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NUMERO 211 - GENNAIO / FEBBRAIO 2013
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IL COMMERCIALISTA VENETO
da non penalizzare i titoli meno liquidi. Inoltre la TTF
non si applica nemmeno ai titoli non quotati in mercati
regolamentati, al contrario del caso italiano ove sono
tassate anche le transazioni su titoli non quotati.
Il caso di un altro Paese europeo che ha adottato la
tassa sulle transazioni finanziarie è quello della Sve-
zia. Nel 1984 la Svezia introdusse una Tobin Tax,
disponendo un prelievo dello 0,5% sull’acquisto di
titoli azionari e sulle stock option. Nel 1986 la tassa
venne portata all’1%, allargandone anche la portata
fino a comprendere le obbligazioni. Il risultato? Un
gettito abbastanza scarso, anche perché la maggioran-
za degli operatori finanziari decise di lasciare il Paese.
La Svezia decise di abolire il prelievo nel 1992. Risulta
quindi evidente che se adottata da un solo Paese, la
Tobin Tax non sortisce alcun effetto.
Oltre alla Svezia che ha fatto tesoro della sua esperien-
za negativa, sul fronte dei contrari all’applicazione
della Tobin Tax c’è la Gran Bretagna di David Cameron.
“L’idea di una nuova tassa europea, quando quella
stessa tassa non verrà introdotta in altri luoghi, non
penso sia logica e la bloccherò” ha sentenziato il premier
britannico ai microfoni della Bbc. Con lui, a rimpinguare
le file dei dissidenti, ci sono anche la Svezia, l’Olanda
e Malta. E gli americani? Anche loro hanno seri dubbi
in proposito. Lo scoglio, molto difficile da superare,
resta sempre quello della difficile applicazione della
tassa a livello globale. In Europa, nonostante le diffi-
coltà, c’è comunque chi pensa che creare un nocciolo
duro di Paesi che adottino la Tobin Tax possa servire a
dare il buon esempio e a gettare le basi per un futuro
allargamento. Ma la domanda è: “Basterà ragionare
solamente a livello di Eurozona?”
Ma quali saranno le conseguenze dell’applicazione
della Tobin Tax italiana?
L
a TTF avrà un impatto pesante
sulla liquidi-
tà e produrrà un’importantissima contrazione
dei volumi di mercato (nella relazione tecnica
di accompagnamento del disegno di legge, lo stesso
Governo parla di una riduzione di affari pari al 30%
per il mercato azionario e 80% per quello dei derivati).
Va da sé che una simile contrazione dei fatturati per
intermediari e mercati (primi tra tutti Borsa Italiana)
comporterà inevitabilmente una riduzione di gettito
per l’erario in termini di minori entrate da IRES, impo-
sta sul
capital gain
e, quel che più dovrebbe preoccu-
pare il Governo in una fase come questa, da IRPEF
conseguente ai numerosissimi tagli di personale che
intermediari e mercati dovranno necessariamente ef-
fettuare per sostenere i nuovi livelli di fatturato. Ci
sarebbe a questo punto da chiedersi se tutto ciò ha
senso a fronte di un gettito, stimato dal Governo, di
1.088 milioni di euro; possiamo davvero ritenere che il
saldo netto per l’erario possa essere positivo, anche
solo nel breve periodo?
Fino a che non ci sarà l’armonizzazione a livello euro-
peo, si andrà incontro a una massiccia fuga di capitali
dall’Italia.
Se un operatore finanziario non residente in Italia com-
pie un’operazione dall’estero su PiazzaAffari, la Tobin
Tax non la paga: il rischio è che pezzi importanti del-
l’industria finanziaria italiana si spostino all’estero
per by-passare la Tobin Tax!!!
La leva fiscale è una variabile molto delicata e i mercati
e, di conseguenza, l’industria finanziaria sono molto
sensibili a mutamenti repentini di norme non ben ra-
gionate: si teme che il risultato possa essere quello,
più volte paventato, di delocalizzazione delle attività,
chiusura di talune
business units
degli intermediari fi-
nanziari e aumento della disoccupazione. Parados-
salmente si sposterebbe il gettito tributario auspicato
dal governo italiano verso le casse di Paesi dove la
tassa non trova applicazione.
Il sistema finanziario è molto suscettibile al cambia-
mento di norme fiscali: ogni soggetto economico dovrà
valutare costi e benefici del cambiamento in atto sul
fronte della tassazione. Va da sé che i maggiori inter-
mediari, potrebbero chiudere i
desk
di negoziazione
italiani o spostare l’operatività su succursali estere
(alcuni si stanno già muovendo in tale direzione). Molti
degli intermediari più piccoli saranno invece costretti
a chiudere definitivamente la loro attività. In ogni caso
a pagare il conto saranno anche i dipendenti di questi
intermediari! Si tratta di posizioni professionali alta-
mente qualificate e, in quanto tali, particolarmente
ambite da giovani che si laureano in discipline econo-
miche e giuridiche delle nostre università e che, magari,
hanno avuto un’esperienza di studio all’estero.
L’elevatissimo numero di posti di lavoro che ritenia-
mo saranno in tal modo perduti andranno pertanto ad
alimentare in gran parte le fila della disoccupazione
giovanile che affligge il nostro paese e a ridurre le spe-
ranze di tanti altri di trovare un lavoro adeguato a
compensare tanti anni di studio. E il nostro, purtrop-
po, non è facile populismo, ma un’amara realtà!
Oltre alla tassa sulle transazioni finanziarie, i rispar-
miatori/investitori italiani intesi come persone fisiche,
sono soggetti al versamento di altre imposte sui reddi-
ti da capitale, sui redditi da
capital gain
e sui depositi
(conti correnti, libretti a risparmio…): è il caso di
IVAFE, Imposta di bollo e
capital gain.
L’IVAFE è una delle novità tributarie introdotte dal
Decreto Salva Italia. L’IVAFE va a tassare le attività
finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche che
sono residenti in Italia. Una patrimoniale che deve
essere applicata al periodo d’imposta 2012 e quindi
essere inserita nella dichiarazione dei redditi del 2013.
L’Erario si rivolge alle persone fisiche che hanno delle
attività finanziarie all’estero ma risiedono nel nostro
paese, perché devono pagare questa imposta
“patrimoniale” anche sulle cassette di sicurezza che
sono all’estero e magari sono anche custodite da inter-
mediari non residenti. L’IVAFE si applica alle obbliga-
zioni italiane ed estere, ai titoli pubblici italiani emessi
in Italia o all’estero, alle partecipazioni al capitale di
soggetti residenti all’estero, ai depositi bancari costi-
tuiti all’estero, ai contratti finanziari, ai contratti deri-
vati e agli altri rapporti finanziari che sono stati siglati
fuori dallo Stato italiano, ai metalli preziosi, ai diritti
all’acquisto di azioni esteri, alle attività da cui posso-
no derivare redditi di capitale. L’imposta deve essere
calcolata come l’1,5 per mille per il 2013, mentre per i
due anni passati, per il 2011 e per il 2012 è ferma all’1
per mille e non sono previste delle esenzioni.
Con il Decreto Salva Italia inoltre è stato introdotto a
partire dal primo gennaio 2012, un nuovo regime di
tassazione sui depositi. L’imposta di bollo sui conti
correnti e libretti di risparmio si applica per ogni esem-
plare inviato con periodicità annuale nella misura di
34,20 euro per le persone fisiche e di 100 euro per i
soggetti diversi (cfr art. 19, Decreto Legge n. 201 del
2011, all’articolo 13 della Tariffa, parte prima, allegata
al D.P.R. n. 642 del 1972, comma 2 – bis). L’imposta
di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finan-
ziari inviate periodicamente alla clientela e relative
appunto a prodotti finanziari, anche non soggetti ad
obbligo di deposito, ivi compresi i depositi bancari e
postali, anche se rappresentati da certificati, si appli-
cherà un’imposta dell’1,5 per mille annuo a partire
dal 2013 (cfr. art. 2 ter dell’articolo 13 della Tariffa).
L’imposta si applica anche ai depositi bancari o po-
stali e certificati di deposito. Il Decreto Salva Italia fa
salvi i fondi pensioni ed i fondi sanitari che sono esclu-
si dalla nuova tassazione. Non si applicherà ai dossier
aventi saldo zero.
Sui conti correnti esiste dal 1972 un bollo annuale di
34,2 euro che a partire dal 01.01.2012 è stato elimina-
to nei casi di giacenza media sul conto corrente di una
cifra inferiore a 5000 euro, ma è rimasto negli altri casi
che riguardino persone fisiche (le famiglie). Nel caso in
cui invece il conto corrente sia intestato a una persona
non fisica, quindi per esempio a un’azienda, il bollo
sale dai 73,80 euro agli attuali 100 euro.
Importanti anche le variazioni sui dossier titoli, nel cui
caso la più grossa novità si registra sull’utilizzo del
valore di mercato dei titoli in portafoglio che sostitui-
sce quello nominale ormai chiaramente privo di senso.
La percentuale da pagare sul valore di mercato dei
titoli in portafoglio per effetto del Decreto Salva Italia
ammonta allo 0,1% dal 01.01.2012 e allo 0,15% a
partire dal 01.01.2013. In passato il metodo era com-
pletamente diverso e prevedeva imposte da 34,2 euro
per deposito titoli fino a 50 mila euro (calcolati sul
valore nominale), da 70 euro fino a 150 mila euro, da
240 euro fino a 500 mila euro e da 680 euro (sempre
annuali) oltre i 500 mila euro.
Solo per il 2012 è stato fissato un tetto massimo di
1.200 euro nell’imposta di bollo su prodotti d’investi-
mento che “sparisce” già dal 2013.
Il Decreto Salva Italia ha modificato anche il regime
fiscale sul
capital gain
e sulle rendite finanziarie. Per
definizione il
capital gain
è la differenza tra il prezzo
di acquisto e quello di vendita di uno strumento finan-
ziario.
In Europa attualmente il
capital gain
è soggetto a tas-
sazione con aliquote differenziate da Paese a Paese. Le
aliquote applicate sulle plusvalenze derivanti da un
investimento fino al 31.12.2011 sono state di due tipi:
un’aliquota del 12,5%, applicata al
capital gain
di qua-
lunque investimento azionario o obbligazionario e
un’aliquota del 27% applicata agli investimenti a bre-
ve termine (compreso il conto corrente) ed a quelli
meno ¨trasparenti¨ che difficilmente riguardano il pic-
colo investitore. Aseguito del decreto Salva Italia, con
decorrenza dall’1 gennaio del 2012, sono state fissate
nuove aliquote per la tassazione del
capital gain
: sulle
plusvalenze realizzate (e dividendi) su Azioni, Obbli-
gazioni, Fondi comuni d’investimento, Sicav, Etf, Etc,
Covered warrant, Derivati, Pronti contro termine, Pre-
stito Titoli si applica un’aliquota del 20%; la tassazio-
ne sui titoli di stato (Bot, Btp e Cct), è rimasta al
12,5%. Tutte le minusvalenze accantonate al
31.12.2011, in regime amministrato, saranno portate
in deduzione delle plusvalenze realizzate successiva-
mente, per una quota pari al 62,50% del loro ammon-
tare. Tutte le minusvalenze realizzate a partire dal 1°
gennaio 2012 saranno riconosciute per il loro intero
ammontare.
C
oncludendo questo
excursus
sulle imposte
che colpiscono gli investitori italiani, voglia-
mo sottolineare come una mancata
armonizzazione a livello europeo in merito all’appli-
cazione della Tobin Tax porterebbe a una massiccia
fuga di capitali dall’Italia: si corre il rischio che pezzi
importanti dell’industria finanziaria italiana si spostino
all’estero per by-passare l’imposta italiana sulle tran-
sazioni finanziarie e che gli investitori italiani preferi-
scano dirottare la propria liquidità su titoli stranieri.
Anche il contesto dell’applicazione del
capital gain
risulta complesso: l’aliquota non è differenziata a se-
conda che gli utili vengano o meno distribuiti dalla
società emittente, come invece accade all’estero.
Altra disparità del sistema di tassazione dei redditi
diversi emerge nell’adozione del regime amministrato
e il regime del risparmio gestito: se un soggetto chiude
un rapporto regolato dal regime del risparmio gestito
non può compensare le minusvalenze con eventuali
plusvalenze realizzate in regime del risparmio ammi-
nistrato.
Inoltre anche la modalità di tassazione delle partecipa-
zioni di minoranza e di maggioranza risulta squilibra-
ta: qualora una partecipazione sia qualificata, (parte-
cipazione che conferisce un diritto di voto esercitabile
in assemblea ordinaria per un ammontare maggiore o
uguale al 2% o il 20% a seconda che si tratti di società
quotate o non quotate) la tassazione è progressiva con
aliquota marginale IRPEF sul 49,72% del reddito deri-
vante dalla partecipazione; invece le partecipazioni
non qualificate sono soggette a ritenuta alla fonte del
20% fisso sull’intero reddito derivante dalla parteci-
pazione.
Al termine di questa carrellata di imposte che colpi-
scono il risparmio degli italiani, non possiamo non
tacere un ulteriore aggravamento fiscale annunciato.
Si paventa l’ipotesi dell’assoggettare ad IVA la Con-
sulenza Finanziaria. Un servizio introdotto dalla Di-
rettiva MiFid e che stenta ancora a diffondersi nel
nostro paese. Un servizio che allo stato attuale è
ancora considerato di nicchia.
E poi ci sovviene Cipro, con un dubbio: si ripeterà
in Italia l’esperienza Amato della patrimoniale sui
depositi?
Tobin Tax e non solo
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