Page 22 - CV_212

Basic HTML Version

NUMERO 212 - MARZO / APRILE 2013
21
IL COMMERCIALISTA VENETO
D.P.R. 787/80, impugnazione che
presenta profili di similitudine con
la procedura in argomento.
In sostanza, le parti senza stare ad
arroccarsi ognuna sulle proprie po-
sizioni, potrebbero di comune ac-
valuta il reclamo-ricorso con istanza di mediazione nonché della mancanza
delle garanzie assicurate, nel caso di conciliazione, dal vaglio Presidenziale
dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità dell’accordo di
rideterminazione della pretesa.
Sugli atti reclamabili
La circolare 19 marzo 2012, n. 9/E, propende per l’estensione della procedu-
ra obbligatoria di mediazione agli atti impugnabili elencati nell’art. 19, D.Lgs.
31 dicembre 1992, n. 546, valorizzando il rinvio di cui all’art. 17 bis dello
stesso decreto quale rinvio letterale e omnicomprensivo a detta norma.
Se anche l’elenco di cui all’art. 19 costituisse
numerus clausus
, non ci si
potrebbe comunque esimere dall’esaminare il caso di quegli atti che sul
piano fattuale non si prestano particolarmente bene alla definizione in me-
diazione (quelli che non si prestano all’adesione, come ci sembrava all’in-
troduzione della procedura obbligatoria di mediazione, quando il parallelo
con il D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, era parso il più immediato). Occorre
riconoscere, infatti, come colui che ha concepito il decreto 218, abbia mani-
festato una maggior finezza legislativa, valorizzando sì il fine deflattivo, ma
come una garbata esigenza di riduzione del numero dei processi, sempre
elegante anche alla prova del
test
della sistematicità. Infatti, all’epoca del-
l’introduzione del procedimento di accertamento con adesione, alcuni atti
non sono passati attraverso il reticolo del setaccio speculativo alla luce
delle loro particolari caratteristiche: gli avvisi di liquidazione, le cartelle di
pagamento derivanti dall’attività di liquidazione.
Non si potrebbe, insomma, non manifestare qualche perplessità circa
l’estensione dell’applicabilità della procedura obbligatoria di mediazione a
tutti gli atti elencati all’art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, (eccetto
quelli di cui all’art. 47 bis). In particolare, si dubita della reclamabilità degli
avvisi di (mera) liquidazione, con riferimento ai quali non pare che la prete-
sa sia suscettibile di essere definita in mediazione in senso proprio.
Circa il rifiuto tacito alla restituzione di tributi e accessori, inoltre, si nutre
qualche dubbio sulla reclamabilità, così come giustificata dalla Circolare 9/
E in virtù dell’asserita applicabilità dell’art. 19, comma terzo, D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546. Detta norma disciplina le sole ipotesi in cui vi sia
obbligo dell’ufficio di notificare l’atto presupposto, tanto che la mancata
notifica di quest’ultimo, che determina vizio procedurale per interruzione
della sequenza procedimentale caratterizzante l’azione impositiva, implica
il diritto del contribuente di impugnarlo unitamente all’atto derivato. Le
fattispecie in argomento non ricorrono nel caso di silenzio-rifiuto.
Ci sono, infine, ipotesi di atti reclamabili derivati da atti presupposti non
reclamabili (esempio tipico: gli accertamenti a carico dei soci nell’applica-
zione delle presunzioni di secondo grado derivate dalla presunzione di
primo grado della ristrettezza della base azionaria), ove, oltre che improduttiva
sul piano fattuale, la procedura obbligatoria di mediazione rischia di cagiona-
re conseguenze processuali asistematiche (per continuare nell’esempio della
ristretta base azionaria, nella quale a seguito dell’orientamento che vuole
l’applicabilità dell’art. 295 c.p.c., ancor più si faticherà a negare la presunzio-
ne di secondo grado e l’autonomia dell’accertamento derivato: quale auto-
nomia sul piano procedimentale per l’atto che sul piano processuale è ritenu-
to dalla giurisprudenza di legittimità legato all’atto presupposto mediante
nesso di pregiudizialità dipendenza? A voler tacere dell’aspetto del riflesso
del vincolo di consequenzialità necessaria, che sotto il profilo processuale
potrebbe indurre anche fino al bivio del litisconsorzio necessario, su cui
ancora s’adombra qualche ondivaga interpretazione.
Difficoltà operative, inoltre, si evidenzieranno necessariamente per gli atti
che coinvolgono più controparti, in particolare la parte Agenzia del territo-
rio per la quale l’intervenuta incorporazione nell’Agenzia delle Entrate
15
,
non dà ragione delle diverse sfere di funzione. Analoghe considerazioni,
anche rimanendo su un piano squisitamente intuitivo, potrebbero essere
svolte in merito all’inadeguatezza della procedura obbligatoria per le ipote-
si di litisconsorzio necessario, coobbligazione solidale, distinzione tra uffi-
cio che emani l’atto e controparte processuale, come nel caso delle attività
dei Centri operativi.
Se, invece, l’elenco di cui all’art. 19 non costituisse
numerus clausus
, come
è ragionevole arguire sulla base della considerazione che il legislatore è
prolifico di nuove forme provvedimentali ma non è minuzioso nel novellare
le norme procedimentali e processuali che ne risultano interessate (all’in-
troduzione di una nuova forma provvedimentale, il Legislatore non ha cer-
to cura di aggiornare le norme che elencano provvedimenti), non ci si
potrebbe comunque esimere dall’esaminare, ai fini del
test
della reclamabilità,
SEGUE DA PAGINA 20
14
Sono note le raffinatezze che raggiunge la dottrina ove si inoltri nello spinoso tema del distinguo tra documento, elemento di prova e prova. Basti pensare alle distinzioni, talora
più filosofiche che idonee a trovare concreta attuazione, riconducibili alle interpretazioni dell’art. 58, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di disciplina delle nuove prove e dei
documenti in appello.
15
Per una disamina dell’interpretazione dell’Agenzia, dopo l’incorporazione dell’Agenzia del Territorio da parte dell’Agenzia delle Entrate (articolo 23 quater, D. L. n. 95/
2012), si veda la circolare 28 dicembre 2012, n. 49/T.
SEGUE A PAGINA 22
Procedura obbligatoria
di mediazione tributaria:
incognite procedurali
cordo, cominciare ad applicare un’interpretazione costituzionalmente orien-
tata della norma. E, uno degli strumenti per attuare lo scopo, sarebbe la
garanzia dell’esperibilità della fase cautelare, in ipotesi di disaccordo, ossia
in ipotesi di diniego della sospensione amministrativa. Del resto, se l’Agen-
zia nega la sospensione amministrativa, quali timori potrà nutrire circa
l’udienza di sospensione? Avrà ragione di ritenere che non ci siano né
fumus
periculum
. Se è così, potrà aspirare a vedersi confermata la pro-
pria tesi dall’ordinanza emessa a seguito dell’udienza cautelare. E ciò a
voler tacere del fatto che forse abbiamo creato noi stessi il tema, ipotizzando
che ci volesse un passaggio del 17 bis espresso sul punto. Magari sarebbe
bastato pensare che la disciplina fosse implicita. E nell’implicito, avremmo
trovato il razionale della semplicità, non già il criptico.
Quanto alle residue iscrizioni a ruolo ex art. 36 bis e 36 ter, D.P.R. 29 settem-
bre 1973, n. 600, non mi pare, invece, abbastanza lineare da poter esser
reputata coerente la tesi di chi, per impugnazioni di cartelle e ruoli, scinde
reclamo-ricorso e ricorso in senso stretto e affida al reclamo-ricorso con
istanza di mediazione le sorti dell’iscrizione a ruolo, costituendosi, invece,
mediante deposito del ricorso per i profili che attengono alla cartella di
pagamento.
Sulla produzione di documenti
Pare sostenibile la tesi della piena applicabilità dell’art. 32, comma primo,
D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche per l’ipotesi di liti che provengano
dalla procedura obbligatoria di mediazione, nonostante il richiamo dell’art.
17 bis, comma sesto, all’art. 22, comma quarto. Nell’originaria struttura del
processo tributario, infatti, il ricorrente che depositi documenti unitamente
al fascicolo di parte, conserva il diritto di depositarne altri successivamen-
te, purché nel termine dei venti giorni liberi anteriori alla trattazione. Tale
conclusione appare corretta anche in considerazione delle tempistiche di
manifestazione della motivazione dell’atto, recante la pretesa, e di esibizio-
ne della prova della pretesa stessa. L’assolvimento dell’obbligo
motivazionale in sede di emissione dell’atto, con onere di esibire la prova
procrastinato alla fase contenziosa, tradizionalmente accettato anche dalla
giurisprudenza di legittimità, implica il diritto del contribuente di replicare e
depositare prove documentali durante il processo.
La procedura obbligatoria dovrebbe consumarsi su un piano di sostanziale
parità tra ufficio e contribuente. Ne consegue che se si riserva all’ufficio la
facoltà di esibire la prova anche durante il processo, al contribuente si
deve garantire il contraltare di detta facoltà (alla luce quantomeno del prin-
cipio del contraddittorio, del diritto di difesa e della necessità di evitare
surrettizie ed illegittime inversioni dell’onere probatorio). E anche si rite-
nesse l’ufficio gravato dell’onere dell’esibizione della prova nella fase am-
ministrativa, si nutrono dubbi circa la possibilità di ritenere implicita l’abro-
gazione, per gli atti reclamabili, dell’art. 32, comma primo, D.Lgs. 31 dicem-
bre 1992, n. 546 (abrogazione che, peraltro, dovrebbe allora operare per
tutte le parti del processo).
Lo spessore dell’argomento richiederebbe che la questione fosse appro-
fonditamente rimeditata
14
.
Sul sistema sanzionatorio e sull’esclusione della conciliazione giudiziale
Non si può non osservare come la quantificazione delle sanzioni dovute
nell’ipotesi in cui si addivenga a mediazione, identica a quella riservata
all’eventualità della conciliazione ex art. 48, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
risulti eccessiva in considerazione della non terzietà della struttura che