diverso approccio alla norma-
tiva stessa. Prendiamo ad esempio la 231. La
compliance
alla 231 di una
banca non misura il rischio di riciclaggio di quella banca, ma riduce il ri-
schio per la banca di vedere processato il suo amministratore delegato a
causa di un impiegato infedele. In altre parole, adeguarsi alla normativa
non presuppone la verifica dell’esistenza del rischio, ma serve a dimostrare
di aver fatto tutto il possibile per evitare il rischio di riciclaggio. Che sono
due cose completamente diverse. Adottare un sistema basato sull’analisi del
rischio significa chiedersi: il cliente o la pratica che sto trattando rientra in
un’area, una zona, un settore, una situazione, in cui c’è una probabilità di
rischio di riciclaggiomaggiore, dovuta a infiltrazioni mafiose, presenze crimi-
nali, interessi o altri problemi di quel tipo…? È questo il punto. Se sì, applico
la disciplina normativa, altrimenti no. Ma è completamente diverso: cioè ti
sposti dalla iper-regolamentazione… Prendiamo il caso del
manager
. Il
ma-
nager
, in condizioni di sicurezza, ha due possibilità: una, si compra un pac-
chetto assicurativo e non si interessa più di quello che avviene in azienda;
l’altra, fa un
management
di rischio e cerca di gestire ed eliminare il rischio.
Allora, con l’implementazione delle raccomandazioni (FATF) e delleDirettive
europee tu ti compri un pacchetto assicurativo, e stai tranquillo pur non
essendo certo di aver eliminato il problema; un pacchetto che però costa.
Se tu fai l’analisi di rischio, costa molto meno ed è molto più efficace.
Io credo che Lei abbia compreso il sentore di tutti gli operatori che sono
soggetti attualmente alla normativa anti-riciclaggio. Perché poi, quando
si parla di studi professionali, che per la maggior parte sono di piccole o
medie dimensioni, l’adozione di un sistema di
compliance
ha spesso dei
costi che impattano sulla struttura in maniera significativa. Per quanto
riguarda i professionisti, bisognerebbe davvero proporre dei modelli di
analisi del rischio che possano semplificare inmaniera significativa, ma
efficace, il lavoro all’interno degli studi per rendersi
compliant
con la
normativa e per contribuire alla realizzazione del suo obiettivo.
Evasione fiscale, autoriciclaggio, titolare effettivo e analisi del rischio
silvia.decarli@studiouber.com