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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
IL COMMERCIALISTA VENETO
senza scopo di lucro non comporterebbe il fallimento di chi risponde illimi-
tatamente per le relative obbligazioni
27
.
Anche il Martinelli conviene sull’assenza dei presupposti di estensione
del fallimento agli associati atteso che dalla lettera dell’art. 38 c.c. si ricava
che la responsabilità di chi ha agito per l’associazione non riconosciuta
riguarda non l’intera situazione debitoria dell’ente ma unicamente le obbli-
gazioni scaturenti dai negozi posti in essere in nome e per conto dell’ente
stesso e deve pertanto concludersi, con buon grado di certezza, che il
fallimento dell’associazione non riconosciuta – versante in stato
d’insolvenza – non possa mai estendersi ai singoli associati, all’infuori
dell’ipotesi in cui l’associazione stessa nasconda invero una società di
fatto, nel qual caso – per converso – tutti i soci sarebbero assoggettabili al
fallimento ex art. 147 L.F.
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Sul punto le pronunce giurisprudenziali non sono molte.
Un primo caso, seppur particolare nel suo genere, è stato esaminato dal
Tribunale di Milano e riguardava il dissesto di una fondazione, soggetto
che in sé non può fallire. In via preliminare il tribunale accertava che l’atti-
vità di impresa che aveva portato allo stato di insolvenza era riconducibile
ad un imprenditore il quale, ricorrendo al paravento di una fondazione,
aveva svolto attività di impresa per fini di lucro e per il proprio personale
vantaggio.
In esito a suddetto accertamento, il Tribunale di Milano
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ha dichiarato il
fallimento non tanto della fondazione, ma di una terza forma di imprenditore
collettivo, ovvero un’associazione non riconosciuta da sottoporre, in quan-
to tale, alla disciplina dell’art. 38 c.c.
I giudici meneghini non hanno preso in considerazione l’ipotesi del falli-
mento delle società di fatto e la conseguente applicazione dell’art. 147 L.F.
poiché vi sarebbe stata estensione immediata del fallimento a tutti i soci.
Nel caso della fondazione dichiarata fallita si è riconosciuto un fondo ed
una parallela associazione non riconosciuta che ha gestito un’attività di
impresa.
L’applicazione dell’art. 38 c.c. in tema di responsabilità dei singoli richiede-
rebbe secondo l’interpretazione data dai giudici milanesi la dimostrazione
dell’effettiva gestione dei beni dell’impresa poiché: “
delle obbligazioni
stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che
hanno agito in nome e per conto dell’associazione
”.
Siffatta interpretazione ha consentito di coinvolgere nel fallimento chi ef-
fettivamente ha distorto la finalità propria della fondazione, utilizzandola
come impresa commerciale.
L’interpretazione del
thema decidendum
è stata oggetto di critiche da parte
di autorevole dottrina
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che ha sostenuto l’impropria applicazione dell’art.
38 c.c. che porterebbe al fallimento in proprio dei soli soci che hanno agito
spendendo il nome dell’associazione. Tale impostazione permetterebbe
facilmente di coprire il socio che, pur avvantaggiandosi dell’attività d’im-
presa della fondazione, non ha mai speso il proprio nome.
Sarebbe stato
più giusto e coerente
- come osservato da Russo Libertino -
applicare al
caso l’art. 147 L.F. che tramite semplice presunzione di legge condurreb-
be al fallimento in proprio di tutti i soci delle società di persone
.
L’autore ammette tuttavia che “
si andrebbe di forzatura in forzatura ri-
creando le fattispecie tanto discusse del socio occulto e venendo ad
individuare un tipo di associato che pur non avendo speso il nome
dell’associazione ne risulta essere responsabile
”.
Il tutto verrebbe quindi ricondotto all’art. 38 c.c. ed alla responsabilità di
chi ha agito nell’associazione
31
.
L’interpretazione dei giudici milanesi faceva propria una precedente inter-
pretazione della Cassazione del 1993
32
, con la quale la Suprema Corte ebbe
modo di precisare che “
il fallimento di una associazione non riconosciu-
ta avente lo
status
di imprenditore commerciale non produce indistinta-
mente il fallimento di tutti i suoi associati ma solo degli associati che
siano illimitatamente responsabili secondo la disciplina propria delle
associazioni non riconosciute, ossia, a norma dell’art. 38, 1º comma,
ultima parte, c.c., delle persone che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione”
.
Secondo l’orientamento maggioritario, condiviso da tale sentenza, il falli-
mento dell’associazione si estenderebbe agli associati che siano da consi-
derarsi illimitatamente responsabili
33
.
La soluzione adottata dalla Cassazione nella sentenza rispetta la formula-
zione letterale della norma, affermando che una responsabilità illimitata per
le obbligazioni dell’ente è ravvisabile soltanto in capo agli associati che
abbiano agito in nome e per conto del medesimo
34
.
Isolata rispetto alla prevalente giurisprudenza, invece, si pone una senten-
za del Tribunale di Palermo
35
, per il quale
“qualora un’associazione non
riconosciuta eserciti un’impresa commerciale è qualificabile come so-
cietà di fatto tra gli associati; pertanto il suo fallimento si estende a tutti
i membri in quanto soci illimitatamente responsabili
”.
I profili soggettivi: individuazione
del rappresentante l’associazione sportiva
Propendendo per l’interpretazione più restrittiva, ovverosia che dal falli-
mento dell’associazione sportiva consegua solo il fallimento delle persone
che hanno agito in nome e per conto dell’associazione
36
, l’attenzione viene
ora rivolta all’esame dei criteri funzionali all’individuazione dei soggetti
che hanno agito in nome e per conto dell’ente.
Secondo una prima tesi della dottrina
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tali soggetti coinciderebbero unica-
mente con gli amministratori dell’associazione.
Al contrario la pressoché univoca giurisprudenza fonda la propria inter-
pretazione sul tenore letterale della norma riconoscendo dunque che è
chiamato a rispondere solidalmente con l’associazione solo chi ha agito in
nome e per conto della medesima, anche se si tratti di un semplice associa-
to
38
.
Si pone infine un’ultima questione: sussiste a favore dei soggetti che han-
no agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, il benefi-
cio d’escussione?
In altri termini, il creditore dell’associazione può agire direttamente nei
confronti dei soggetti agenti ovvero deve preventivamente escutere il fon-
do comune dell’associazione?
Sul punto la Suprema Corte, con un unico ed isolato precedente
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, ha dato
una risposta negativa. Secondo la Cassazione l’obbligazione solidale di
colui che ha agito per l’associazione sarebbe inquadrabile fra quelle di
garanzia
ex lege
, assimilabile alla fideiussione, e ne discenderebbe da un
lato che il diritto del terzo creditore sarebbe assoggettato alla decadenza di
cui all’art. 1957 c.c., dall’altro che non sarebbe richiesta la preventiva
escussione del debitore principale. Sarebbe cioè sufficiente che il creditore
eserciti tempestivamente l’azione nei confronti, a scelta, del debitore prin-
cipale o del fideiussore
40
.
Conclusioni
Ritengo non vi siano incertezze sul fatto che l’associazione sportiva dilet-
tantistica esercente un’attività commerciale con carattere di prevalenza in
riferimento agli scopi istituzionali dell’associazione stessa possa essere
dichiarata fallita, se e qualora non sia data prova della presenza contestuale
dei tre parametri che impediscono la declaratoria fallimentare.
Desta qualche perplessità la mancanza di pronunce giurisprudenziali re-
centi. Circostanza che potrebbe trovare giustificazione proprio nella rifor-
ma della Legge Fallimentare del 2006, riforma che ha introdotto i parametri
“deflattivi” per escludere dalla procedura le situazioni marginali.
Altrettanto pacificamente si può sostenere che il fallimento si estende a
tutti coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione,
in
primis
al suo presidente, ma indipendentemente dalla circostanza che il
soggetto abbia un ruolo codificato nel Consiglio Direttivo, ben potendo
dichiararsi fallito anche il semplice associato.
L’indeterminatezza del perimetro di estensione del fallimento dell’associa-
zione verso i soggetti che hanno agito per suo conto (e nome), enfatizza
l’opportunità di procedere con sollecitudine alla trasformazione delle asso-
ciazioni sportive in società sportive. L’acquisizione della personalità giuri-
dica, sebbene non elimini la fattispecie del fallimento della srl sportiva, fa
comunque venir meno quell’opacità tipica dell’associazione sportiva con-
sentendo non solo ai soci, ma anche (a determinate condizioni) agli ammi-
nistratori di beneficiare di una sostanziale segregazione dei loro patrimoni.
27
F. Rivellini, opera citata.
28
G. Martinelli e F. Scrivano in
Enti non profit
, 2008, n. 4, pag. 260.
29
Tribunale di Milano, sentenza 17 giugno 1994, in Giur. It. 1995 , I, 2, pag.283 e segg. Nella sentenza richiamata i giudici esaminarono il caso dell’Istituto sieroterapico milanese
Serafino Belfanti, fondazione avente come scopo statutario la ricerca e la preparazione dei vaccini. Su tale vicenda giudiziale vedi. pure Trib. Milano 22 gennaio
1998, in Nuova giur. civ. comm. 1999, 235, che ha deciso sull’opposizione alla dichiarazione di fallimento emessa da Trib. Milano 17 giugno 1994.
30
Alberto Russo Libertino, in Il Fallimento, 4/1999, pag. 449.
31
L. Tarricone e G. Gallarati: opera citata.
32
Cassazione., sez.I, 18.9.1993, n. 9589, in Fallimento, 1994, pag. 151.
33
Il caso è quello di un Istituto parificato Fondazione Pitagora e di una Srl che lo gestiva; l’Istituto viene qualificato, in appello, come mera associazione non riconosciuta e non
come fondazione.
34
F. Rivellini, opera citata.
35
Tribunale Palermo, 24.2.1997, in Giur. comm., 1999, II, pag. 440.
36
Cass. Civ. Sez. I, 9589/1993.
37
Galgano, Diritto privato, Padova, 1994, pag. 614 e segg. A questo riguardo il Galgano propugnò la tesi del parallelismo tra l’art.33 c.c. e l’art. 38 c.c. sostenendo che trattandosi
di disposizioni accomunate dal presupposto della mancanza di effettuazione degli adempimenti pubblicitari, le quali avrebbero dunque un medesimo segno, quello cioè di
identificare negli amministratori i soggetti comunque responsabili. La tesi ha perso di attualità a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R.
n. 361/2000.
38
Ex plurimis
: Cass. Civ., 1657/1985; Cass. Civ. Sez. III, 4710/1981.
39
Cass. Civ., 1655/1985.
40
Cass. Civ., 11759/2002.
SEGUE DA PAGINA 7
Associazione sportiva
e assoggettabilità al fallimento