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NUMERO 212 - MARZO / APRILE 2013
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SILVIA ZANON
Ordine di Treviso
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 4
Il nuovo articolo 161 L.F. alla luce del
decreto sviluppo e successive modifiche
SPECIALE CONCORDATI / 1
1. Brevi cenni storici: l’esigenza di salvare
il patrimonio aziendale
L’istituto del concordato preventivo è nato agli inizi
del XX secolo con la legge 24.05.1903, n. 197, al fine
di colmare una lacuna legislativa che prevedeva come
unica procedura quella della
moratoria fallimenta-
re,
retaggio del Codice del Commercio del 1882.
Attraverso la moratoria fallimentare, il debitore
insolvente poteva in alternativa, o essere dichiarato
fallito, o evitare l’apertura della procedura, a suo cari-
co, qualora fosse in grado di dimostrare che il mancato
pagamento dei propri debiti dipendesse da eventi ec-
cezionali ed imprevedibili, comunque scusabili, o di-
mostrasse, attraverso la presentazione di documenti
ed idonee garanzie, che il suo attivo patrimoniale era
superiore al passivo.
Tale istituto, tuttavia, non aveva dimostrato una gran-
de efficacia, pertanto, nella legge 17.04.1925 n. 473,
venne istituita la procedura del
concordato preventi-
vo,
che, scontando l’influenza di alcune legislazioni
straniere, permetteva di concludere una sorta di
ac-
cordo amichevole,
tra
imprenditore e fornitori.
Tale accordo si manifestava attraverso una
proposta
di pagamento dilazionato o decurtato
,
assistita da
garanzie reali
o personali (concordato dilatorio e/o
remissorio), ovvero nella cessione dei beni ai creditori.
Il debitore, considerato sfortunato ma comunque me-
ritevole, poteva quindi concludere un accordo con i
propri creditori al fine di evitare il fallimento.
A seguire, vennero introdotte altre modifiche dalla L. n.
995 del 10.07.1930 e, successivamente, la materia fu
rivisitata dalla tutt’ora vigente Legge Fallimentare di cui
al Regio Decreto 16.03.1942 n. 267 (di seguito L.F.).
Tuttavia, emergeva ancora l’inadeguatezza del siste-
ma legislativo, nel momento in cui troppo spesso
l’apertura della procedura concorsuale avveniva in un
momento in cui l’attivo era già stato eroso, e
l’insolvenza era tale da collocare l’impresa in una con-
dizione di irreversibilità, rendendo quindi poco fun-
zionale e sconveniente, anche per i creditori, l’apertu-
ra della procedura stessa. Il legislatore, oltretutto, non
era intervenuto nel prevedere una procedura
giurisdizionale che permettesse all’imprenditore in crisi
di far emergere e segnalare, in maniera tempestiva, la
propria situazione di difficoltà economica.
E’ interessante notare come questo percorso evolutivo,
volto a realizzare uno strumento di “salvataggio del
valore aziendale”, si sia sviluppato in netta contraddi-
zione rispetto al principio che sancisce l’esclusione
dal mercato dell’impresa inefficiente.
Questo perché, se nella teoria è vero che il mercato si
equilibra autonomamente in un’ottica di eliminazione
del “soggetto debole”, nella pratica capita spesso che
il costo sociale derivante dall’esclusione di un’impre-
sa dal mercato superi il beneficio che scaturirebbe dal
recupero o dal mantenimento della stessa. Basti con-
frontare le conseguenze della cessazione dei rapporti
di lavoro e della frequente insoddisfazione della com-
pagine creditoria anche in caso di procedura fallimen-
tare, rispetto a quelle di un possibile recupero o riavvio
dell’impresa con l’intervento di nuovi capitali.
Si profilava quindi sempre più la necessità di "accom-
pagnare" l’imprenditore, già in fase in crisi, in modo
tale che potesse gestire adeguatamente la situazione
evitando di trainare l’impresa in una condizione
irreversibile condannandola alla liquidazione.
Ed è stato proprio in funzione di tutto ciò, nell’inte-
resse del debitore, ma anche e soprattutto degli
stakeholders, che è intervenuta la L.14.05.2005 n.80,
di conversione del D.L. 14.05.2005 n.35 recante “di-
sposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per
lo sviluppo economico, sociale e territoriale”.
Con le predette modifiche, il legislatore ha iniziato il
percorso di superamento della contrapposizione tra la
tutela dei creditori e la conservazione degli organismi
produttivi. Ma è stato solo con il D.L. 169/2007 che il
legislatore, dissociandosi completamente dalle logiche
passate, ha reso il concordato preventivo uno stru-
mento flessibile ed equilibrato consentendo, mediante
la ristrutturazione del complesso aziendale o attraver-
so la liquidazione dei beni, di sottoscrivere un accordo
con i creditori.
E’ stata quindi data all’accordo una connotazione
civilistico-contrattuale, in cui i creditori hanno il pote-
re di valutare la convenienza del piano rispetto ai loro
interessi con l’ausilio del tribunale, tenuto a vigilare
per tutta la durata della procedura.
Il processo evolutivo è quindi continuato con il D.L.
29.11.2008 n. 185, convertito in legge 28/01/2009 n.2.
seguito dal D.L. 31.05.2010 n.78, convertito in legge il
30.07.2010 n.122, fino alle recenti modifiche, di qual-
che mese fa, operate con il D.L.22.06.2012 n. 83, con-
vertito in legge n. 134 del 7.8.2012, (entrato in vigore
lo scorso 11 settembre attraverso cui il legislatore ha
introdotto il nuovo istituto del “pre concordato”, che
sarà oggetto di analisi nei paragrafi seguenti), con il
D.L. 18.10.2012 n. 179 convertito in legge 17.12.2012
n. 221 ed infine con la legge n. 228 del 24.12.2012.
1.1 I requisiti soggettivi
prima e dopo il D.L. 169/2007
E’ opportuno, al fine di comprendere le recenti modi-
fiche al concordato preventivo ex art 161 L.F., riassu-
mere l’evoluzione dei principi cardine attorno ai quali
questo istituto si è evoluto. Secondo il dettato
normativo precedente al 2007, infatti, l’imprenditore
che voleva evitare il fallimento e soprattutto gli effetti
personali di questo, era tenuto a presentare una do-
manda contenente le cause del dissesto, le modalità, ed
i termini della proposta di concordato.
La documentazione andava depositata presso il tribu-
nale del luogo dove era fissata la sede principale del-
l’azienda e, alla stessa, andavano allegate le scritture
contabili, l’elenco dei creditori e lo stato estimativo
delle attività. Il concordato rappresentava un accordo
giudiziale e, per la sua omologazione, era necessario il
consenso della maggioranza dei creditori votanti, pari
a due terzi della totalità degli ammessi al voto.
Indispensabile era la sussistenza dei requisiti soggetti-
vi quali: l’iscrizione dell’imprenditore nel Registro delle
Imprese da almeno 2 anni, la regolare tenuta della
contabilità, l’assenza, nei cinque anni precedenti, di
una dichiarazione di fallimento e/o di ammissione alla
procedura di concordato preventivo, l’incensuratezza
per bancarotta fraudolenta, l’offerta di garanzie reali o
personali, per il pagamento integrale dei creditori pri-
vilegiati e per la soddisfazione dei creditori chirografari
in percentuale non inferiore al 40%. Infine, la cessione
ai creditori di tutti i beni che facevano parte del patri-
monio aziendale.
Con la riforma del 2007, invece il legislatore ha am-
pliato le casistiche in cui l’imprenditore poteva ado-
perare il concordato ed ha imposto che l’unico sogget-
to legittimato alla presentazione della relativa doman-
da fosse il debitore stesso.
Il legislatore ha inoltre mantenuto un unico requisito
soggettivo per la presentazione della domanda, ovve-
ro la qualifica di imprenditore commerciale, così defi-
nita, per esclusione, dall’art.1 della L.F.
Ha quindi imposto che la domanda venisse presentata
nella forma del ricorso, prevedendo implicitamente
l’intervento di un legale, e precisando che lo sposta-
mento della sede aziendale, nell’anno precedente, non
rilevava ai fini della competenza territoriale del tribu-
nale. In ottica di continuità e conservazione del valore
aziendale, nel caso in cui dinnanzi allo stesso tribunale
fossero pendenti un’istanza di fallimento ed una pro-
posta di concordato, il tribunale era tenuto a pronun-
ciarsi prima sulla proposta di concordato e poi, even-
tualmente, sull’istanza di fallimento. Ciò, a prescinde-
re da quale richiesta fosse stata depositata per prima.
1.2 I requisiti oggettivi
prima e dopo il D.L. 169/2007
Se prima della riforma del 2005 il presupposto per
l’accesso alla procedura del concordato era lo “stato di
insolvenza”, e quindi, come si diceva in premessa, una
situazione in cui l’azienda si trovava già, per così dire,
in una situazione irreversibile, con il 2005 il legislato-
re, seguendo un’ottica di salvataggio dell’impresa, ha
stabilito che fosse sufficiente lo “stato di crisi”.
Lo stato di crisi appunto rappresenta quindi il requisi-
to oggettivo per poter accedere alla procedura.
Ciò che è variato rispetto a prima, con il D.L. 169/
2007, è la definizione stessa di stato di crisi.
Se in precedenza, infatti, lo stato di crisi coincideva
necessariamente con la situazione di insolvenza
irrimediabile dell’azienda che escludeva nella maniera
più categorica un eventuale recupero economico e fi-
nanziario, con lamodifica legislativa del D.L.169/2007,
la situazione di crisi rappresenta una condizione mo-
Il presente lavoro è stato elaborato prima della pubbli-
cazione delle modifiche approvate dal c.d. “Decreto
del Fare”, non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale
al momento della chiusura del presente numero (n.d.r.)