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NUMERO 212 - MARZO / APRILE 2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
ALVISE BULLO
Ordine di Venezia
IL COMMERCIALISTA VENETO
SEGUE A PAGINA 18
L'accertamento sintetico/redditometrico
ARIANNA ROSSI
Ordine di Udine
Premessa
Preliminarmente appare necessario porsi degli interrogativi circa le principali carat-
teristiche insite negli accertamenti sintetici/redditometrici (in particolare nel c.d.
“vecchio” redditometro, ancorché si ritiene che la maggior parte di quanto si andrà
ad esporre possa valere anche per il c.d. nuovo redditometro).
Ciò specificato, giova chiedersi se la presunzione che scaturisce dall’accertamento
redditometrico è una presunzione legale relativa (art. 2728 c.c.) oppure una presun-
zione semplice (art. 2729 c.c.)? Si ritiene che, in realtà, la stessa debba intendersi un
“ibrido” tra le due. Perché si risponde con un’affermazione così forte e “non
corretta” nell’ambito del diritto civile, amministrativo e quindi esternamente al
diritto tributario? Semplicemente perché vi è una difficilissima coesistenza a siste-
ma tra l’art. 2728 c.c. e l’art 53 della Costituzione (cfr
.
Corte Costituzionale n. 225/
2005 nell’ambito delle indagini finanziarie), tant’è che la stessa Cassazione aveva
ritenuto
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di mutare il proprio orientamento ormai consolidato, salvo poi tornare sui
suoi passi. Pertanto, nessuno può negare la valenza legale della presunzione
sottostante il valore redditometrico (si pensi alla metodologia di determinazione
dell’asserito maggior reddito sui mutui accesi per l’acquisto della prima casa e, in
generale, di un’abitazione, calcolato in funzione della spesa che si interseca con
coefficienti predeterminati dalla legge e che, però, richiede un onere probatorio in
capo al contribuente – ex art. 2697 c.c. – che a volte è del tutto avulso dalla realtà
fattuale); ferma restando, tuttavia, la possibilità di “difendere” detta presunzione
(relativa e legale) non solamente fornendo la prova contraria (redditi esenti, altri
redditi, ecc.), bensì attaccando (a monte) anche l’
iter
di formazione della presunzio-
ne stessa
3
. Aquesto punto bisogna chiedersi quale sia il modo ed il mezzo per poter
attaccare la risultante della presunzione legale relativa (posto la limitatezza delle
prove esistenti nel processo tributario - art. 7, co 4, D.Lgs. n. 546/1992). Si ritiene,
in proposito, che l’unico mezzo possibile possa essere il ricorso al tema della
“inverosimilità”. Cosa significa dichiarare un’inverosimilità accusatoria e quali sono
i mezzi di legge che lo consentono? Semplice, sia permesso, anche se troppo spesso
tale argomentazione viene trascurata nei ricorsi introduttivi. Per dimostrare
l’inverosimilità accusatoria (al fine di far venir meno un accertamento ritenuto
inverosimile) bisogna ricorrere al combinato disposto delle seguenti norme: “art.
2697 c.c.; art. 115, co 1 e 2 cpc; art. 7 co 5 D.Lgs. n. 546/1992; art. 53 Costituzione;
abuso del diritto
4
”.
Anzitutto giova comprendere l’importanza dell’art. 115, co 2 c.p.c. (in particolare
stante la limitatezza delle prove nell’ambito del contenzioso tributario posto che,
di fatto, l’unica “vera” prova è documentale). Secondo il citato articolo non si
abbisogna di suffragio probatorio (documentale, nell’ambito del contenzioso tribu-
tario) allorquando si sostiene una c.d. massima di esperienza comune (a tutti nota
e, per tale ragione, vera, proprio per la sua diffusività ed oggettività). Infatti, se si
dovesse sostenere che ogni mattina sorge il sole, non sarebbe necessario produrre
una foto a riprova di ciò, dal momento che chiunque è a conoscenza di tale
accadimento fattuale. Detta massima, se calata nell’ambito della difesa da
redditometro, è molto utile. Infatti, costituisce una massima di esperienza comune
(a tutti nota) che se un contribuente percorre con la propria autovettura 5.000 km
in un anno (fermo restando l’onere di dimostrare tale percorrenza chilometrica),
ebbene non possono essergli verosimilmente addebitati, ad esempio, 45.000,00
Euro per il mantenimento della suddetta autovettura, così come emergerebbe, inve-
ce, dall’applicazione dei coefficienti del conteggio “redditometrico”. In questo caso
bisognerà primariamente provare (art. 2697 c.c.) documentalmente il chilometraggio
(5.000 km dell’esempio) e, successivamente, chiedere al giudice – ai sensi dell’art.
7, co 5 D.Lgs. 546/1992
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– la disapplicazione del regolamento che sta alla base del
Possibili censure di incostituzionalità
e altri aspetti di riflessione
redditometro (sul conteggio auto - 45.000,00 Euro - dell’esempio), avuto riguardo
non ad una casistica, generale ed astratta, ma allo specifico contesto, così come
provato (art. 2697 c.c.) dal contribuente. In caso contrario si trasformerebbe, vieppiù,
l’imposta sul reddito (IRPEF) in un’imposta patrimoniale, in violazione dell’ art. 53
della Costituzione, posto che si determinerebbe un maggiore reddito (45.000,00 Euro
dell’esempio) non reale e quindi, – abusando del diritto (art. 38 D.P.R. 600/1973) – si
creerebbe una capacità contributiva non corretta e, soprattutto, non realistica (in
aperta violazione anche con quanto statuito dalla Corte Costituzionale n. 120/1972).
Ma al di là di quanto sopra richiamato, il caso più eclatante della sproporzione
(irragionevole) che spesso emerge da una applicazione asettica del redditometro è
rappresentato, frequentemente, dalla applicazione dei coefficienti e parametri
redditometrici per determinare i presunti “costi di mantenimento” (e il conseguente
asserito maggior reddito in capo al contribuente) di una abitazione; costi che –
nell’ipotesi in cui l’acquisto dell’immobile sia stato finanziato contraendo un mu-
tuo –assumono una lievitazione esponenziale (troppo spesso lesiva dell’art. 53
della Costituzione) e non giustificata
6
.
La determinazione dei presunti costi di mantenimento
di un appartamento (acquistato contraendo un mutuo) e la non condivisione
dell’asserito maggior reddito derivato
Per determinare il reddito di un contribuente, in ipotesi di accertamento sintetico/
redditometrico, diventa necessario identificare puntualmente le spese che lo stesso
sostiene, posto che il (condivisibile) ragionamento inferenziale che viene fatto è il
seguente: non si può spendere più di quanto si guadagna (o meglio, a parer di chi
scrive, più di quanto si incassa). Pertanto, la trasformazione delle spese in reddito,
in ipotesi di appartamento finanziato mediante mutuo, dovrebbe essere semplice,
come di seguito sintetizzato.
Si ipotizzi
l’acquisto da parte di un contribuente di
un appartamento di 130
mq, situato in una città del Veneto e finanziato con mutuo (la cui rata complessiva
annua è di 23.000,00 Euro, compresi gli interessi). È evidente che le (vere) spese per
il mantenimento di quell’ appartamento saranno rappresentate solamente dalle rate
di mutuo, dalle spese condominiali e dalle bollette di luce, acqua, gas e rifiuti. Pertan-
to, ipotizzando oneri condominiali certificati dall’amministratore di Euro 2.000,00
annui, costi per bollette pari (complessivamente) ad Euro 1.500,00 annui e, appunto,
spese per le rate del mutuo pari a 23.0000,00 Euro annui è
ictu oculi
dimostrato che
la spesa dell’appartamento non può essere superiore ad Euro 26.500,00 e che, per-
tanto, il reddito (derivato dalla spesa) non potrà essere superiore ad Euro 26.500,00.
E’ vero che il meccanismo del redditometro mira a determinare un reddito (presun-
to) con il quale il contribuente possa non solo sostenere i costi di gestione dei beni
di cui ha la disponibilità, ma anche trarre quanto necessario al proprio sostentamen-
to, ma è altrettanto vero che l’applicazione dei coefficienti redditometrici (così
come emerge dagli avvisi di accertamento “da redditometro”) porta a risultati del
tutto sproporzionati e inverosimili, tali per cui – riprendendo l’esempio di cui
sopra – per sostenere spese – effettive e reali – di mantenimento di un appartamen-
to della tipologia indicata, viene richiesto al contribuente di dichiarare un reddito di
oltre 106.000,00 Euro … ben quattro volte tanto, in evidente lesione del principio
di capacità contributiva.
Orbene, se lo scopo dell’accertamento redditometrico è quello di identificare l’esat-
to ammontare di capacità contributiva, allora la dimostrazione delle spese effettive
– da confrontarsi, peraltro, con la evidente sproporzione dei risultati che emergono
dall’applicazione di coefficienti generici ed astratti – non può non rappresentare un
valido mezzo di prova e, dunque, di difesa; si potrebbe rilevare, in caso contrario,
un’ipotesi di abuso del diritto ai danni del cittadino
7
. Anche in questo caso bisogne-
rà far leva sulla interazione fra i seguenti art: “art 2697 c.c., art. 7, co 5
8
del D.Lgs.
546/92, art. 115 co 2 c.p.c., art. 53 Costituzione”.
Di più, nell’ambito di una difesa appare importante provare al giudice il significato
concreto dei numeri licenziati dall’accusa. Si pensi al seguente banale esempio. Per
2
Cfr. Sent. del 17 giugno 2011, n. 13289, secondo la quale i coefficienti ministeriali di cui al D.M. del 1992 che quantificano il reddito in applicazione del cosiddetto
“redditometro” non hanno valore di presunzione legale relativa, ma di presunzione semplice. Se così non fosse, infatti, “la norma sarebbe incostituzionale, posto che si
trasformerebbe l’imposta sul reddito in una patrimoniale, slegata dal concetto di capacità contributiva, ma legata unicamente alla semplice proprietà / possesso di determinati
beni, piuttosto che di altri”. Cfr. anche CTP di Torino, Sent. del 1° luglio 2011, n. 136.
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A. Bullo,
Accertamento sintetico, principali difese procedurali
, in La Settimana Fiscale n. 40/2012.
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Giova sottolineare, per chiarezza, che l’abuso del diritto non è normato.
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Art. 7, co 5 D.Lgs. n. 546/1992: Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in
relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente.
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Giova ricordare, ancorchè la presunzione che emerge dall’accertamento redditometrico non è una presunzione di cui all’art. 2729 c.c., quanto indicato dalla Risoluzione del 16/
04/1981 n. 421842: “Il fondamento delle presunzioni semplici non deve essere il risultato di un’induzione arbitraria di sospetto o di semplici indizi concorrenti, bensì la
valutazione complessiva e globale di tutti gli elementi certi che, dando luogo alla presunzione stessa, permettono di risalire dal fatto noto al fatto ignorato. Pertanto, nel caso
in cui il fatto ignorato che si vuole porre a base dell’accertamento non si presenta come la conseguenza necessaria , e quindi univoca e sicura, emergente da tutti i dati in possesso
dei verbalizzanti l’accertamento non potrà ritenersi fondato“.
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Si segnala, su fattispecie diversa, che la CTP di Udine n. 26, sez. 03, dep. 9 marzo 2012, ha rilevato l’abuso del diritto a favore del contribuente.
8
A. Bullo, F. Dominici,
L’accertamento da redditometro e il potere del giudice tributario di disapplicare l’atto amministrativo
, in Finanza & Fisco n. 34/2011.