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NUMERO 213 - MAGGIO / GIUGNO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
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non discriminazione come sopra sintetizzato, nonché
(b)
una potenziale
violazione del principio di doppia imposizione internazionale, cui lo
stesso art. 24 del Modello OCSE è posto a presidio.
A corroborare tale assunto valgano le ulteriori considerazioni:
·
nelle note ministeriali di accompagnamento al Decreto Ministeriale
del 24 aprile 1992, che ha introdotto originariamente la c.d. “lista nera” dei
Paesi non collaborativi, si riconosce che, laddove i Paesi individuati nella
stessa siano controparte di un trattato contro le doppie imposizioni con
l’Italia, e questo contenga la clausola dello schema Ocse (articolo 24, para-
grafo 4) contro la discriminazione, la norma sull’indeducibilità dei costi è
resa inoperante dalla disposizione pattizia
14
;
·
nel commento ufficiale all’articolo 24, paragrafo 4, del modello di
convenzione Ocse (paragrafo 55 del Commentario Ocse all’articolo 24),
viene sancito
«è comunque possibile per gli Stati contraenti modificare
questa previsione nei Trattati bilaterali, per evitare il suo uso strumenta-
le a fini elusivi
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»
: ed, infatti, alcune Convenzioni concluse dall’Italia (su
cui
infra
) contengono una specifica clausola di deroga che, fermo il divie-
to di discriminazione, fa però salva la possibilità di applicare disposizioni
antievasive o antielusive (disattivando il principio di non discriminazione);
ora, parrebbe, quindi, abbastanza logico che, in assenza di tale specifica
previsione nel Testo dei Trattati o comunque nei vari protocolli aggiuntivi,
la clausola pattizia non possa essere disattesa da norme anti-elusive dome-
stiche.
6.
ILDIVIETODIDISCRIMINAZIONE:AMBITOAPPLICATIVO
La conclusione raggiunta in chiusura del paragrafo che precede necessita,
tuttavia, a nostro modo di vedere, di ulteriori approfondimenti.
Infatti, i livelli su cui è necessario riflettere sembrano essere i seguenti.
a)
In merito all’ambito
oggettivo
: ovvero quali siano i componenti ne-
gativi di reddito che eventualmente possano essere fatti rientrare nell’am-
bito della disposizione pattizia;
b)
In merito all’ambito
soggettivo
: ovvero se alle imprese residenti in
paesi a regime fiscale privilegiato possa comunque essere applicato il trat-
tato in quanto rientranti nel novero dei soggetti residenti ai fini delle Con-
venzioni contro le doppie imposizioni;
c)
se effettivamente vi sia una discriminazione del soggetto estero,
ovvero, la discriminazione sia in capo al contribuente italiano; ed una volta
appurato quale sia il soggetto che subisce la discriminazione, quale sia il
livello di discriminazione stessa;
d)
una volta appurato che vi sia discriminazione e che l’art. 110 venga
derogato dalla norma convenzionale, se vi sia pur sempre l’obbligo stru-
mentale di indicare in un rigo apposito della dichiarazione dei redditi i
componenti negativi di reddito salvo poi, in caso di richiesta di informazio-
ni da parte dell’Amministrazione Finanziaria e, quindi, in un secondo mo-
mento, far valere la norma pattizia.
Ciò detto, possiamo ora scendere nell’analisi degli aspetti sopra evidenziati.
7.
ILDIVIETODIDISCRIMINAZIONE:L’AMBITOOGGETTIVO
Innanzi tutto, va approfondito quale sia
l’ambito oggettivo
di applicazione
della disposizione sopra menzionata di cui all’art. 24 del Modello OCSE.
Effettivamente, la norma sembra far riferimento agli oneri ed ai componenti
negativi di reddito
pagati
ad un soggetto residente nell’altro stato con-
traente. Pertanto, in prima battuta, sembrerebbe che all’interno di tale
nozione possano essere fatti rientrare solo i componenti negativi di reddito
derivanti da una erogazione finanziaria e quindi, di conseguenza, ne sareb-
bero esclusi i componenti negativi di reddito derivanti da valutazioni.
Ciò comporterebbe, se si accetta l’interpretazione ministeriale e dottrinale
estensiva già sopra evidenziata - ovvero che nell’ambito di applicazione
dell’art. 110, commi 10 e ss. TUIR vi rientrino non solo i componenti nega-
tivi di reddito derivanti da un rapporto di causa ed effetto immediato tra
l’operazione e la spesa, ma anche, in via più ampia, tutti i costi derivanti da
operazioni intercorse aventi natura valutativa - un apparente disallineamento
dell’ambito applicativo delle due norme.
Peraltro, va sottolineato, come la dottrina più attenta che si è occupata
dell’art. 24 del Mod. OCSE sopra menzionato
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, ritenga che la finalità della
norma non debba essere ristretta ad operazioni aventi un mero effetto
finanziario, bensì debba abbracciare tutte le componenti negative di reddi-
to. Infatti, il rispetto del principio di uguaglianza insito nel divieto di discri-
minazione non può che essere interpretato in via estensiva.
A conferma di tale interpretazione, peraltro, si può evidenziare, che le note
ministeriali di accompagnamento al D.M. del 1992, già menzionate, non
ponevano alcuna distinzione sulla tipologia di componenti negative di
reddito.
Così, i lavori preparatori, i testi di ratifica delle recenti convenzioni contro le
doppie imposizioni (in cui viene fatta salva espressamente l’applicazione
della norma di cui all’art. 110, commi 10 e ss. anche in deroga al principio di
discriminazione dettato dall’art. 24 del Modello OCSE, su cui
infra
), ovvero
i protocolli aggiuntivi alle stesse, non hanno mai effettuato alcuna distin-
zione in ordine all’ambito oggettivo dei componenti di reddito da fare o
meno rientrare nell’applicazione della norma pattizia in parola.
8.
ILDIVIETODIDISCRIMINAZIONE:L’AMBITOSOGGETTIVO
Per quanto riguarda
l’ambito soggettivo
di applicazione della norma, si
tratterà di valutare se le imprese domiciliate all’estero possano essere con-
siderate società residenti ai fini convenzionali e, quindi, poter beneficiare
dei disposizioni pattizie contenenti, per l’appunto, il divieto di discrimina-
zione qui in esame.
Sul punto, si ritiene che detta valutazione non potrà che essere eseguita
caso per caso. Tuttavia, una particolare attenzione, secondo il nostro
modo di vedere, dovrà essere riposta all’eventuale applicazione di tale
principio anche alle stabili organizzazioni estere di società non residenti: si
pensi, a puro titolo esemplificativo, alle strutture societarie piuttosto diffu-
se nei gruppi multinazionali, ovvero alle c.d. “branch” svizzere di società
lussemburghesi od olandesi.
Infatti, anche la branch (o stabile organizzazione) estera può essere fatta
rientrare nel novero delle imprese domiciliate presso un Paese a regime
fiscale privilegiato (per l’appunto, nell’esempio, la Svizzera) cui risulta
applicabile potenzialmente l’art. 110, commi 10 e ss. TUIR. Tuttavia, in tale
caso, secondo l’interpretazione prevalente, il Trattato in vigore tra i due
Stati non potrebbe essere applicato alle stabili organizzazioni
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. Pertanto,
nel caso specifico, la clausola di non discriminazione di cui all’art. 24 del
Trattato tra Italia e Svizzera risulterebbe non applicabile.
9.
SOGGETTODISCRIMINATOEGRADODIDISCRIMINAZIONE
Una volta appurato che la convenzione sia applicabile alla società (o me-
glio all’impresa) estera, e che la componente negativa di reddito rientri
nell’ambito applicativo di cui all’art. 24 OCSE già più volte menzionato, va
anche approfondito
su chi grava la discriminazione
di cui all’art. 110,
commi 10 e ss. TUIR.
In altri termini, sembra lecito interrogarsi se effettivamente vi sia una discri-
minazione nei confronti dell’impresa estera e non vi sia piuttosto una di-
scriminazione in capo alla società italiana.
Infatti, a ben vedere, la norma interna non è che non consenta la deducibilità
tout-court
del componente negativo di reddito; bensì richiede un onere
della prova rafforzato in capo al contribuente italiano. E proprio qui, sta la
discriminazione: infatti se un’impresa italiana operasse con un’altra impre-
sa qui localizzata il componente negativo di reddito derivante dalla transa-
zione effettuata sarebbe deducibile se rispondesse agli ordinari canoni del
Testo Unico delle imposte sui redditi (rispetto dei principi di inerenza, cer-
tezza e competenza del costo) e l’onere della prova competerebbe all’Am-
ministrazione Finanziaria che, per l’appunto, dovrebbe dimostrare che l’ope-
razione è inesistente.
La società italiana operando, invece, con un’impresa domiciliata in un
Paese che ha, pur tuttavia, stipulato un trattato con l’Italia, si vedrebbe
gravata degli oneri probatori e dichiarativi già commentati. A tal punto che,
alla luce delle difficoltà connesse all’applicazione della norma domestica,
potrebbe preferire un fornitore italiano o un fornitore residente in un Paese
non a regime fiscale privilegiato. Va da sé che l’impresa estera residente in
un Paese “black list” (ma pur sempre lecita controparte internazionale alla
luce della stipula di un Trattato con il nostro Paese) ne risulterebbe ovvia-
mente discriminata.
Di ciò ne è pienamente (e giustamente) conscio il Ministero delle Finanze.
A riprova di ciò:
– nelle note ministeriali al D.M. del 1992 più volte citato lo stesso
Ministero ha ritenuto di far salva l’applicazione dell’art. 24 Modello OCSE
in deroga all’art. 76 – 7bis (ora art. 110, commi 10 e ss.);
– nelle varie prese di posizione aventi ad oggetto la stipula dei recenti
Trattati contro le doppie imposizioni (ad esempio con lo Stato di Oman)
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La Relazione governativa all’originario decreto ministeriale che individuava i Paesi black list (il D.M. 24 aprile 1992) prevedeva espressamente che “laddove i Paesi individuati
[dal decreto ministeriale, n.d.a.] siano titolari di un Trattato contro le doppie imposizioni con l’Italia [...] la norma novellata [art. 76, co. 7 bis, D.P.R. 917/1986, ora art. 110,
co. 10, del TUIR, n.d.a.] verrebbe di fatto resa inoperante dalla diversa disposizione pattizia“;
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Nella versione ufficiale inglese: “
It is however open to Contracting States to modify this provision in bilateral conventions to avoid its use for tax avoidance purpose
”.
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Secondo K. Van Raad,
Non-discrimination in International Tax Law
, Kluwer, 1986: “
the method of accounting applied by the taxpayer has no relevance for the
application. The expression ‘disbursement’ should not be interpreted as restricting the application of art. 24 to actual payment only
”. Nello stesso senso J.F. Avery Jones,
The non-discrimination Article in Tax Treaties
, in “European Taxation”, 1991: “t
his seems the case for the application of the deduction provision but it may be covered
by the wording of the provision, which refers to interest paid, although such a narrow interpretation would defeat the object of the provision in this case
”.
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Vedasi l’interpretazione fornita dal Commentario al Modello OCSE sub. art. 3 in tema di definizione dei soggetti residenti ai fini delle Convenzioni contro le doppie
imposizioni.
Operazioni con Paesi a regime
fiscale privilegiato
SEGUE DA PAGINA 14
SEGUE A PAGINA 16