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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
risulta palese come, in realtà, la stessa Amministrazione Finanziaria sia ben
conscia della violazione del principio di non discriminazione sotteso all’art.
76 – 7 bis (ora art. 110, commi 10 e ss.) tanto da farne espressa menzione nei
lavori preparatori al fine specifico di fare salva l’applicazione (in deroga
espressa alla clausola pattizia) della norma anti-elusiva domestica.
10.
ILDIVIETODIDISCRIMINAZIONEEL'OBBLIGO
DISEPARATAEVIDENZADEICOSTINELMODELLOUNICO
Appurato che la discriminazione potenzialmente c’è e che, quindi, come
logica conseguenza, la sottoscrizione del Trattato (in assenza di una riser-
va espressa che faccia salva la norma “anti-abuso” domestica) preclude-
rebbe l’applicabilità dell’art. 110, commi 10 e ss. del TUIR, ci si potrebbe
interrogare, se comunque
l’onere di indicazione in dichiarazione dei red-
diti degli ammontari dedotti debba pur sempre essere esperito
.
Ora, da una semplice lettura della norma risulta evidente come l’obbligo di
indicazione separata nel Modello Unico dei componenti negativi di reddito
(cfr. il comma 11 dell’art. 110) è strettamente connesso alla presenza di
spese ed altri componenti di reddito rientranti nell’ambito applicativo di cui
al comma 10 dell’art. 110 più volte citato. Va da sé, che qualora si ritenga
che il Trattato prevalga sulla norma interna anche la separata indicazione in
dichiarazione dei redditi non dovrebbe essere esperita
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. Se ciò non fosse,
vi sarebbe comunque un certo grado di discriminazione nei confronti dei
soggetti esteri “convenzionati”.
Infatti, le operazioni con loro intercorse dovrebbero comunque sottostare
ad un onere non previsto per le operazioni “interne” senza contare che, a
buon senso, se disapplicazione della norma interna deve essere, essa deve
essere totale e non certo parziale.
*****
Ovviamente, anche se implicito, preme a questo punto evidenziare che il
contribuente italiano dovrà pur sempre dimostrare, nei rapporti con le
controparti “black list convenzionate”, l’effettività ed inerenza del costo
sostenuto secondo le ordinarie regole del Testo Unico (in particolare, in
ipotesi di acquisto di servizi).
In tale contesto, a nostro modo di vedere, va letta anche la sentenza della
Cassazione n. 4272 del 23 febbraio 2010 ove è stato affermato che
: “La
lettura di tali disposizioni
(Trattato contro le doppie imposizioni e
normativa anti paradisi fiscali in esame, n.d.a.)
esclude ogni rilevanza, nel
caso, all’(eventuale) antinomia esistente tra le stesse perchè entrambe
le norme suppongono, di necessità logica,
la ‘effettività’ del ‘costo’
(‘spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercor-
se tra imprese residenti e società domiciliate fiscalmente in Stati o
territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un
regime fiscale privilegiato’, per la norma del TUIR; ‘gli interessi, i
canoni ed altre spese pagati da un’impresa di uno Stato contraente ad
un residente dell’altro Stato contraente’, secondo la previsione della
convenzione) considerato in ognuna”
.
Peraltro, la conclusione della Suprema Corte non poteva essere differente se
solo si contestualizza il caso sottoposto al suo vaglio: trattavasi, infatti, di
rapporti commerciali tra due società (Italiana e Svizzera) collegate tra loro
ove la controparte estera veniva considerata dai giudici una mera “cartiera”
disattendendo
in toto
l’esistenza effettiva della transazione intercorsa.
11.
PAESIBLACKLISTCONCONVENZIONI INESSERE
CONILNOSTROPAESE
Alla luce di tutto quanto sopra argomentato, si ritiene, quindi, in sostanza,
di poter distinguere tra Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate
con Paesi “black list” in base alla presenza o meno di una formula conclu-
siva del seguente tenore:
“le disposizioni dei paragrafi precedenti del
presente articolo non pregiudicano l’applicazione delle disposizioni
interne per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale. La presente disposi-
zione comprende in ogni caso le limitazioni della deducibilità delle spe-
se e degli altri elementi negativi derivanti da transazioni tra imprese di
uno Stato contraente ed imprese situate nell’altro Stato contraente
”.
Qualora, infatti, gli Stati terzi “paradisiaci” con i quali sono state stipulate
Convenzioni contro le doppie imposizioni
non prevedano
una clausola come
quella sopra riportata (
che permette di derogare
al principio di non discri-
minazione), si potrebbe immaginare, per tutto quanto sopra affermato ed, in
particolare, in virtù della prevalenza della normativa convenzionale su quella
nazionale, che la disciplina prevista dall’art. 110, commi 10 e seguenti del
TUIR, risulti inapplicabile, e di conseguenza, parrebbe venir meno anche
l’obbligo di separata indicazione di detti costi “paradisiaci” in dichiarazio-
ne dei redditi.
Ciò detto, le Convenzioni stipulate tra l’Italia e Paesi “black list” con la
presenza della clausola di chiusura di cui sopra (e, quindi, ove la norma
anti-elusiva italiana rimane pienamente applicabile), risultano essere in
particolare:
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Gover-
no degli Emirati Arabi Uniti, L. 28 agosto 1997, n. 309, in vigore dal 5
novembre 1997;
– La Convenzione tra Governo della Repubblica italiana e il Governo
del Sultanato dell’Oman, L. 11 marzo 2002, n. 50, in vigore dal 22 ottobre
2002;
– La Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Liba-
no, L. 3 giugno 2011, n. 87, in vigore dal 21 novembre 2011.
Tra le Convenzioni stipulate con Paesi black list che non prevedono, inve-
ce, la formula di chiusura sopra citata e, per le quali, quindi il Trattato
potrebbe essere considerato prevalente rispetto alla normativa domestica,
in guisa della presenza della clausola convenzionale di “non discriminazio-
ne” figurano:
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Gover-
no della Repubblica Coreana, L. 10.02.1992, n.199, in vigore dal 14.07.1992;
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Repub-
blica dell’Ecuador, L. 31.10.1989, n.377, in vigore dal 01.02.1990;
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Gover-
no delle Filippine, L. 28.08.1989, n.312, in vigore dal 15.06.1990;
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Gover-
no dellaMalaysia (Malesia), L.14.10.1985, n.607, in vigore dal 18.04.1986;
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Gover-
no di Mauritius, L. 14.12.1994, n.712, in vigore dal 28.04.1995;
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e la Confe-
derazione Svizzera, L. 23.12.1978, n.943, in vigore dal 27.03.1979;
– La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Gover-
no della Repubblica di Singapore, L. 26.07.1978, n.575 , in vigore dal
12.01.1979.
12.
CONCLUSIONI
Come si è avuto modo di evidenziare, la normativa vigente anti “paradisi
fiscali” e l’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate in merito devono essere at-
tentamente confrontati e verificati con le indicazioni di natura internaziona-
le e, nello specifico, con i contenuti del modello OCSE.
Infatti, quale principio di carattere generale, la normativa contenuta nei
Trattati per evitare le doppie imposizioni stipulati dai singoli Paesi, una
volta ratificati, è considerata di rango superiore rispetto a quella interna
degli Stati contraenti. Tale circostanza emerge anche dal vigente quadro
tributario di riferimento (art. 75 del D.P.R. 600/1973 ed art. 169 del TUIR).
Ulteriore corollario del menzionato principio di specialità è che gli atti
legislativi di natura convenzionale sono derogabili da leggi ordinarie suc-
cessive, solamente qualora il legislatore manifesti esplicitamente la vo-
lontà di venir meno all’impegno internazionale assunto
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.
Pertanto, anche ove la previsione interna sia finalizzata ad evitare evasioni
di imposta, per poter disattivare il generale principio di non discriminazione
previsto nei Trattati contro le doppie imposizioni modellati sullo schema
OCSE, gli Stati contraenti devono esplicitamente “negoziare” con il partner
internazionale “una deroga espressa” alla generale applicabilità della rego-
la di non discriminazione più volte menzionata.
Conformemente a tale posizione, l’Italia ha inserito in talune recenti Con-
venzioni una specifica deroga al principio di non discriminazione, proprio a
favore dell’applicabilità dell’art. 110, co. 10 e 11, D.P.R. 917/1986.
In difetto di detta deroga, le conseguenze che derivano, in presenza di una
Convenzione contro le doppie imposizioni, appaiono sufficientemente chia-
re: i componenti negativi di reddito derivanti dal rapporto tra un soggetto
residente in Italia e quello domiciliato nell’altro Stato che abbia concluso
con il nostro Paese un Trattato contro le doppie imposizioni devono essere
assoggettati al medesimo regime giuridico applicabile nell’ipotesi in cui i
medesimi costi siano stati sostenuti nei confronti di un contribuente resi-
dente in Italia. Come logica conseguenza, la sottoscrizione del Tratto pre-
cluderebbe l’applicabilità dell’art. 110, comma 11, del TUIR stante la chiara
discriminazione di cui soffre la controparte estera e che si è cercato di
sintetizzare nel precedente paragrafo 9.
Ne consegue che occorre verificare, di volta in volta, non solo l’esistenza
dell’accordo contro le doppie imposizioni e la potenziale applicabilità dello
stesso alla società italiana ed all’impresa estera, ma anche l’inserimento o
meno di una specifica deroga nel senso innanzi evidenziato.
Operazioni con Paesi a regime
fiscale privilegiato
SEGUE DA PAGINA 15
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Anche su questo punto la dottrina è unanimemente concorde. Per tutti, vedasi, Studio del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili del Marzo
2012, parag. n. 13 intitolato
I rapporti tra la disciplina relativa alla deducibilità dei costi black list e le convenzioni contro le doppie imposizioni
, D. De Giorgi,
Rapporti
tra la disciplina della deducibilità dei costi black list e le Convenzioni contro le doppie imposizioni
, in Il Fisco n. 15 del 15 aprile 2013, pag. 1-2234 e ss.; G. Cristofori, L.
Miele
Operazioni effettuate con imprese domiciliate in “paradisi fiscali
, in Contabilità, Finanza e Controllo, n. 3/2003, p. 323 e ss.
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Sul punto, per tutti, vedasi F. Amatucci,
Il principio di non discriminazione
, Cedam, 1999.
alessandro.bampo@bampo.it