Page 7 - CV_211

Basic HTML Version

NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
7
IL COMMERCIALISTA VENETO
zione sportiva, ma solo una caratteristica di essa e cioè la prevalenza in
riferimento agli scopi istituzionali dell’associazione stessa
16
.
Nella prospettata direzione risultano oltremodo significative le motivazioni
enunciate dal Tribunale di Mantova nella sentenza di rigetto dell’istanza di
fallimento pronunciata a favore di un’associazione sportiva dilettantistica.
Il collegio virgiliano, oltre a rilevare in fatto il mancato svolgimento di
un’attività imprenditoriale poiché l’ente svolgeva attività ricreativa per i
soli soci, con utilizzo di ridotte attrezzature, in assenza di rilevante
indebitamento complessivo e di lavoratori dipendenti (oltre ad altre circo-
stanze quali modesto giro d’affari annuo, mancanza di lavoratori dipenden-
ti, l’esiguo compenso statutariamente previsto per gli amministratori,
reinvestimento degli utili nelle attività dell’associazione e la molteplicità
delle attività ricreative svolte peraltro in favore dei soli soci), ha negato in
punto di diritto il fallimento della ASD motivando il rigetto delle istanze con
la considerazione che “
secondo l’orientamento prevalente in giurispru-
denza alla associazione può essere attribuita la natura di imprenditore
commerciale quando essa abbia per oggetto esclusivo o principale una
attività economica rientrante in quelle indicate nell’art. 2195 c.c., seb-
bene finalizzata al raggiungimento di scopi ideali, mentre tale natura
deve ritenersi esclusa nelle ipotesi in cui l’attività economica venga
invece espletata in via accessoria e strumentale rispetto ai fini istituzio-
nali dell’ente ( in tal senso vedasi Cass. 14-10-1958 n.3251; Cass. 9-11-
1979 n. 5779; Cass.17-1-1983 n. 341; Cass. 18-9-1993 n. 9589) doven-
dosi ritenere che l’art. 2201 c.c. esprima un principio di carattere gene-
rale valevole per tutti gli imprenditori collettivi non societari”
ritenendo
altresì che “
l’attività imprenditoriale svolta in concomitanza con altra
attività non economica può qualificarsi come oggetto principale
allorquando realizzi integralmente, di per sé sola , lo scopo dell’ente e
non invece ove si risolva nel mero reperimento di mezzi finanziari poiché
in tale ipotesi l’impresa è strumentale rispetto al perseguimento dello
scopo istituzionale
17
.
Non si discosta dal prevalente indirizzo giurisprudenziale la più recente
pronuncia del Tribunale di Monza secondo il quale “
l’associazione non
riconosciuta che eserciti attività sportiva professionistica, partecipan-
do a campionati di massima serie, attribuendo consistenti compensi ai
prestatori d’opera e ricavando ingenti introiti, appare in grado di
remunerare i fattori di produzione attraverso i propri ricavi, e pertanto
esercita attività economica imprenditoriale, rimanendo assoggettabile
a fallimento”
18
.
La sentenza richiamata presenta un ulteriore aspetto meritevole di appro-
fondimento: l’individuazione del momento in cui l’associazione acquista o
perde la qualità d’imprenditore commerciale.
Com’è noto, nella società il termine per la dichiarazione di fallimento ai
sensi dell’art. 10 L. Fall. decorre dalla cancellazione della società dal regi-
stro delle imprese
19
; per quelle associazioni nelle quali lo statuto non pre-
veda espressamente lo svolgimento di un’attività imprenditoriale non vi è
dubbio che si debba fare riferimento al criterio dell’effettivo inizio o cessa-
zione dell’attività d’impresa.
Qualche incertezza si è invece manifestata in quei casi in cui dallo statuto
risulti che l’associazione è stata costituita per lo svolgimento di un’attività
d’impresa, essendosi ritenuto che in tali ipotesi l’ente sia «istituzionalmente
imprenditore» e perciò tale sin dal momento della sua costituzione e per
tutta la sua esistenza
20
.
Tuttavia, se per le società lo svolgimento dell’attività d’impresa integra lo
scopo stesso della loro costituzione, sicché si rende superfluo l’accerta-
mento del concreto inizio e dell’effettiva fine dell’attività programmata, per
le associazioni non sembra potersi prescindere dal principio di effettività,
in quanto l’attività d’impresa non esaurisce lo scopo della loro costituzio-
ne, ponendosi sempre in rapporto di strumentalità rispetto al fine ideale
perseguito
21
.
In questo senso il Tribunale di Monza con la sentenza 11 giugno 2001,
evidenzia il principio secondo cui l’imprenditore «di fatto», mai iscritto nel
Registro delle Imprese, anche se organizzato in forma collettiva non
societaria (nella specie, associazione non riconosciuta), il quale abbia ces-
sato l’attività d’impresa, non è più soggetto a dichiarazione di fallimento,
decorso un anno dall’avvenuta effettiva interruzione dell’attività impren-
ditoriale.
L’estensione del fallimento agli amministratori ed agli associati
Preso atto della prevalenza dell’orientamento giurisprudenziale che rico-
nosce come fondata l’ipotesi del fallimento della ASD al verificarsi di deter-
minate circostanze, si pone ora la questione di verificare le conseguenze
del fallimento dell’associazione in capo ai soggetti che hanno agito in
rappresentanza dell’associazione sportiva.
E’ noto che i creditori delle associazioni non riconosciute (associazioni
sprovviste di autonomia patrimoniale perfetta), sono garantiti, oltre che dal
patrimonio della medesima associazione (il c.d. fondo comune), anche dal
patrimonio personale di coloro che hanno agito in sua rappresentanza.
La differenza rispetto al patrimonio dell’associazione munita di riconosci-
mento consiste puramente nella diversa consistenza dell’autonomia
patrimoniale. Essa è piena e perfetta quando l’ente sia riconosciuto, imper-
fetta quando sia sprovvisto di riconoscimento
22
.
L’autonomia consiste nella possibilità di tenere distinto il patrimonio del-
l’associazione da quello degli associati.
L’art. 38 c.c. dispone testualmente che: “
per le obbligazioni assunte dalle
persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i
loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono an-
che personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e
per conto dell’associazione”
.
I creditori dell’ente non possono far valere i propri diritti sul patrimonio dei
singoli associati, dovendo soddisfarsi preventivamente sul fondo comu-
ne.
Tesi prevalente in dottrina, ma che peraltro non ha incontrato il favore
della Cassazione
23
.
D’altro canto è pacificamente condiviso che i creditori
del singolo associato non possano agire sul fondo comune.
Il punto è questo: è possibile configurare un’estensione del fallimento
dell’ASD in capo ai soggetti che hanno agito in rappresentanza della
s tessa?
In dottrina il Silvestrini
24
, abbraccia la teoria che il fallimento di un’associa-
zione non riconosciuta non comporta
ex se
il fallimento degli associati che
siano illimitatamente responsabili (ai sensi del richiamato art. 38 c.c.) disco-
noscendo così validità non solo alla tesi della possibilità di estendere il
fallimento per gli effetti dell’art. 147 L.F., ma anche alla tesi dell’associato
quale autonomo imprenditore indiretto e quindi potenzialmente fallibile ex
art. 1 L.F.
25
La natura eccezionale dell’art. 147 L.F. nonché il diverso ambito di operatività
della responsabilità illimitata degli associati rispetto a quella dei soci porta-
no ad escludere che il fallimento dell’associazione travolga anche gli asso-
ciati: determinante è la considerazione che gli associati rispondono soltan-
to delle obbligazioni derivanti dai negozi che essi stessi hanno concluso in
nome e per conto dell’associazione, mentre i soci rispondono di tutti i
debiti sociali. Quest’ultimo argomento riveste, a ben vedere, carattere deci-
sivo, eliminando in radice sia la possibilità di applicare analogicamente
l’art. 147 L.F. sia la possibilità di qualificare l’associato illimitatamente re-
sponsabile come imprenditore indiretto.
Laddove però, viene fatto osservare dal Silvestrini, vi sia stata distribu-
zione di utili fra tutti gli associati, ed a prescindere dalla denominazione
di associazione, l’ente andrà qualificato come società di fatto e pertan-
to al suo fallimento conseguirà necessariamente quello di tutti i soci ex
art. 147 L.F.
26
Parte della dottrina (Campobasso, Farenga) condivide
ex adverso
la tesi
che nega l’assoggettabilità a fallimento degli associati illimitatamente re-
sponsabili osservando che dalla presenza di alcune disposizioni dell’ordi-
namento giuridico (ultimo comma dell’art 147 L.F. per il quale non fallisco-
no i soci illimitatamente responsabili di una società cooperativa… e all’art.
9 del D.Lgs 240/91 che precisa che il fallimento del GEIE non determina il
fallimento dei suoi membri) si potrebbe ragionevolmente desumere un più
generale principio per il quale il fallimento di un’impresa collettiva
16
In sintonia con queste premesse, il tribunale (
rectius
il collegio in sede pre-fallimentare) può anche esimersi da accertare se l’associazione sportiva nel corso della sua attività
ed in riferimento ad un riscontrato stato di insolvenza, abbia assunto la qualifica di imprenditore commerciale; non può prescindere dal valutare la prevalenza dell’attività
commerciale in riferimento agli scopi istituzionali dell’associazione stessa.
17
Tribunale di Mantova, Sez. II – Sentenza 15 aprile 1999, http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/TMF-15-4-99BIS.htm
18
Tribunale di Monza, sentenza 11 giugno 2001 in Giur. merito, 2002, 10.
19
Corte Cost. 21 luglio 2000, n. 319.
20
In questo senso Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, 133.
21
A. Silvestrini, opera citata.
22
Si richiama Daniele Minussi
Associazione non riconosciuta: il fondo comune, la responsabilità
pubblicato in Wikijus - http://www.e-glossa.it/wiki/
associazione_non_riconosciuta%c2%a3_il_fondo_comune%2c_la_responsabilit%c3%a0.aspx
23
Vedi infra all’ultimo paragrafo.
24
Cfr. nota sub n. 1.
25
Convergenti in giurisprudenza il Tribunale di Treviso (sentenza 25 marzo 1994, in Dir. fall. 1995, II, 719), nonché il Tribunale di Savona (sentenza 18 gennaio 1982, in Riv.
dir. comm. 1983, II, 245).
26
Tesi condivisa da G. Martinelli e F. Scriviamo, opera citata, nonché da L. Farenga,
Sull’applicabilità dell’art. 147 legge fall. ai rappresentanti dell’associazione non
riconosciuta dichiarata fallita
, in Riv. dir. fall., 1983, II,pag. 191 ss.
SEGUE DA PAGINA 6
Associazione sportiva
e assoggettabilità al fallimento
SEGUE A PAGINA 8