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NUMERO 212 - MARZO / APRILE 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
1
Per un approfondimento si rinvia a Patrizia Riva :
L’attestazione dei piani delle aziende in crisi
; cap. 4
L’approccio adottato negli Stati Uniti
- Giuffré Editore 2009.
La Riforma
da riformare
SEGUE DA PAGINA 7
SEGUE A PAGINA 9
da di concordato fa
“scattare la protezione sul patri-
monio del debitore che lo pone al riparo dalle esecu-
zioni dei fornitori”
.
Questa opzione
ha aperto la porta agli abusi: cioè,
pur di congelare le esecuzioni dei creditori, si avvia-
no procedure del tutto inutili e strumentali con lo
scopo di prendere tempo. Infatti le domande che su-
perano la fase pre-concorsuale sono meno del 30%.
Le altre, inevitabilmente, sono di imprese destinate
al fallimento
.
Il G.D. ai fallimenti del Tribunale di Milano dott. Ro-
berto Fontana è intervenuto invece ne Il Sole 24 Ore
Impresa & Territori”
del 30 maggio dichiarando che
con il ricorso a questo strumento nel 90% dei casi si
coprono debiti solo per il 10% dell’importo e che la
riforma del concordato “in bianco” pone al riparo il
debitore dalle esecuzioni dei fornitori e non c’è più un
livello di minimo di pagamento ai creditori, che prima
delle riforme era del 40%.
Lo stesso Tribunale di Milano, peraltro, aveva fin da
subito sentito l’esigenza di fornire adeguate indicazio-
ni in merito alle norme di carattere concorsuale conte-
nute nel Decreto Sviluppo. Il
Plenum
dei giudici fal-
limentari milanesi, tenutosi in data 20 settembre 2012,
a distanza di un mese dall’introduzione delle nuove
norme, presso la seconda Sezione Civile-Fallimenti
del Tribunale di Milano, si era in particolare soffermato
su alcuni temi, ovvero:
il controllo puntuale dei bilanci allegati alla
domanda di concordato “in bianco”;
la necessità di avere a disposizione, anche se
non richiesta dalla legge, oltre agli ultimi tre bilanci
forse poco significativi, una situazione economico-
patrimoniale aggiornata;
la regolarità formale della domanda;
l’impossibilità, nelle more, di valutare critica-
mente e con cognizione di causa la documentazione
prodotta.
In generale, emergeva la necessità di poter disporre sin
da subito, di maggiori e più completi elementi di infor-
mazione al fine di poter esprimere un giudizio più
esaustivo sul debitore richiedente e sulla sua propo-
sta. Gli stessi giudici del Tribunale di Milano rilevava-
no che
“in mancanza di un organo tecnico in grado
di seguire l’andamento dell’impresa nelle more (della
presentazione del Piano) è da credere che il Tribu-
nale non sarà in grado di poter valutare criticamente
la documentazione
.
Già da queste considerazioni emergerebbe dunque la
necessità per i Giudici Delegati di farsi assistere, an-
che se la legge non lo prevede, almeno nella fase preli-
minare di valutazione, da professionisti esperti nella
materia economica finanziaria e di bilancio, in genere
dottori commercialisti ed esperti contabili, pratica che
sembra già essere stata adottata da vari tribunali na-
zionali. Ricordiamoci che con la riforma della legge
fallimentare il requisito della “meritevolezza” dell’im-
prenditore, come elemento di valutazione, è stata eli-
minata e perciò ogni informazione aggiuntiva, rispetto
ai tre bilanci che la legge oggi richiede, può essere mol-
to utile ai giudici per il loro primo giudizio ed approc-
cio alla pratica.
L’obiettivo della riforma e le prime criticità
Se da una parte nella riformulazione del nuovo concor-
dato preventivo in bianco (6° c. art. 161 L.F.) e del
nuovo concordato con continuità aziendale (art. 186
bis L.F.) l’obiettivo è stato quello di migliorare l’effi-
cienza dei procedimenti giudiziari e di favorire il salva-
taggio di aziende “virtuose”, garantendone la continui-
tà aziendale da negoziare con la maggioranza dei
creditori all’interno di una procedura più snella ed
innovativa rispetto a quella precedente, dall’altro il
legislatore, visti i primi risultati, ha evidentemente
sottovalutato le conseguenze di questa “apertura” che
ha dato spazio a chi, in realtà, non ha alcuna intenzio-
ne di accedere ad una procedura concordataria, mirando
esclusivamente alla sospensione delle azioni dei creditori,
non avendo istituito appositi organi di valutazione, con-
trollo e sorveglianza del debitore e del suo progetto, ed
avendo lasciato ai giudici questo compito.
In proposito, la
Relazione
di accompagnamento al
testo di legge così recita:
“l’opzione di fondo che
orienta l’intervento è quella di incentivare l’impresa
a denunciare per tempo la propria situazione di cri-
si, piuttosto che quella di assoggettarla a misure di
controllo esterno che la rilevino
”.
L’obiettivo dichiarato della revisione della principale
procedura di composizione negoziale della crisi rego-
lata dal concordato preventivo è dunque quello di pun-
tare sull’emersione anticipata della crisi, attraverso la
previsione dell’introduzione della possibilità di una
semplice domanda “in bianco”, senza indicazione se
vi sarà o meno un prosieguo e in che termini.
Si tratta indubbiamente di una procedura in grado di
aiutare in misura molto rilevante molti imprenditori
“virtuosi” a superare il momento di difficoltà, ma che
purtroppo, a causa delle modalità operative scelte dal
legislatore, lascia ampio spazio a comportamenti al
confine del lecito, che finiscono per vanificare i nobili
obiettivi della riforma.
Il richiamo di aggiustamenti
del Consiglio Superiore della Magistratura
Già prima dell’entrata in vigore della riforma, anche la
Sesta Commissione del Consiglio Superiore della Ma-
gistratura, riunitasi in data 5 luglio 2012 con all’ordine
del giorno l’art. 33 del Decreto Sviluppo (revisione
della legge fallimentare), se da una parte aveva apprez-
zato la novella perché
“contribuisce ad assicurare
una maggiore trasparenza nelle operazioni in esame
ed un miglior controllo da parte del giudice”
,
dal-
l’altra aveva denunciato alcune criticità dell’istituto di
concordato preventivo “in bianco”, affermando che:
“sarebbe opportuno che la decisione sull’attivazio-
ne dell’ombrello protettivo e sull’estensione di detta
protezione fosse assunta dal giudice in maniera di-
screzionale”
,
cosa che invece non avviene in virtù
dell’art.161, comma 6 della L.F. che prevede:
“un vero
e
proprio automatismo che non consente un vaglio
adeguato da parte del giudice”
,
rimettendo così:
“alla
scelta del debitore l’operatività della protezione”
.
Altra criticità della normativa, a parere della Commis-
sione,
“è quella di non operare alcuna distinzione
tra concordati di natura liquidatoria e concordati
c.d. in continuità”
sotto il profilo dell’automatico
sacrificio delle ragioni dei creditori, che invero sarebbe
più giustificato in caso di concordati finalizzati alla
continuità dell’attività rispetto ai classici condordati
liquidatori. Inmancanza di adeguati aggiustamenti, con-
cludevano i magistrati,
“si rischia un uso strumentale
- a soli fini dilatori - della nuova fattispecie da parte
di imprese già ampiamente insolventi”;
gli stessi ri-
badivano quindi che
“occorre evitare un irragionevo-
le e ingiustificato incremento del ricorso all’istituto
del concordato preventivo”
.
Un appello rimasto purtroppo inascoltato.
La normativa USA del “Chapter 11”
e il “concordato in bianco”
La protezione concessa al debitore sulla base di una
mera presentazione di una domanda di concordato in
bianco, si è ispirata al modello del famoso “
Chapter
11 - Reorganization” ,
capitolo della legge fallimen-
tare americana riguardante le modalità di gestione ed
alcune caratteristiche delle procedure di crisi america-
ne previste dallo “
United States Bankruptcy Code
1
.
La procedura prevista ai sensi del Chapter 11 ha
l’espresso obiettivo di consentire al debitore di proce-
dere ad una vera e propria riorganizzazione finalizzata
al salvataggio ed alla prosecuzione dell’azienda, attra-
verso la predisposizione di un piano di pagamento dei
creditori. Le imprese in difficoltà economica possono,
in buona sostanza, far autorizzare dalla Corte un “
plan
senza, tuttavia, essere costrette a procedere alla liqui-
dazione dell’attivo.
In questi casi, non viene di norma nominato un curato-
re fallimentare e il debitore continua a gestire la pro-
pria azienda, rimanendo nella disponibilità della
property of the estate
, e diventando
debtor in
possession (DIP
), il tutto peraltro sotto l’attento con-
trollo del tribunale. Vengono tuttavia nominati uno o
piu’ Comitati di Creditori incaricati di sorvegliare il
debitore e di negoziare fattivamente con lui il piano di
riorganizzazione (e questa è forse la più importante
differenza rispetto al nostro istituto), che dovrà, poi,
essere sottoposto al vaglio della Corte. Affinchè il
piano possa essere approvato dal tribunale occorre il
voto favorevole della maggioranza numerica dei
creditori, che rappresentino i 2/3 del totale dei crediti.
Peraltro, se il tribunale ritiene che il piano proposto
sia meritevole, può deciderne l’approvazione anche
contro la volontà degli stessi creditori. Nel caso in cui
il piano non venga approvato, il tribunale può dispor-
re la conversione del procedimento di riorganizzazione
in liquidazione, ai sensi del “
Chapter 7 – Liquidation
(equiparabile al nostro Fallimento).
Non è possibile in questa sede effettuare una appro-
fondita analisi comparativa tra gli istituti italiani e quelli
statunitensi. Si può peraltro evidenziare come la pro-
cedura prevista dal
Chapter 11
(sia nei casi di accesso
volontario alla stessa da parte dell’imprenditore, che
nei casi – meno frequenti - di accesso su istanza di
terzi, e anche nei casi in cui non siano rilevate dalla
Corte situazioni di frode, disonestà, incompetenza o
di cattiva gestione da parte del debitore) sia caratteriz-
zata da un controllo stringente ed attivo su tutta la
fase di predisposizione del Piano, che risulta del tutto
assente nel nostro “concordato in bianco”, ove trovia-
mo – quali unici meccanismi di “tutela e controllo” – la
necessità dell’autorizzazione preventiva del tribunale
per gli atti di straordinaria amministrazione e l’atte-
stazione del professionista indipendente in merito alla
fattibilità del Piano.
Un tanto sorprende vieppiù se si considera la profon-
da differenza culturale in materia di insolvenza esi-
stente tra il nostro Paese (ove il fallimento è storica-
mente vissuto come un male supremo e un’onta inde-
lebile) e gli Stati Uniti (ove tuttora nel sito delle United
State Courts – www.uscourts.gov - la sezione
“Bankruptcy” inizia con la seguente introduzione:
Bankruptcy laws
help people
who can no longer pay
their creditors
get a fresh start
– by liquidating assets
to pay their debts or by creating a repayment plan.
Bankruptcy laws also
protect troubled businesses
and
provide for orderly distributions to business creditors
through reorganization or liquidation
”).
E forse sono proprio queste differenze culturali, in
uno con quelle procedurali, ad aver consentito quel-
l’uso distorto dell’istituto che si sta diffondendo nel
nostro Paese.
Si pensi che addirittura nella prima formulazione della
norma sulla domanda di concordato “in bianco”, poi
modificata all’ultimo momento in Senato, non era sta-
to previsto neppure l’obbligo del deposito dei bilanci
relativi agli ultimi tre esercizi, che, alla prova dei fatti,
risultano anch’essi evidentemente insufficienti per
conoscere sin da subito la situazione patrimoniale e
finanziaria e le vere intenzioni dell’imprenditore in
crisi. In effetti, anche se la norma prevede che il tribu-
nale possa disporre obblighi informativi periodici dopo